TERZO DAL SOLE – SOGNI E SPERANZE DELL’ANIMALE UOMO ALLA RICERCA DELLA VITA 12

CAPITOLO XII

VITA SU MARTE

Negli ultimi trent’anni l’astronomia ha ottenuto dei risultati eclatanti per quanto riguarda il sobborgo abitato dai terrestri e che noi chiamiamo, un poco pomposamente il sistema solare.

Abbiamo raggiunto, fotografato ed esaminato tutti i pianeti e quasi tutti i satelliti che lo compongono, abbiamo fotografato comete e abbiamo cercato di capire se mai potevamo avere dei vicini di casa.

Una delle chiavi per capire se possa esistere una qualsiasi forma di vita è quello di cercare l’acqua, un elemento che sembrava rarissimo nello spazio ma che si è rivelato molto più comune di quanto pensassimo.

Forse, ma non è ancora certo, c’è acqua sulla Luna, c’è o c’è stata su Marte, su Europa, Ganimede, satelliti Giove, ci sono dei geyser che emettono acqua nello spazio su Encelado, una luna di Saturno. Diverse, ma interessanti sono le condizioni per la vita su Titano, il grande satellite  di Saturno.

Dobbiamo prima di tutto dire che il metodo di ricerca principale degli astronomi e delle sonde è sempre stata quella di trovare un pianeta, una luna, con condizioni relativamente simili a quelle della Terra. Una ricerca che, come vedremo, ha dato dei risultati relativi tanto da poter dichiarare che la nostra Terra è l’unico pianeta abitato del sistema solare ed è per questo che stiamo ora sondando lo spazio esterno alla ricerca di strani, nuovi mondi.

Quando abbiamo parlato di vita nel sistema solare dobbiamo obbligatoriamente soffermarci su uno dei primi candidati che ci vengono in mente, almeno nell’immaginario collettivo, e cioè il pianeta del Sistema Solare più simile al nostro: Marte. Il pianeta rosso merita un discorso a parte, proprio perché è stato ed è tuttora oggetto di numerosi studi e missioni.

Tornando alla domanda principale la risposta è che, mentre ci sono indizi che in passato Marte fosse abitabile, al momento attuale sulla sua superficie non sembrano esserci condizioni sostenibili per la vita, e questo deriva dalla combinazione di tre problemi principali: la bassa temperatura, l’inconsistenza dell’atmosfera (e di conseguenza la bassissima pressione, pari allo 0,6% di quella terrestre) e l’assenza di un campo magnetico. Marte è appena all’esterno della fascia di abitabilità del Sole, cioè quella zona la cui distanza dalla stella centrale è tale da riceverne un irraggiamento adeguato, affinché la temperatura permetta l’esistenza di bacini persistenti di acqua liquida. In altre parole, su Marte fa freddo: la temperatura è di -63°C in media, e supera lo zero per periodi brevissimi. Questo non vuol dire che l’acqua liquida non può esistere sulla superficie di Marte, e infatti nel settembre del 2015 la NASA ha trovato tracce di sali idrati, che si formano solo in presenza d’acqua. Però a causa delle pressioni che si trovano sulla superficie marziana, l’acqua esiste in forma stabile allo stato liquido per un intervallo ristrettissimo di temperature, al di fuori del quale congela o evapora; e tali temperature (attorno a 0,01 °C) non sono molto frequenti su Marte. Inoltre, si stima che la concentrazione e la composizione chimica dei sali disciolti sia particolarmente sfavorevole per la sopravvivenza, anche ipotizzando forme di vita estremofile, che sono cioè in grado di resistere in condizioni estreme di pressione, acidità, temperatura ecc., molto diverse da quelle che siamo abituati a considerare.

Si potrebbe supporre, in teoria, che certe forme di vita microbiche potrebbero ibernarsi in attesa di condizioni più favorevoli. Qui entra in gioco l’altro fattore: l’assenza di campo magnetico.

Sulla Terra, il campo magnetico ci scherma dal vento solare, ossia quel flusso di particelle ad alta energia (principalmente protoni ed elettroni) espulso in modo quasi costante dal Sole; le particelle cariche vengono deviate dalle linee di campo verso i poli dove, in particolari condizioni, vanno a formare le aurore, mentre l’atmosfera ci protegge dai raggi gamma. Su Marte l’atmosfera è molto sottile e il campo magnetico è assente: questo significa che la superficie marziana è soggetta a una continua pioggia di particelle e radiazioni energetiche a livelli che friggerebbero il DNA della quasi totalità di specie conosciute.

Esiste una particolare classe di organismi estremofili, detti radioresistenti, che sarebbero in grado di sopportare tranquillamente il bombardamento di particelle e radiazione sulla superficie marziana; un esempio è Deinococcus radiodurans. Questo affascinante batterio possiede dalle 4 alle 10 copie del proprio genoma e ripara il proprio DNA in modo rapido ed efficiente, resistendo così a livelli di radiazione oltre mille volte superiori a quelli letali per gli umani. Non si può d’altronde escludere che esistano microrganismi radioresistenti di altro tipo su Marte.

Per resistere alle radiazioni, però, i batteri devono restare attivi sufficientemente a lungo da poter mettere in atto i meccanismi di riparazione del DNA; se questo viene danneggiato durante il periodo di ibernazione, i meccanismi di riparazione non funzionano perché sono dormienti e, quando i danni si accumulano oltre una certa soglia, la cellula non è più in grado di ripararsi e muore. Per questo la combinazione di freddo e campo magnetico assente pone una sfida anche per le forme di vita più coriacee.

Intanto a San Pietroburgo, in Russia, alcuni ricercatori hanno cercato di indurre nel normale batterio Escherichia coli la resistenza alle radiazioni, come il già citato Deinococcus radiodurans; che resiste a dosi elevatissime, anche migliaia di volte superiori a quelle che uccidono un uomo. I russi sono riusciti nel loro intento di trasformare l’E. coli, ma pensano che per evolvere una resistenza simile a quella del Deinococcus sarebbero stati necessari molti miliardi di anni, più dell’età del nostro pianeta. Credono quindi che il Deinococcus si sia sviluppato su Marte, sottoposto molto più della Terra a una pioggia di radiazioni e che questi batteri sarebbero poi arrivati sulla Terra a bordo di un meteorite.

Diverso è il discorso se andiamo a indagare sotto la superficie marziana. Anche se la temperatura dovesse rimanere bassa, è stato calcolato che secondo il tipo di roccia, a due metri di profondità, per rimettere in sesto il proprio DNA. un organismo come D. radiodurans dovrebbe “risvegliarsi” circa una volta ogni 90mila anni (o, a seconda del tipo di roccia, anche a intervalli molto più lunghi): un ritmo tutto sommato sostenibile. È per questo che il rover della missione ExoMars, il cui lancio è previsto nel 2018, andrà a trivellare il suolo marziano proprio fino a due metri: a quelle profondità le possibilità di trovare forme di vita sono molto più promettenti.

Non molto tempo fa una notizia ha fatto il giro del mondo scientifico: La recente scoperta di acqua salmastra sulla superficie del Pianeta Rosso ha indirizzato la ricerca di vita verso le zone dove è più probabile che si trovino microrganismi. Però la possibile contaminazione da parte di batteri trasportati dalla Terra con le missioni di esplorazione mette a rischio l’obiettivo di scoprire forme viventi autenticamente marziane. Gli scienziati della NASA hanno annunciato di aver trovato la prova più convincente mai ottenuta che Marte, in passato ritenuto un pianeta arido, sterile e sostanzialmente privo di vita, può invece ospitare organismi viventi. Su alcune regioni del Pianeta Rosso è infatti presente acqua liquida, che scorre lungo i pendii e si accumula alla base delle colline e dei crateri equatoriali in pozze in cui potrebbe fiorire la vita. Queste importanti zone di Marte potrebbero essere i luoghi del sistema solare più adatti alla ricerca di vita extraterrestre, un compito tutt’altro che facile. L’esame delle regioni potenzialmente abitabili di Marte alla ricerca di segni di vita è senza dubbio l’obiettivo principale dell’invio di esseri umani sul Pianeta Rosso, ma secondo un nuovo studio congiunto della National Academy of Science e della European Science Foundation, oggi non siamo preparati per questa missione.

Tuttavia, i problemi non sarebbero il rischio di esplosione di razzi, i budget ridotti, i giochi politici al limite della legalità o il supporto popolare troppo volubile, cioè tutte le spiegazioni avanzate dai sostenitori dell’esplorazione spaziale per la lunga attesa dei viaggi con equipaggio oltre l’orbita terrestre. Piuttosto, il problema è la vita stessa: ovvero la tenacia dei microbi terrestri e la potenziale fragilità di quelli marziani. Si è scoperto infatti che il modo più semplice per trovare la vita su Marte potrebbe essere importare i batteri da Cape Canaveral, causando una contaminazione che potrebbe sabotare la ricerca di quelli marziani. La necessità di proteggere un’eventuale biosfera marziana dalla contaminazione terrestre potrebbe “impedire” all’equipaggio di sbarcare o di accedere ad alcune zone” dove potrebbe esistere la vita marziana. Anche se questa idea non è una novità, la sua franca e formale ammissione da parte di un autorevole studio è da considerare un evento. La NASA ha in programma d’inviare uomini su Marte entro il 2030; comprensibilmente, il fatto che quelle missioni possano inevitabilmente comportare rischi di contaminazione estremi non è una cosa che l’agenzia desideri mettere in evidenza proprio mentre è impegnata a studiare le possibili soluzioni al problema. Fino a ora, la “protezione planetaria” di Marte ha riguardato l’esplorazione robotica. Il rischio di contaminazione è un problema anche per le macchine, che però, a differenza degli umani, prima del lancio possono tollerare di essere irradiate e inondate di sostanze chimiche aggressive per distruggere batteri clandestini. Microbi che si rifiutano ostinatamente di morire saltano fuori regolarmente nelle camere bianche apparentemente sterili usate dalla NASA per la preparazione di veicoli interplanetari. Anche gli astronauti della missione Apollo hanno trovato batteri sulla Luna, sopravvissuti a un vuoto quasi totale all’interno del lander robotico Surveyor 3, atterrato sul pianeta più di due anni e mezzo prima. Se i microbi terrestri possono vivere in posti come quello, perché non in alcune delle parti più abitabili di Marte?

L’Outer Space Treaty delle Nazioni Unite del 1967 vieta la “contaminazione pericolosa” di altri mondi con forme biologiche terrestri, e un’organizzazione internazionale chiamata COSPAR (Committee on Space Research)  stabilisce protocolli di protezione dei pianeti a cui devono attenersi Stati Uniti, Europa, Russia e le altre nazioni firmatarie che si accingono a viaggiare nello spazio. Per proteggere Marte, dal 2002 il COSPAR ha definito alcune ristrette “regioni speciali” sul pianeta, dove la temperatura e l’umidità sono sufficienti a supportare la vita di organismi marziani o di invasori terrestri. A causa del rapido progresso in atto nelle nostre conoscenze sull’ambiente marziano e dei limiti fondamentali della biologia terrestre, la definizione precisa delle regioni speciali resta però “work in progress”, e viene rivista ufficialmente ogni due anni. La nuova review congiunta, pubblicata poche settimane fa, ha raccomandato la revisione delle conclusioni di un rapporto del 2014 del Mars Exploration Program Analysis Group della NASA sulle regioni speciali del COSPAR. Quanto più da vicino i planetologi guardano Marte, tante più numerose sono le regioni speciali che pensano di vedere. Le regioni speciali punteggiano l’equatore e le medie latitudini del pianeta, in canaloni erosi e ripidi, pendii rocciosi di colline e crateri dove, secondo le nuove prove pubblicate sul numero di “Nature Geoscience” del 28 settembre del 2015, l’acqua salmastra fluisce e si accumula dalle falde acquifere durante le estati marziane.

Regioni speciali possono anche essere trovate in grotte, sotto le calotte polari e nei punti caldi geotermici di attività sismica o vulcanica. Appena cinque metri sotto la superficie, dove le acque sotterranee possono persistere in forma di ghiaccio, vaste aree del pianeta possono essere considerate regioni speciali che aspettano solo di essere trasformate in un accogliente paradiso idrico per i microbi dal calore proveniente da un cratere da impatto di nuova formazione o dalle operazioni di un veicolo spaziale appena atterrato. La review sottolinea che le regioni speciali potrebbero esistere anche in corrispondenza delle misteriose sorgenti di metano recentemente rilevate su Marte. Sulla Terra, questo gas è prodotto principalmente da microbi, ma le quantità osservate su Marte potrebbero aver origine da fonti abiotiche, anche se tali vie di produzione senza vita richiederebbero comunque acqua allo stato liquido.

Ma per sapere con certezza se uno di questi luoghi sia davvero una regione speciale, probabilmente occorre visitarli, cosa molto difficile da fare con gli attuali protocolli. Prima di visitare una regione speciale, un veicolo spaziale dovrebbe essere, in parte o per intero, sterilizzato rigorosamente secondo regole rigide, il che comporterebbe ulteriori anni di sviluppo e molti milioni di dollari per finanziare una missione. E anche così, i protocolli potrebbero non essere abbastanza rigorosi: le tecniche attuali non sono in grado di sterilizzare completamente una sonda spaziale, e nessuno sa realmente quali siano le condizioni di soglia perché i batteri riescano a stabilire colonie autosufficienti e vitali su Marte o sulla Terra. La prime, e finora uniche, missioni verso Marte della NASA dedicate esplicitamente alla ricerca della vita sono stati i lander gemelli Viking, atterrati sul Pianeta Rosso nel 1976. Da allora tutti gli altri si sono concentrati sulla ricerca di segni di vita nell’antico passato di Marte, invece che nel suo presente. Se non ci si può fidare neppure dei robot sterilizzati per avventurarsi in regioni speciali, che dire di esseri umani pieni di microbi? Se gli astronauti fossero autorizzati a visitare solo luoghi al di sotto degli standard per cercare la vita su Marte, la NASA o qualunque altro soggetto riuscirebbero a giustificare le decine o le centinaia di miliardi di dollari necessari per mandarli lassù? Se un equipaggio umano atterrasse in un’area ritenuta poco adatta alla vita, ma scoprisse condizioni abitabili o forme viventi, dovrebbe spostarsi immediatamente, riprendere il razzo e tornare in orbita? Queste e altre domande senza risposta mostrano come la scoperta di una biosfera marziana attuale potrebbe essere, per diverse ragioni, la realizzazione del più grande sogno della NASA o il suo incubo peggiore. E spiegano il fatto, altrimenti inspiegabile, che nella ricerca di vita su Marte da parte della NASA sono stati accuratamente evitati i luoghi in cui potrebbe essere trovata con buona probabilità.

Carl Sagan, noto astronomo, divulgatore e autore di fantascienza, sosteneva che se la vita venisse mai trovata sul quarto pianeta, “Marte apparterrebbe ai marziani, anche se fossero solo microbi”. In questa prospettiva il pianeta sarebbe da considerare un santuario intoccabile, vietato per sempre all’invadente essere umano. Una prospettiva diversa sostiene che gli sforzi di protezione planetaria sono inutili, forse anche ingenui: per effetto della probabile contaminazione da veicolo spaziale avvenuta in precedenza, o degli antichi scambi di materiali proiettati nello spazio dagli impatti di massicci asteroidi, Marte probabilmente ha già sperimentato molte ondate d’invasori terrestri, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere facilmente respinta da qualsiasi biosfera nativa, più adatta all’ambiente del pianeta. Tra le tante incertezze, si legge nella nuova review, una cosa è molto chiara: “Le implicazioni della protezione planetaria dovute all’invio di astronauti su Marte sollevano enormi interrogativi all’incrocio tra scienza, ingegneria, tecnologia, gestione dei progetti e politiche pubbliche”. Per la NASA e le altre agenzie spaziali, il vero significato della dichiarazione dovrebbe essere altrettanto chiaro: anche se svantaggiose, le questioni relative alla protezione planetaria connesse alle missioni con equipaggio su Marte sono troppo importanti per poterle rifiutare, eludere o minimizzare. Ora è il momento di iniziare ad affrontarle. In caso contrario, i viaggi umani lassù potrebbero non riuscire o, nel peggiore dei casi, rivelarsi dei fallimenti in grado di spegnere le speranze di studiare campioni incontaminati di vita marziana.

Colonizzazione di Marte

Se, com’è probabile, fra moltissimi anni la Terra diventerà un luogo non più abitabile dall’uomo, rifugiarsi su Marte potrebbe essere una buona idea. Persino con le tecnologie attuali la durata del viaggio è accettabile: solo sei mesi. Il giorno marziano, il Sol, dura quasi come il nostro, appena 39 minuti in più. L’inclinazione dei due pianeti è simile (25,19° contro i 23,44° della Terra) e dunque anche su Marte ci sono le stagioni, che durano quasi il doppio, visto che l’anno marziano equivale a 1,8 anni terrestri.

Prima di partire c’è però un grande lavoro preparatorio da fare: anche se Marte è il pianeta più ospitale del sistema solare, per come stanno le cose adesso un essere umano potrebbe sopravvivere solo un minuto sulla sua desolata superficie. La Nasa è però convinta che sia possibile “terraformare” un pianeta inospitale, rendendo il suo ambiente adatto alla sopravvivenza degli umani. Ci vuole molto tempo e sono necessari così tanti soldi che nessuno Stato da solo li possiede, ma in teoria si può fare.

Su come rendere Marte simile alla Terra sono state fatte molte simulazioni, che partono da una cosa che l’uomo ha dimostrato di saper fare molto bene: riscaldare l’atmosfera del pianeta attraverso gas serra. Le temperature su Marte sono simili a quelle dell’Antartide, basterebbe una relativamente modesta immissione di gas a effetto serra per rialzarle di 3 o 4 gradi, sufficienti a liberare anidride carbonica dalle calotte polari, amplificando il riscaldamento. Quasi tutta l’acqua ghiacciata, presente sul pianeta, comincerebbe a sciogliersi, la pressione atmosferica aumenterebbe, trattenendo l’acqua al suolo e l’aria sarebbe composta solo da anidride carbonica: un processo che farebbe salire la temperatura di altre decine di gradi. A questo punto, bisognerebbe fare crescere alghe e piante, preparando prima un suolo fertile, che attraverso la fotosintesi trasformerebbero l’anidride carbonica in ossigeno. Per riscaldare Marte occorrerebbero, secondo gli scienziati, solo alcune decine di anni, ma non si sa quanti ce ne vogliano per dotare il pianeta di un’atmosfera respirabile: si pensa migliaia, ma le tecnologie per raggiungere il risultato potrebbero migliorare e ridurre i tempi a qualche secolo.

Dopo avere accantonato, salvo ripensamenti, il progetto di un ritorno sulla Luna, Marte è diventato il principale obiettivo non solo della Nasa, ma anche di società private come Mars One, che progetta di realizzare nel 2026 una base sul pianeta. Per i primi coloni non sarà semplice. Sarà come vivere in un deserto con la temperatura del Polo Sud e con la pressione atmosferica che si trova a 34 km di quota. Inoltre Marte non ha una magnetosfera come la Terra ed è dunque privo di difese dal vento solare, un problema serio, ma non insormontabile. Secondo alcuni scienziati che lavorano al progetto, i primi coloni potrebbero rifugiarsi nella Valles Marineris, l’ancora misteriosa «ferita», lunga 3 mila km e profonda 8. Al fondo della valle la pressione atmosferica è più alta e le condizioni sarebbero un po’ meno ostili.

Tempo fa, la Nasa aveva diramato un’immagine di come doveva essere Marte nel momento migliore: aveva un oceano che copriva un quinto della superficie, un’atmosfera e un habitat che probabilmente ospitava forme di vita. Speriamo non sia quello che diranno in futuro i nostri discendenti marziani, guardando da un telescopio l’arida Terra.

Molte sono le date e i progetti per esplorare il pianeta Marte, la più vicina e quella di Space X, (Space Exploration Technologies Corporation) che è un’azienda aerospaziale statunitense privata con sede a Hawthorne, USA. La quale ha fatto sapere che manderà su Marte una navicella senza uomini entro il 2018. La Nasa, per conto suo, non ritiene possibile una missione umana prima del 2035. L’unica speranza di vedere un umano camminare su Marte prima di quella data è appunto MarsOne, che prevede il lancio nel 2026 di astronauti che non facciano più ritorno sulla Terra, ma che si stabilizzino per sempre su Marte, in una base permanente.

Ma il progetto Mars One ha sollevato molte perplessità: partire per Marte, fondarvi una colonia abitativa e restarci vita natural durante. è  appunto l’obiettivo dell’ambiziosissimo progetto Mars One: una missione umana per colonizzare il Pianeta rosso, a partire dal 24 aprile 2023, al ritmo di quattro astronauti l’anno, per un totale di ventiquattro esseri umani. L’aspetto più intrigante, diciamo così, del progetto è che non è previsto alcun biglietto di ritorno: mancano soldi e tecnologia, almeno per ora, per immaginare e progettare un rientro sulla Terra. La missione, com’è ovvio, ha suscitato un grandissimo interesse mediatico. Il progetto ha dei limiti notevoli appena confermati da Joseph Roche, astrofisico al Trinity College’s School of Education a Dublino, un altro dei fortunati a strappare un biglietto per la finale.

Roche, infatti, ha raccontato a Elmo Keep, di Medium, i punti deboli di Mars One. La missione, vissuta dall’interno, mostra ancora più falle di quelle visibili da fuori. Una su tutte: stando a quel che racconta Roche, molti finalisti avrebbero comprato la propria ammissione all’ultimo stadio delle selezioni, e sarebbero continuamente incoraggiati a “donare” il denaro ricevuto per interviste e apparizioni televisive agli organizzatori della missione.“Quando ti unisci alla “Mars One community”, il che succede automaticamente se fai domanda di candidatura, cominciano ad assegnarti un punteggio”, spiega Roche.“Si ottengono altri punti superando le selezioni (un numero arbitrario di punti, non c’è una classifica vera e propria). Successivamente l’unico modo per accumulare punteggio è comprare il merchandising di Mars One o donare direttamente denaro”. Qualche conticino (e qualche pulce nell’orecchio) era già stato evidenziato: ogni aspirante astronauta ha versato, all’atto dell’iscrizione alle selezioni, una quota variabile tra 5 e 75 dollari, a seconda della ricchezza del paese di provenienza. Moltiplicato per 200mila domande (altro punto spinoso perché Mars One ha dichiarato di aver ricevuto 200mila richieste, mentre Roche sostiene siano poco meno di 3mila, un po’ come le diatribe tra manifestanti e questure, il che fa comunque una bella sommetta. In proposito, Aliprandi, l’unico italiano selezionato, risponde sul suo blog di “non aver mai comprato nulla per essere scelto”, e di aver devoluto a Mars One non più di 60 euro, “26 una-tantum per la registrazione della candidatura, 28 per l’acquisto di una maglietta e 90 centesimi per la raccolta fondi”.

I finalisti, continua Roche, avrebbero addirittura ricevuto una lista di “suggerimenti” su come comportarsi con le richieste di interviste, che includeva la seguente affermazione: “Se vi si offre denaro per un’intervista, sentitevi liberi di accettarlo. Vi chiediamo gentilmente di donare il 75% della somma a Mars One”. Gentilmente, ma senza troppi giri di parole. La richiesta è stata confermata anche da Aliprandi (“Va bene, magari 75% può essere una percentuale un po’ alta, ma è previsto che ci diano anche uno stipendio, in futuro”, dice in proposito).

Altro che incassi miliardari derivanti dai diritti televisivi sulla missione: i principali finanziatori di Mars One sono stati, finora, gli stessi che hanno presentato domanda per partecipare. Il processo di selezione, sempre stando a quel che dice Roche (che, tra le altre cose, è un ex ricercatore Nasa), è un altro punto critico dell’intero progetto: “Non ho incontrato di persona nessuno di Mars One. All’inizio ci hanno detto che avremmo sostenuto diversi colloqui: avremmo dovuto presentarci al quartier generale di Mars One e sottoporci a prove della durata di più giorni, il che mi sembrava un processo di selezione abbastanza legittimo”.

Le cose, però, sono andate molto diversamente: “Ci hanno fatto firmare un contratto di riservatezza, e le cose sono rapidamente cambiate. Un colloquio di più giorni è diventata una chiacchierata su Skype di 10 minuti”. Quello che racconta Roche collima con quanto ci aveva già spiegato Aliprandi: il processo di selezione (per dei potenziali astronauti chiamati a colonizzare Marte, ricordiamolo) è consistito finora nel completamento di un questionario, il caricamento di un video, la presentazione di un esame medico generico e una conversazione su Skype. Un po’ poco, se si pensa che, per esempio, la Nasa richiede ai piloti almeno 1.000 ore di esperienza di volo per poter essere considerati aspiranti candidati all’astronautica (come comandante di missione). “Questo significa”, conclude Roche, “che tutte le informazioni che hanno su di me vengono dal video che ho inviato, da un questionario che ho compilato con risposte di una sola parola e da un’intervista via Skype molto veloce. Non ci sono abbastanza informazioni per giudicarmi”. Rispetto a questo punto, Aliprandi, sempre nel suo blog, commenta dicendo che “la vera selezione, della durata di 2 settimane e seguita da un’ampia commissione in prima persona, deve ancora iniziare; finora, i candidati sono stati solo eliminati perché non risultavano abbastanza convincenti per essere valutati, e forse nemmeno considerati”.

Dulcis in fundo, torniamo a parlare di soldi. I costi della missione, stimati (abbastanza ottimisticamente) in 6 miliardi di euro, dovrebbero essere coperti dalla vendita dei diritti televisivi per un reality show sull’addestramento dei futuri astronauti. Ma, a quanto pare, Endemol e altre aziende televisive si sono tirate fuori dal business. E persino Gerardus Hofft, premio Nobel per la fisica indicato come testimonial del progetto, se ne è tirato fuori, dichiarando che la missione “non è realistica” e che potrebbe partire “tra cento anni, certamente non tra dieci”.

Dal canto suo, Bas Lansdorp, creatore di Mars One, ha replicato spiegando che le dichiarazioni di Roche non sono veritiere: “Ci sono molti finalisti che non hanno donato denaro a Mars One. E ci sono molti candidati che non sono arrivati in finale pur avendo eseguito parecchie donazioni. Le cose non sono connesse, e chi afferma il contrario è un bugiardo”. Lansdorp continua a sostenere di aver ricevuto 200mila candidature, e che le critiche ricevute lo aiuteranno a migliorare la missione. Staremo a vedere.

(12 – continua)

Giovanni Mongini