ED-WOOD & L’ETOLOGIA DELLE DISFATTE

Scorrendo la biblioteca (ri)trovo un libercolo editato nel 1998 dalla meritoria Derive & Approdi e curato, con nota filologica di splendore, da Marco Giovannini; l’opera è uno scritto, creduto lungamente perduto, di Ed Wood e risalente agli anni Sessanta americani. Ed Wood è l’Ed Wood di Burtoniana/Deppiana memoria, ossia “il peggior regista del mondo”, qui nelle vesti, per lui abituali, forse più di quelle da director, di scrittore, saggista brillante e spiritoso, cinico al punto giusto… Hollywood: la corsa dei topi, pp. 141 contando la nota introduttiva che serve ad inquadrarci l’autore e il volume.

Hollywood è un saggio diviso in 13 capitoli, di sproporzionata e digressiva lunghezza, incentrati sull’elargizione di molteplici istruzioni (o consigli) ad uso di aspiranti divi, scrittori o altro nel sordido (e scintillante) ambiente del cinema americano. Gli anni sono quelli della seconda metà dei Sessanta, all’incirca a un passo dalla nuova Hollywood dei De Niro, Scorsese, Coppola, De Palma, Nicholson ecc. Ed Wood invece è già da un pezzo sul viale del tramonto, alcolizzato condannato a scrivere dei romanzacci pulp (equivalenti dei nostri Racconti di Dracula) o delle sceneggiature per pornazzi sgangherati e musicarelli. Da regista gli mancheranno ancora un paio di tasselli, tra cui lo splendidamente colorato/cartoon Necromania, distribuito anche da noi nelle edicole.

Ma torniamo a Hollywood: la corsa dei topi.

Ciò che diverte (e colpisce) nella lettura del libro è lo spirito camp dell’autore (uno stile che non rinuncia a certi vezzi a cui ci ha abituato, come, ad esempio, le citazioni sul golfino d’angora). L’Ed scrittore costruisce un saggio che, a monte, è una squisita operazione artefatta e inutile: un manuale per aspiranti al successo scritto da un fallito cronico, uomo abituato a muoversi nei fondi limacciosi di produzioni a zero budget, a lavorare con attori non-attori al tramonto o con troupe composte da handicappati, sordi, ciechi e via dicendo. Hollywood è uno squisito monumento glamorous (che fa il paio col lacerto extra-fonico arbasineggiante del precedente saggio biografico di Rudolph Grey editato dalla Frassinelli nel 1994 per l’Italia, la cui appendice bibliografica – spettante i pulp editati da Wood – è talmente bella da togliere il fiato) di estetismo cinematografico al ribasso, di dandismo di massa, di frivolezze concernenti attori famosi intravisti col binocolo e altri sublimi luoghi comuni (lo sbarco a Hollywood dell’aspirante starlet la quale, dai palcoscenici della polverosa provincia, si tuffa nel magma in cerca di gloria e finisce sodomizzata sui divanetti di qualche produttore senza pellicola, senza film, senza niente). Eddy ci da dentro come un pazzo nel de-costruire tutte le ambizioni degli aspiranti, gettandoli in pasto a un universo bidimensionale e fashionable di (s)oggetti di moda, datati in un presente (già passato, tra-passato) quando lui scriveva.

L’ambizione camp di Wood è in questo saggio-romanzo (in fondo una autobiografia rivolta verso un immaginario doppio, quasi un monito affinché non si ripetano gli stessi passi perduti dentro una bottiglia, o forse proprio perché si ripetano ancora e ancora per continuare a fallire, come in uno sforzo di catalogazione di tutte le disfatte possibili) senza romanzo, una memoires maniacale senza memoires, senza nulla da dire, da raccontare veramente.

Tra luoghi comuni, miss qualcosa, concorsi, boulevard scintillanti e lynchiani, uomini d’affari, beautiful people, motel di bassa categoria, provini senza pellicola nel caricatore, un Bela Lugosi sfatto&strafatto, affabulazioni confuse basate sul “sentito dire”, sul capriccioso, il leggero, il casuale, Eddy ci trasporta in un viaggio al termine della notte, in una location noir artificiosa e disumana, per cui vale solo (la posa &) la pena di dissolversi nel nitrato d’argento (non ancora digitalizzato dal capitalismo finanziario).

Resta l’ombra del grande romanzo americano (o Europeo, perché no?) e la sagoma dello scrittore attaccato agli ultimi brandelli di storia.

Una qualunque.

Pur di raccontare ancora un pochino.

Prima dell’ultimo sorso.

Grande libro (scomparso)!

Meriterebbe una ristampata!

Buona la prima!

Davide Rosso