LEGGENDE DIABOLICHE DELLA BERGAMASCA

Il Diavolo ha sempre fatto parte dei racconti della tradizione popolare, soprattutto di quella agricolo-rurale, così lontana dalla frenesia della città, tanto ai giorni nostri quanto nel lontano passato. Spesso e volentieri la figura di Satana e dei suoi adepti ha fatto capolino nelle leggende più nei paesi che nei capoluoghi, vuoi per spiegare fatti altrimenti inspiegabili in situazioni di disagio sociale ed economico maggiore vuoi per il forte attaccamento alle credenze religiose che la società agricola ha sempre avuto. Il territorio della bergamasca non si esime da questo contesto, anzi moltissime sono le dicerie e le storie che riguardano il Diavolo sparse in tutto il territorio.
Cominciamo il nostro percorso diabolico nella provincia di Bergamo dalla mulattiera che si snoda tra Aviatico e Costa Serina: giunti a un certo punto, di fianco alla strada, si trova una pietra piatta, rettangolare, sulla quale sono chiaramente visibili le impronte di due piedi bovini e la sagoma di uno di quei caratteristici lumi metallici a olio che si usavano un tempo. La leggenda vuole che un tempo le famiglie di quella zona proibissero ai figli di andare a ballare, ma, nonostante il divieto, una ragazza frivola e capricciosa della località chiamata Trafficanti, qualche domenica, trovando il modo di recarsi ad Aviatico, andava a ballare in una certa osteria. Una sera, mentre stava tornando a casa, fu accompagnata da un ragazzo sconosciuto che, arrivato nel punto sopra indicato della strada, depose il lume che aveva con sé per illuminare il cammino e invitò la ragazza a fare un altro balletto proprio sopra quella pietra. La fanciulla acconsentì, ma dopo i primi passi, guardando verso il basso, si accorse che il suo cavaliere aveva stinchi e piedi bovini. Guardandolo in faccia si accorse a quel punto che il suo aspetto era cambiato e che quello che aveva davanti a sé era il Diavolo in persona. Non fece in tempo a urlare dallo spavento che la pietra si aprì e inghiottì la ballerina e il suo damerino d’Averno. In questa zona si credeva talmente tanto a questa leggenda che, perfino trent’anni fa, le donne che passavano per quei luoghi si facevano il segno della Croce e le mamme più anziane facevano notare quelle impronte alle figlie affinché si guardassero dai peccati di vanità e di disobbedienza.
Proseguendo il nostro viaggio diabolico nella provincia bergamasca ci spostiamo a Seriate, dove si trova una specie di portale aperto tra due larghi stipiti che serve d’ingresso al viale che conduce alla casa di campagna detta Celladina. Fu costruito nel 1550 da Sandro da Sanga per ordine del Conte Gian Giacomo de’ Tassis della famiglia del grande Torquato, allora proprietario della casa. La leggenda popolare vuole invece che quella costruzione fosse sorta per opera del Diavolo in persona, in una sola notte. Si dice anzi che questo in una delle notti successive, l’avesse demolita e poi rifatta subito in pochissimo tempo. Dello sveltissimo muratore infernale ovviamente nessuna traccia, all’infuori di un forte odore di zolfo che, nelle sere di temporale quando laggiù c’è lite in famiglia, si spanderebbe tutto attorno al manufatto.
Andiamo ora nella contrada Carale, nell’Alta Valle Brembana, dove si narra ancora oggi la leggenda del “Rossal”, un uomo burbero, selvatico e violento, che viveva di ruberie ai danni delle persone del luogo. Il suo soprannome era dovuto al colore rossiccio dei capelli e della barba. I suoi misfatti erano tanti e tanto gravi e dalla sua bocca non uscivano altro che bestemmie e parole sacrileghe che il Rossal era davvero un tipo temuto e tenuto lontano da tutti. Un bel giorno Lucifero in persona, esaminando i suoi registri, si accorse che costui era ormai maturo per l’Inferno, perciò fece chiamare quattro dei suoi più abili e cattivi diavoli e li spedì sulla Terra, affinché gli portassero il Rossal in persona. Il giorno dopo, era di domenica, mentre la gente si recava in chiesa, il Rossal, con lo schioppo in spalla, si diresse invece verso i monti. Dopo aver girato per tutta la mattina senza incontrare anima viva, arrivato al costone della Snandra, vide ben quattro camosci che pascolavano davanti a lui. Mentre li guardava, gli animali presero a crescere a dismisura, avvicinandosi a lui. Ma dal villaggio giunse all’improvviso il suono delle campane della chiesa e i quattro messi infernali camuffati scomparvero in una fumata. Il Rossal tornò a casa, dispiaciuto per le quattro bestie scappate, piuttosto che spaventato. Dopo il fallimento dei quattro diavoli, al cospetto di Belzebù si presentò un diavoletto zoppo, molto malridotto che gli promise di portargli il Rossal in otto giorni. Quest’ultimo una domenica sera, mentre stava tornando a casa con un camoscio sul dorso, si accorse che c’era una specie di maiale con le corna che si infilava in mezzo alle sue gambe, impedendogli di procedere. Questo maialetto era il diavoletto zoppo che si era tramutato in quell’animale. Il maiale prese improvvisamente a ingrossare e il Rossal gli assestò una violenta pedata, tanto che questi scomparve in uno scoppio fragoroso, seguito da una violenta frana che travolse il Rossal, trascinandolo molto in basso nella valle. Riuscì a sopravvivere per ancora pochi giorni e quando, allo scadere dell’ottavo giorno, morì, il suo animo fu portato all’Inferno dal diavoletto zoppo, che così mantenne la sua promessa fatta al Generale dell’Inferno.
Sempre nell’Alta Valle Brembana, ma stavolta a Cusio, si narra un’altra leggenda altrettanto diabolica, quella del cosiddetto Avarone. Costui era un giovane mandriano al servizio di un ricco padrone che lo maltrattava e spesso malmenava. Questo trattamento nei confronti del ragazzo non fece altro che renderlo più forte e più resistente, tanto che riuscì ad arricchirsi con alcuni affari andati a buon fine. Ben presto riuscì a diventare talmente ricco da dedicarsi al commercio per conto proprio. Crescendo divenne un uomo cosi avaro da guadagnarsi il soprannome di Avarone. Un giorno riuscì a concludere un affare molto importante, ingannando un suo amico in fallimento e facendosi vendere un enorme campo in cima a un monte nelle vicinanze di Cusio. Arrivato in cima, dopo molta fatica e dopo molto cammino, si accorse però con estrema rabbia e delusione che i campi comprati per un prezzo bassissimo erano inutilizzabili, poiché pieni di pietre. Non sarebbe stato possibile farne niente. Con la rabbia che avvampava nel suo cuore, si ritrovò a dire che avrebbe venduto la sua stessa anima al diavolo, pur di poter utilizzare quei campi. Non fece in tempo a concludere la frase che tra due massi comparve il Diavolo in persona. In cambio della sua anima, Satana si prese la briga di ripulire il campo con un centinaio di altri diavoli minori. Soffione, uno dei diavoli, soffiò via le pietre talmente forte da renderlo completamente sterile. Avarone scappò via spaventato e andò nella vicina chiesa dove si attaccò alle campane e le suonò finché l’armata infernale non fu completamente scomparsa. Nessuno ha mai più osato andare su quel campo da allora, poiché si dice che sia maledetto e nessuno sa che fine abbia fatto Avarone, ma, in memoria di lui, il monte fu soprannominato Monte Avaro.
Spostiamoci ora a Gazzaniga, dove si dice che, là dove ora sorge un colorificio, si stendesse un tempo un grande prato con una casa colonica, nella quale nei giorni di festa i giovani si radunavano a ballare con grande disappunto del parroco. Una notte una giovane, che ballava con un elegante damerino, abbassandosi per allacciarsi una scarpa, si accorse con orrore che il suo ballerino aveva piedi e stinchi di caprone. Gridò e tentò di svincolarsi dalle braccia del giovane, ma questi sparì, sollevando una fumosa fiammata e facendo crollare tutto il cascinale. Da allora quel prato fu chiamato il “Prato del Diavolo”.
Concludiamo il nostro itinerario diabolico nella provincia di Bergamo a Schilpario dove, nella località detta Paladina, a poca distanza dal centro del paese, si dice vi fosse un’osteria dove la domenica i giovani erano soliti radunarsi per divertirsi smodatamente. Il parroco aveva più volte esortato le madri a proibire quei convegni ai figli e soprattutto alle figlie, ma invano. Una domenica sera, durante una funzione in chiesa, lo stesso parroco, ispirato dal cielo mentre predicava, disse: «Chi ha figlioli e figliole ai Forni della Paladina sappia che lassù è apparso il Diavolo e va tutto in rovina». Seguito dalla popolazione, si portò sul luogo e non vi trovò che una voragine senza più nessuna abitazione.
Che tutte queste storie siano leggende o realtà, in ogni caso… non sentite anche voi puzza di zolfo?
24/01/2009, Davide Longoni