DA DYLAN CON ORRORE

Il testo che segue è la versione integrale della relazione scritta per la conferenza “Il fumetto horror: tra esorcismo e fenomeno di moda”, tenutasi in data 21 giugno 1991 a Coccaglio (Brescia), organizzata dal Circolo Culturale L’Altritalia. Anche se di acqua ne è passata davvero tanta sotto i ponti (16 anni!), abbiamo ritenuto opportuno pubblicarla lo stesso in questa sede, in quanto il testo ci è sembrato ancora valido ed interessante… soprattutto per chi allora non c’era!
Ma, senza ulteriori ciance, diamo spazio ora alla relazione.
Prima di cercare di capire i motivi del successo di Dylan Dog, e conseguentemente degli altri fumetti horror di questo periodo, vorrei brevemente analizzare, da un punto di vista storico-cronologico, la testata in sé.
Dylan Dog, pubblicato da Sergio Bonelli Editore (lo stesso di Tex, Zagor, Martin Mystere, Mister No e moltissimi altri fumetti che hanno fatto storia) nasce cinque anni fa (ora 21 anni fa, ndr) dall’abile penna e dalla mente geniale di Tiziano Sclavi, giornalista e scrittore. Sclavi era già stato anche autore di molte serie per ragazzi all’interno dello scomparso “Corriere dei ragazzi” e sul “Corriere dei piccoli”: dunque, come si dice in gergo, è “uno del mestiere”.
Dylan Dog è un indagatore molto particolare: infatti la sua specialità sono gli incubi, di ogni genere e sorta, dai mostri ai fantasmi, dagli spiriti ai vampiri e chi più ne ha più ne metta. Ex-agente di Scotland Yard, allontanato proprio per il suo “pallino” per il soprannaturale e per una certa predisposizione al bicchiere di troppo (ma ora è astemio), Dylan vive con il suo partner, un sosia di Groucho Marx, pasticcione e con la battuta sempre pronta. E mi fermo qui… o servirebbe un’altra conferenza solo per parlare del personaggio.
Ciò che mi preme è analizzare invece le tematiche che il fumetto affronta, che, penso, siano da ritenersi la chiave di lettura del suo successo.
A prima vista si potrebbe dire che i tempi principali di Dylan Dog siano l’horror e l’ironia, due generi che sembrerebbero antitetici, ma chi l’ha detto che non si possa far paura ridendo… o viceversa (ne abbiamo tra l’altro già parlato)? Laddove l’atmosfera inizia a farsi troppo pesante, troppo carica, ecco che subentra la battuta, il riso, quasi a smorzare l’effetto cupo che si stava in quel momenti creando.
Dunque commedia horror o horror-comico?
La risposta esatta penso sia: entrambi e nessuno dei due. Entrambi nel senso che a una lettura superficiale si potrebbe propendere ora per l’uno ora per l’altro genere. Nessuno perché guardando tra le righe Dylan è ben altro… o meglio, è molto di più!
Anzitutto Dylan non è un Rambo che fa a pezzi tutto e tutti e vince sempre, come è stato definito da persone che ritengono il fumetto ancora un mezzo senza dignità o un fenomeno di folklore o letteratura spazzatura per deficienti sub-normali, tutt’al più per bambini.
L’intera opera sclaviana, perché è giusto ritenere Dylan Dog un’opera, è permeata da varie tematiche di ampio respiro che vanno dalla filosofia alla psicologia, dalla letteratura al cinema (e non solo di genere fantastico), dall’autobiografia alla Cultura con la “C” maiuscola, dalla poesia all’attualità… tutti temi affrontati con grande maestria e un sapiente dosaggio sia dallo stesso Sclavi sia da tutti gli altri sceneggiatori che si sono avvicendati nella serie quando Tiziano si è preso un periodo di riposo dal suo personaggio.
Come ha detto Alfredo Castelli (ideatore di “Martin Mystere”, altro cavallo di battaglia di Sergio Bonelli Editore): “in Dylan Dog l’orrore è solo un pretesto per raccontare storie di sentimenti e di poesia”. E non possiamo dargli torto!
Ma cerchiamo di vedere una per una le varie tematiche vincenti affrontate da Sclavi, a prescindere dal fatto che si tratti di una serie horror o meno.
Per cominciare partiamo da quella che definisco la filosofia di Dylan Dog, una filosofia che forse non ha nulla a che vedere con le “strabilianti” concezioni di Kant, Nietsche o Spinosa, bensì una semplice filosofia di vita. Secondo Dylan/Sclavi (e qui il binomio è più che mai legittimo) la nostra vita è circondata dal Male, un male non tanto astratto, quanto un male concreto, palpabile, che ogni giorno cerca di vincere sul Bene, spesso riuscendovi. Dunque l’eterna lotta fra Bene e Male, ma con esiti pessimistici, alla Leopardi per intenderci. Le storie frequentemente infatti finiscono con la sconfitta del Bene e anche laddove il Positivo riesce, anche se solo momentaneamente, a sopraffare il Negativo, il finale è però sempre molto amaro e la vittoria è stata ottenuta a caro prezzo. Non è vero che i buoni vincono sempre: nella realtà ciò non avviene quasi mai… e allora perché fingere?
Secondo concezione filosofica di Dylan Dog è quella racchiusa in questa domanda: “I mostri sono veramente Loro oppure i mostri siamo Noi?”. Effettivamente un concetto affascinante, già espresso tra l’altro anche da David Lynch nel film “The elephant man” e da Tod Browning in “Freaks”. La nostra mente fredda, razionale e calcolatrice taccia spesso e volentieri come “mostro” qualunque cosa o essere che non rientri in determinati schemi preordinati (non dimentichiamoci che i fenomeni da baraccone, i Freaks, venivano esposti al pubblico come attrazione da schernire o della quale inorridire… e non è passato molto tempo da allora) e così è facile creare dal nulla un mostro al quale appioppare tutte le nostre paure, una sorta di capro espiatorio dei nostri peggiori incubi… Non ci è stato detto forse così quando eravamo bambini? L’uomo nero, l’orco, il babau, la strega cattiva… ma chi erano i veri mostri? Queste inesistenti figure frutto della fantasia degli adulti o gli stessi adulti che le usavano a lo piacimento per spaventarci e non farci fare i capricci?
Dylan Dog vuole dunque far pensare il lettore e lo fa in maniera colta e ragionata: basterebbe vedere le varie citazioni fra le più disparate disseminate durante le storie… filosofi, pittori, cantanti, storici, scrittori, qualunque persona abbia fatto “pensare”, ecco che puntualmente la ritroviamo in Dylan Dog. Pensare sulla vita, soprattutto!
Inoltre questo personaggio non è un eroe senza macchia e senza paura (ex-alcolista, spesso turbato dagli stessi incubi dei suoi clienti, squattrinato perenne, costantemente alla ricerca dell’amore e quindi sempre innamorato di donne diverse con le quali non riesce però mai a legare per molto), ma una sorta di antieroe (anche se detto senza una connotazione negativa): egli ha paura, ma cerca di non pensarci, non per spavalderia, ma perché, se dovessimo sempre aver paura di ogni cosa brutta che succede, allora dovremmo sempre starcene rinchiusi in casa.
Tenebroso e cupo, Dylan ha un segreto nel passato: il suo peggior nemico si è rivelato essere suo padre. Complesso di Edipo? O piuttosto un altro aspetto della filosofia del “a-questo-mondo-le-cose-non-vanno-mai-come-dovrebbero-andare”? Propenderei più per questa seconda teoria, soprattutto perché il terzo “ingrediente” del famoso complesso di cui sopra, cioè Morgana, la madre, è in realtà più una sorta di tramite, di legame, di trait – d’union tra la figura del padre e quella del figlio, che non un motivo di discordia.
Dylan è umano, a volte fin troppo, e rispecchia, anche nelle sue numerose relazioni amorose, quella insicurezza che spesso ritroviamo nei giovani di oggi, quella ricerca di amore mai soddisfatta, quella ricerca (forse) di nuovi ideali perché quelli vecchi ormai non bastano più o sono, più semplicemente, stati superati.
Immedesimazione? Sicuramente un altro punto a favore del successo di Dylan Dog.
E che dire poi dei numerosi legami con i problemi sociali: dall’Aids alla prostituzione, dalla guerra al problema del nucleare, dalla questione irlandese all’ecologia, dall’alcolismo (non dimentichiamo che il Nostro è un ex-alcolista) allo sfacelo della famiglia, dalla violenza sui minori all’abbandono degli anziani… e anche quello degli animali! Ce n’è davvero per tutti i gusti e, tra l’altro, Dylan Dog spesso viene usato come testimonial per campagne sociali.
Ma ora passiamo oltre.
A seguito del successo di Dylan Dog scoppiò in Italia la moda dell’horror (siamo a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta), che, oltre a far aumentare il numerosi film trasmessi in televisione (in base alla famigerata legge dell’audience), fece anche nascere numerose altre testate del genere, che tentavano di seguire altre strade, analizzando e sviscerando i numerosi sottogeneri del caso (dallo splatter al gore, dal soprannaturale al gotico).
Naturalmente non è detto che tutto ciò che sia e faccia moda, possa essere tacciato come “porcheria” (pensiamo al rock’n’roll negli anni Sessanta!). Alcune testate infatti sono riuscite ad ergersi dal gruppo, sostenendo un metodo di rapporto diretto con i lettori. Leggendo i vari “angoli della posta” di queste pubblicazioni, troviamo adolescenti pieni di problemi, disillusi, stanchi, demotivati che cercano nelle loro letture preferite il conforto di un “amico”.
La cosa naturalmente ha spaventato non poco le cosiddette “autorità” (dopotutto si stava distruggendo uno status quo): un “mostro” al di fuori degli schemi razionali stava “rubando” ai genitori il compito di confidarsi e dare consigli (e non era la solita rivistine per ragazze, ma un “giornaletto” zeppo di sangue, aberrazioni e atrocità)… insomma, un intruso si era messo tra loro e i figli… e che razza di intruso!
E qual è naturalmente il primo pensiero di un genitore nei confronti di un estraneo cui i figli sono molto legati? Sospetto. Paura.
Ebbene, tutto ciò è sfociato in un’istanza parlamentare (nientemeno!) e in una serie di articoli denigratori nei confronti del genere horror, pubblicati da quegli stessi giornali che pochi mesi prima avevano tessuto le lodi di Dylan Dog e dei suoi “mostruosi fratellini”.
Si è gridato allo scandalo, alla depravazione, alla devianza (ma chi veramente è un deviato? E chi non lo è?), addirittura al plagio di povere menti indifese e impreparate ad affrontare determinate tematiche (oggi farebbe un po’ ridere una cosa del genere… basta guardare per dieci minuti la televisione in qualunque orario per gridare allo scandalo, alla depravazione, alla devianza, al plagio… ma tutto questo accadeva più di quindici anni fa).
I lettori però si sentirono chiamati in causa: in sostanza gli si era dato, seppur in forma velata (perché è solo così che “certa gente” sa fare), degli imbecilli senza cervello! E da quale pulpito poi… da testate che spesso e volentieri ricorrevano (e ricorrono, ricorrono tuttora) al subdolo accorgimento della ragazza nuda in copertina (ma velata, naturalmente… beh, forse non troppo!) per vendere di più (fra le testate denigratorie era presente L’Espresso che il mese prima se n’era uscito con una bella ragazza nuda in copertina per pubblicizzare all’interno un articolo sugli effetti dei raggi solari sulla pelle… Tanto per fare un esempio! No dico, una bella isoletta assolata delle Maldive faceva schifo?). E furono proprio i lettori a rispondere al putiferio.
Ho scelto alcuni brani di una fra le lettere più significative (ma tenete conto che ne sono arrivate a centinaia di questo genere: questa non è che la punta di un iceberg). Così ha scritto a Dylan Dog un lettore di Trapani (pubblicato sul N. 57): “… qualcuno si sorprenderà, ma io sono un ragazzo normalissimo, che conosce gente altrettanto normale che legge questa “porcherie” (in riferimento a come Dylan Dog e le altre testate horror sono state chiamate, ndr). Sì, va bene, tengo nella mia stanza una finta mano tagliata, ho una simpatica pianta carnivora e un acquario tropicale con dei piranha, ma non vado in giro di notte a sgozzare la gente… i miei amici non mi credono un maniaco omicida solo perché mi piacciono determinate cose. A mio giudizio si diventa più idioti a stare ore e ore davanti alla televisione a guardare quiz stupidi e malinconiche telenovele… che a leggere un fumetto o un libro horror. Se credono che io mi faccia influenzare da tutto quello che vedo e che sento si sbagliano, perché non sono un cretino, né io né tutti i ragazzi che leggono fumetti. Questa è un’offesa bella e buona! Essere moralista è facile, specie in un Paese come l’Italia, dove ogni cosa, e specialmente le ondate di novità, viene criticata fino ad alzare un polverone per delle sciocchezze e ad addossare colpe a chi non ne ha. Sono sicuro che chi ha mosso determinate accuse contro il fumetto horror non ne ha mai letto uno. Io sono Cattolico Cristiano praticante e rabbrividisco come tutti vedendo le immagini che in questi giorni (i giorni della prima Guerra del Golfo, ndr) scorrono davanti ai nostri occhi. Censurarle sarebbe sbagliato: anche i bambini devono sapere dove i grandi sbagliano. Quelli non sono effetti speciali… tra le pagine di un fumetto le uniche cose che scorrono sono l’inchiostro e la fantasia. Forse i ragazzini… leggono gli horror anche perché la TV offre cartoni di pessima qualità, dove tutto va bene e la vita scorre tranquilla. La realtà non è così. Ho letto un articolo di una psicologa che dice che in queste letture si attua uno scambio di ruoli tra chi è il mostro e chi è la vittima, tra chi fa paura e chi ha paura: insomma, la paura viene per così dire esorcizzata. “I mostri siamo noi”, come direbbe il nostro Tiziano (Sclavi naturalmente, ndr)…”.
Che dire ancora? Gli anni Novanta sono passati e Dylan Dog è ancora nelle edicole, Stephen King pubblica ancora romanzi horror e il cinema ha riscoperto una nuova vena fantastica come mai prima d’ora. Certo molte testate di allora hanno chiuso, ma queste sono le leggi di mercato. Commentare la lettera invece sarebbe superfluo… lascio a voi le debite conclusioni.
Dylan Dog è vivo, lunga vita a Dylan Dog!
 
Originariamente pubblicato sul numero 7 de LA ZONA MORTA, settembre 1991
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, ottobre 2007

19/12/2007, Davide Longoni