L’ARCA DI NOE’

“Era l’anno 600 della vita di Noè, al diciassette del secondo mese: in quel giorno tutte le fonti del grande abisso si scatenarono, e le cateratte del cielo si aprirono, e la pioggia cadde sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti”.
Questo racconto lo conosciamo bene tutti: si tratta infatti del diluvio universale descritto dalla bibbia nel Libro della Genesi. Il problema maggiore è però stabilire cosa accadde realmente in quel tempo: dal momento che il Libro della Genesi è stato scritto intorno al 900 a.C. e rielaborato quattro secoli più tardi, è assai arduo stabilire una data storica precisa per avvenimenti successi parecchio tempo prima.
Alcuni studiosi comunque sostengono che il diluvio della bibbia si riferisca ad una gigantesca inondazione avvenuta in Mesopotamia, tra i fiumi Tigri ed Eufrate, probabilmente intorno al terzo millennio a.C., citando come prova l’EPOS DI GILGAMESH (poema assiro-babilonese, conservato nella biblioteca del re Assurbanipal).
Il Noè della vicenda mesopotamica sarebbe un certo Ut Napishtim, che aveva caricato su un vascello “il seme della vita” e che, dopo il diluvio, avrebbe ripopolato il mondo.
A questo punto il problema di una datazione della vicenda non sussisterebbe, se il mito fosse circoscritto alla sola zona della Mesopotamia, ma in realtà la storia del diluvio universale è presente in quasi tutti i popoli del mondo… e qui la faccenda si complica.
Infatti esistono più di duecento leggende o miti riguardanti questo remoto avvenimento. Oltre agli Ebrei e ai popoli della Mesopotamia, ne parlano anche i Greci (con il mito di Deucalione e Pirra), il libro indiano Mabaharata (il cui Noè si chiama Manu), i Puranas (sempre in India, con la vicenda di Satyrawata), i Persiani (con Yma), i Gallesi (nella cui storia si salvano la coppia Dwyfan e Dwyfach), il poema epico norvegese Edda (Bergalmer e moglie), le leggende irlandesi (con la regina Cesari), i Cinesi (il cui Noè era un tale chiamato Fa Li), gli Aztechi (con la salvezza di Teocipacti, sua moglie, i figli e gli animali), i Chibcha della Colombia (Bochica e gentile signora), i Maya, i Toltechi, i Guarany del Paraguay, gli Incas del Perù. E ancora si fa riferimento ad un diluvio universale nelle leggende delle tribù indiane Tuscarora, Uroni, Mandal, Sioux e Hopi del Nordamerica, tra gli Esquimesi (o Inuit che dir si voglia) e perfino tra gli aborigeni australiani.
Da tutti questi miti è dunque possibile dedurre che quasi sicuramente un immane diluvio si abbattè sul nostro pianeta tanto tempo fa. Per quanto riguarda le cause della catastrofe esistono moltissime interpretazioni: si va dallo scioglimento dei ghiacci tra il 10.000 e l’8.000 a.C. a seguito della fine di una glaciazione fino a giungere ad ipotesi fantastiche quali collisioni di asteroidi, grandi maree causate dall’assestamento dell’orbita di Venere o addirittura lo sprofondamento del mitico continente di Atlantide.
Nella tradizione occidentale l’immagine del diluvio viene sempre associata a quella dell’Arca, che secondo la Bibbia sarebbe approdata sul monte Ararat nell’attuale Turchia.
La prima ascensione documentata sull’Ararat alla ricerca del relitto avvenne nel 1829, da parte del medico tedesco Friedrich W. Parrot. Questi visitò il monastero di Echmiadzin, dove i POPE ortodossi venerano “una croce costruita col legno dell’arca”.
Altre spedizioni senza successo avvennero nel 1835 (Karl Behrens), nel 1845 (Herman von Abich), nel 1846 (Danby Seymour), nel 1850 (colonnello Khodzko) e nel 1856 (Robert Stuart).
Il primo avvistamento dell’Arca avvenne in una data imprecisata tra il 1850 e il 1880, da parte dell’armeno Hajl Yearam.
L’inglese sir James Bryce, nel 1876, riportò a Londra la prima “prova” dell’esistenza del relitto: un pezzo di legno vecchio almeno di 3.000 anni, ritrovato a più di 4.000 metri di quota.
Nel 1883 il governo turco annunciò ufficialmente la scoperta dell’Arca di Noè, ma poi la notizia non fu più menzionata.
Nel secolo scorso sono avvenuti altri avvistamenti: il più importante fu nel 1916 da parte del pilota russo Vladimir Roskovitsky. Questo interessò gli Zar che organizzarono una spedizione, la quale pare ebbe successo, ma la rivoluzione scoppiò di lì a poco e tutto finì nel dimenticatoio.
Molti anni dopo, la notizia fu confermata dall’ex-colonnello zarista Alexander Koor, che aveva partecipato alla ricerca.
Altri avvistamenti più recenti sono stati effettuati da piloti russi e satelliti spia americani ed una notizia del 1989 riportava la scoperta del relitto ad opera di due ricercatori americani.
Ma ad oggi il relitto dell’Arca di Noè continua a restare sepolto tra le gelide nevi del monte Ararat e ancora nessuno può realmente confermare di averlo potuto realmente far riaffiorare.
 
Originariamente pubblicato sul numero 2 de LA ZONA MORTA, aprile 1990

Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, febbraio 2007

04/03/2007, Davide Longoni