ATLANTIDE

Nei dialoghi “Timeo” e “Crizia” di Platone (scritti intorno al 348 a.C.) si fa accenno ad “un’isola più grande della Libia e dell’Asia messe insieme”: è questa la prima volta che compare nella storia occidentale la leggenda di Atlantide.
Da allora le congetture riguardanti il continente perduto sono state innumerevoli: chi lo voleva nell’Atlantico e chi nell’Egeo (l’attuale isola di Santorini); chi lo indicava come la “culla” dell’umanità e chi come un grande impero fantascientifico; chi la considerava la terra della mitica Età dell’Oro e chi la base prescelta da fantomatici extraterrestri per le loro visite sul nostro pianeta. Analoga sorte è toccata ai presunti motivi della sua scomparsa dal globo terrestre: un meteorite, un maremoto, una glaciazione, una guerra atomica, un’eruzione vulcanica, uno scontro tra maghi… ce n’è davvero per tutti i gusti.
Ma almeno sulla data della sua distruzione gli studiosi di Atlantide sono concordi: intorno al 10.000 a.C., o giù di lì.
Lo studioso Otto Muck, per dimostrare la sua tesi dell’esistenza dell’isola, nomina soprattutto motivazioni geologiche (instabilità tellurica della zona dell’Atlantico, con normali comparse e scomparse di isole vulcaniche), zoologiche (la migrazione delle anguille verso il mar dei Sargassi) ed etimologiche. A proposito di queste ultime, così egli scrisse nel volume “I segreti di Atlantide” (Siad edizioni): “Parliamo di Atlantide, senza riflettere molto sulle origini della parola. Da dove viene questo nome? In altre parti del mondo, lo sguardo cade, per esempio, sull’India e sull’oceano Indiano, troviamo il golfo Persico vicino alla Persia, il mare Polare Artico vicino al Polo Nord, conosciamo il mar Baltico che bagna i paesi baltici, il mare del Nord a nord dell’Europa. In tutti questi casi osserviamo la vicinanza tra i paesi ed i mari omonimi. Solo l’Atlantico fa eccezione: esiste in realtà, ma manca il paese che gli avrebbe dovuto dare il nome”.
Charles Berlitz, nel suo libro “Atlantide, l’ottavo continente” (edizioni Mediterranee), punta invece molto l’attenzione sulle somiglianze linguistiche ed artistiche fra le popolazioni amerinde e quelle indoeuropee ed africane (una fra tutte le piramidi) e sulla “forza del ricordo comune”, com’egli al chiama, dell’Atlantide, presente sia nelle culture centroamericane sia in quelle europee ed africane. Inoltre egli fa una comparazione fra alcune specie animali (foche, uccelli, gamberi, mastodonti e toxodonti) che si riscontrano in entrambe le placche continentali. Oltre a ciò, egli aggiunge che in certi comportamenti animali si riscontra un presunto ricordo ancestrale di una terra fertile e ricca di cibo, ora scomparsa e situata in mezzo all’Atlantico, come nel caso del suicidio di massa dei lemming americani nelle acque dell’oceano (quando il cibo viene a scarseggiare) o in quello delle migrazioni delle anguille europee ed americane, come già aveva detto anche Otto Muck.
Oltre tutte queste motivazioni e “prove”, più o meno discutibili, sull’esistenza dell’ottavo continente, vi sono alcuni manufatti della cui origine ancor poco si sa e che potrebbero essere il frutto di una civiltà tutt’oggi sconosciuta, forse appunto quella atlantidea.
Un ultimo aspetto da analizzare è quello della scomparsa di Atlantide: infatti, qualunque possa essere stato il motivo della sua distruzione, sta di fatto che, l’inabissarsi di un’isola di così vaste proporzioni (secondo il metro di Platone la Libia equivaleva all’Africa allora conosciuta, e cioè quella settentrionale fino al deserto del Sahara, mentre l’Asia era solo l’Asia minore, quella che oggi definiamo Medio Oriente), avrebbe comportato grandi maremoti in tutto il mondo… forse il mitico diluvio universale di Noè!
 
Originariamente pubblicato sul numero 3 de LA ZONA MORTA, luglio 1990
Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, febbraio 2007

26/02/2007, Davide Longoni