V TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: V CLASSIFICATO

LO SPETTRO DEL DOMINIO

di FILIPPO RADOGNA

Prologo

(dalla Torre Sacra alla Cometa di Titan)

Tutto si svolse in un tempo pari allo scorrere di pochi granelli di sabbia in una clessidra.

Sulla sommità della Torre Sacra si accese  un fulgore e una striscia argentea tracciò una parabola che attraversò il cielo della notte più buia di sempre. In un attimo  la luce  fu assorbita nel profilo della Cometa di Titan.

 

Follia e terrore tra gli eumani

(II Millennio  dell’Epoca Neomedievale – XV Anno Stellare – Terza notte del Solenne Mese del Fuoco)

La follia e il terrore si erano impadroniti di noi eumani, popolo devoto alla Cometa di Titan. Non c’era lembo di terra che non fosse percorso da fiumi di sangue. In un isterismo collettivo tutti si combattevano. I padri trucidavano i figli, i figli le madri. Bande scatenate saccheggiavano e ammazzavano. Le città bruciavano mentre gli abitanti si fronteggiavano sterminandosi. Nessun lembo del Nuovo Mondo Conosciuto ne era immune e non vi era più nascondiglio sicuro.

Nessuno si poteva fidare più di nessun altro. L’ordine sociale che con fatica avevo costruito vacillava.

Tutto era mutato da quando, in una notte punteggiata di stelle, una meteora – così l’aveva descritta il mio devoto consigliere astropsichiatra, Kasmo Dumakis – aveva impattato sulla Cometa di Titan. Impropriamente definita Cometa, il corpo celeste che aveva ridato luce al Nuovo Mondo Conosciuto, per un inspiegabile prodigio era fermo nel cielo da quindici anni stellari.

 

La Scoperta

A ognuno dei tredici Dottori delle Scienze che rappresentavano l’intellighentia del Governatorato di Materam – Capitale e primo ceppo autoctono di eumani – avevo assegnato il compito di venire a capo dell’enigma.

E fu proprio quella notte che  Dumakis era corso trafelato da me.

“Mio Patriarca della Luce e Grande Sapiente- mi aveva detto genuflesso nella posizione che mi era dovuta da tutti i sudditi- sono venuto a capo dell’arcano.

Scrutando in lungo e in largo il cielo con il telencefaloscopio a trattamento matematico ho captato qualcosa che presumo siano “onde encefaliche fredde”. Da quanto mi risulta esse hanno una volontà perniciosa e subdola e provengono da uno spezzone della Cometa di Titan”.

“Spiegami meglio Dumakis e solleva il tuo viso da terra”, gli intimai.

Ancora confuso dalla scoperta, Dumakis si sollevò e tirò fuori dalla sacca le sue pergamene scientifiche tracciate con punti luminosi.

“Ecco mio Potentissimo –soggiunse- vede questa macchia cristallina che rassomiglia a uno Spettro? L’ho determinata attraverso la captazione dei raggi psichici provenienti dallo spazio. Da questo punto vengono emesse frequenze devastanti per la mente di noi eumani.

“ Significa che la Fonte del Male che ci affligge proviene da lì?”,

“Sì potentissimo, è un Male infido e insidioso che si nutre del senno delle creature. Sono raggi che fanno impazzire le menti con gli effetti spaventosi che vediamo in questi infausti giorni”.

“ Ma di cosa si tratta, quali entità li emettono e perché?”, chiesi.

“Per quello che ho potuto comprendere attraverso le osservazioni e i conseguenti studi – mio Potentissimo- i raggi assorbono le energie degli esseri viventi per alimentare la malvagità della fonte. E’ una malvagità mutaforma che non conosce confini. Lo comprendo dai flussi cosiddetti “sporchi” da me rilevati”.

Prese fiato e aggiunse: “L’entità si nutre prosciugando le creature e tramutandole in esseri crudeli. E’ una sete che si sazia solo quando gli sventurati divengono inerti e per sempre servi del Male: servi di quello che definirei lo Spettro del Dominio”.

Rimasi qualche istante a riflettere sul da farsi. Nel mentre mi volsi a guardare fuori dalla finestra, in preda a un profondo dolore.

Dall’ultimo livello della Torre Sacra – dov’erano ubicate le stanze dalle quali governavo- il panorama era avvilente. Nella notte vedevo lontane le colonne di fiamme e di fumo che si levavano nel cielo e a perdita d’occhio.

Ma avvertii una pesante ostilità alle mie spalle.

Come si fosse concentrata una forza maligna.

Nei mie anni giovanili avevo studiato a fondo la chimica cellulare unita alle variabili comportamentali. Pertanto ero in grado di fiutare gli impercettibili effluvi che  derivavano da un corpo quando avvenivano mutazioni d’umore.

Mi voltai.

Dumakis aveva una grossa lama acuminata che luccicava tra le mani e stava per colpirmi. La sua faccia delirante era deformata in una maschera giallognola. Gli occhi privi di pupille e i capelli diradati sembravano fili d’erba secchi e stopposi. La bocca sbavava  in una smorfia malvagia. I denti lampeggiavano storti e aguzzi.

Mi si avventò addosso come una furia.

“Muori! Tu che sei l’ultimo ostacolo all’affermarsi dello Spettro del Dominio”, ringhiò.

Non mi scomposi.

Per me fu facile scansare il fendente. Mi bastò una delle mie tecniche di arti psicocorporee, delle quali ero maestro, per accompagnare il suo slancio contro la finestra. Urtò contro i vetri e volò giù con un urlo strozzato mentre la sua lunga tunica svolazzava per aria.

Tra le fiaccole che illuminavano la notte vidi il suo corpo scomposto infilzato sulla robusta cancellata che proteggeva l’ingresso della Torre Titanica.

Rimasi a guardare rattristato il suo corpo esanime.

 

Il libro dell’Utopia

Non c’era più tempo da perdere.

Dall’esterno pervenivano urla  frenetiche e insulti rivolti alla mia persona.

Qualcuno aveva iniziato a istigare la piccola folla che si era radunata alla base. Giungevano dalle strade vicine altri gruppuscoli di persone.

Poi si fecero sempre più numerosi sino a quando divennero una moltitudine.

Guardavano sopra, verso le finestre dei miei appartamenti.

Urlavano e mi ingiuriavano.

“Cosa fa il Patriarca lì  invece di scendere tra noi!” dicevano alcuni.

“E’ un vile! Si nasconde”, sostenevano altri.

E poi ancora invettive:

“ Si trastulla tra suoi testi di stregoneria e tra le ricchezze a noi sottratte”.

“ E poi fuggirà e ci lascerà qui a morire”.

“E’ stato lui che con le astruse pratiche sciamaniche ci ha portati al finimondo e per questo dovrà  pagare con la vita”.

“ E’ vero! Quando sarà morto la maledizione scomparirà!”.

Erano esaltati e invasi dall’odio e oramai non ragionavano più trascinati dalla subdola follia del Male

Le  urla aumentarono.

I più scalmanati si gettarono sulle cancellate che furono dapprima scavalcate e poco dopo divelte.

La  calca si riversò con fiaccole, spranghe e forconi contro il portale d’ingresso che la mia guardia personale aveva fatto in tempo a chiudere.

Ma, sebbene blindata, non avrebbe resistito a lungo.

In poco tempo avrebbe ceduto alla ferocia della folla.

Non temevo per la mia vita e in un lampo di ira pensai che, prima di essere trucidato ne avrei fatti fuori da solo almeno un centinaio.

Ma poi considerai che quel comportamento era indotto dal Male e che toccava a me difendere e salvare il mio popolo dal sortilegio. Quel popolo che da sempre amavo e dal quale ne ero stato, per lungo tempo, riamato.

Avevo ancora le ultime parole di Dumakis nelle orecchie e pensai che oramai ero l’ultimo baluardo da sopprimere per annientare l’ordine sociale. L’ultimo appiglio cui era ancorata la società degli eumani prima dell’anarchia totale e il precipizio verso il baratro assoluto.

Era ora di tornare ad assumere ancora una volta i miei poteri paranormali.

Quelli che avevo abbandonato da molti anni stellari.

Da quando avevo sconfitto il Mutante risalito dallo Strapiombo della Palude Infernale per distruggere il genere eumano.

Solo IO con i miei poteri avrei potuto tentare di strappare al pericolo la vita del Nuovo Mondo Conosciuto. Quel mondo sospeso tra ipertecnologia, occultismo e arcaicità che avevo contribuito a ricostruire dopo l’apocalittica fine della civiltà umana.

Ma avevo bisogno della mia guida: il Libro Sacro dell’Utopia.

In un battibaleno con il mio ascensore a comandi percettivi scesi nel Divino Cimitero sotterraneo, posto nelle profonde caverne sotto la Torre Sacra.

Era il luogo dove  riposavano i Patriarchi che mi avevano preceduto.

Ero il solo ad averne l’accesso. Lì su un antico leggìo, ricoperto di ragnatele, impolverato e ingrossato dall’umidità era conservato il Sacro testo.

 

Nel Territorio Senza Tempo

Era a tale portentoso trattato che ogni Patriarca si affidava quando doveva affrontare un’avversità che minacciava il genere eumano.

Lì erano riportati i fondamenti della nostra Comunità.

Lì era scritto il presente che poteva cambiare il futuro.

In tal senso le indicazioni di Dumakis mi furono preziose.

Sfogliai il Sacro testo.

Ero calmo anche se le mani mi tremavano.

Dovevo fare in fretta.

Era un tomo visivo, che aveva virtù prodigiose, nel quale si avvicendava come su un nastro lo scorrere della vita eumana. Alla pagina XXII scorreva una scena lenta: vi era la Cometa di Titan nel cielo. Un fascio di luce cupa e sinistra si irradiava sulla Terra devastata dalle fiamme e percorsa da fiumi di sangue.

Figure di eumani giacevano al suolo morti o in pose disperate. Un’immagine spettrale dominava.

Era la descrizione di quanto stava accadendo!

Via via che il nastro fluiva, alla pagina XXIII una voce atona, che proveniva dal libro, così recitò:

“Il Male verrà dal cielo e dovrà essere distrutto nel cielo stesso. Sarà potente e malvagio, solo il pensiero potrà piegarlo e l’arma sarà l’Utopia”.

Cosa mai voleva dire? E poi ancora:

“L’estremo difensore che affronterà il Male lascerà il corpo sulla Terra. Saranno la sua anima e il suo senno, invece, a combattere nell’immensità dello spazio buio”.

E finì così:

La lotta tra il Bene e il Male avverrà in un mondo di ghiaccio blu, nella luce biancastra e azzurrina di fronte a un mare vermiglio nella coda di un Astro”.

Ecco la traccia!

Il buon Dumakis ci aveva visto giusto!

Era proprio dalla Cometa di Titan che veniva il Male.

Ma come raggiungere quella parte della coda della Cometa lunga milioni di chilometri indicata nella pergamena di Dumakis?

La strada era una sola: attraversare indenne il Territorio Senza Tempo, quel sentiero incerto che poteva portare sul luogo preciso o su una terra di nessuno perduta nello spazio siderale. Un buco nero dove mi sarei potuto perdere per sempre tra tormenti e deliri.

Il rischio viaggiava su un sottile binario tra la morte e la vita dal quale potevo non tornare mai più!

Ma non avevo scelta. Il mio destino era quello di difendere gli eumani. Ancora una prova estrema, come già avvenuto molti anni stellari addietro, mi attendeva.

Il nastro del libro scorse ancora. Di nuovo la voce atona si espresse:

Fisserai il terzo occhio nella tua mente. Porterai le braccia nella posizione del profeta e il respiro diverrà di fuoco. Sarà così che il Territorio Senza Tempo ti assorbirà”.

Così si espresse la voce.

In un frangente ripercorsi i lunghi periodi dedicati agli insegnamenti di negromanzia, delle arti e delle scienze passati nel Collegio Secolare.

Abbassai le palpebre e feci fluire le energie potenti dalle parti vitali per slegare le cellule. Quindi interpretai ed eseguii pedissequamente gli esercizi sciamanici contenuti nel Sacro testo.

Frattanto mi giungeva l’eco di voci sguaiate che urlavano oramai tra le sale liturgiche, i corridoi e le scale. La folla inferocita aveva invaso profanando, per la prima volta dalla notte dei tempi, la Torre Sacra.

Vidi dall’esterno nello spazio mistico ancora non violato del divino cimitero dei patriarchi, il mio corpo immobile, racchiuso nel sajo ceruleo.

Ero in piedi in posizione ascetica. Le braccia e le mani erano incrociate sul petto.

Un forte calore mi attraversò fino a diventare insopportabile. La soglia del Territorio Senza Tempo si aprì come in uno sconfinato vortice.

 Le essenze del mio senno e del mio animo venivano risucchiate sull’apice altissimo della Torre Sacra. Di lì una vampata abbacinante staccò la mia natura dal tempo presente proiettandomi dal cielo nero all’immensità del cosmo.

La Terra divenne un puntino lontanissimo che scomparve immediatamente.

 

Sulla coda della Cometa di Titan

Riemersi nel buio freddo dello spazio siderale. Sul suolo vi era una polvere ghiacciata e grigia molto simile per leggerezza e tessitura alla cenere.

Mi guardai attorno ancora sbalordito ma avvinto.

Su una superficie piana si estendeva un intrico di rocce aguzze cristallizzate. Si levavano dal suolo come gigantesche stalattiti dando origine a forme strambe. Sembravano corpi stretti e avviticchiati.

Altre sagome ricordavano sacri totem elevati a oscure deità.

In breve distinsi lontanissimo un immenso opaco bagliore sferico. Una nube fluorescente sembrava proteggerlo. Era il nucleo della Cometa di Titan. Dovevo esserne molto distante. Valutai di trovarmi nella parte terminale della coda del corpo celeste. Lì tutto si colorava di indaco e porpora quando frattali di luce fuoriuscivano dalla lunga scia illuminando a tratti l’oscurità, rilasciando un pulviscolo scintillante.

Guardai il ghiaccio blu cristallino intorno.

La scia della Cometa di Titan era proprio come quella enunciata dal Sacro testo.

Ma quiete e silenzio durarono poco.

Un sibilo minaccioso dal timbro acuto si udì nell’immensa oscurità  disseminata dal brillìo delle stelle che minuscole si stagliavano sulla mia testa.

Ero conscio del pericolo che mi aspettava. Ma non avevo idea di come lo Spettro del Dominio si sarebbe presentato né quale forma avesse. Mi guardai attorno senza sapere cosa fare e soprattutto come affrontarlo. Rimasi fermo qualche altro istante. Poi mossi alcuni passi e mi accorsi, guardando il suolo, che non lasciavo alcuna traccia. Non avevo peso né consistenza.

Il suono distorto e senza direzione si fece sempre più acuto da divenire intollerabile. Al contempo nel mio senno cominciarono a riversarsi, come provenissero da un luogo maledetto, frammenti di parole pungenti e salaci.

Non ne capivo il significato.

Via via la lingua e le parole si fecero comprensibili. Provai una nausea fortissima quando i termini mutarono in lamentazioni e iniziarono a giungermi addosso pensieri e immagini infernali.

La nausea divenne orrore quando quei latrati acuminati si fecero più chiari, uniti a ripugnanti forme diaboliche che mi erano attorno portate da un vento cosmico. Ombre annaspavano tra mille abissi che ribollivano in un mare vermiglio: un Oceano di sangue.

 

Lo Spettro del Dominio

Ero dunque alla fonte del Male. Quel Male insidioso, che stava distruggendo il mio popolo rendendolo schiavo e che si stava insinuando nella mia essenza.

Indotto da quel suono distorto e quelle immagini provai una rabbia sorda. Iniziai a delirare. Correvo a precipizio verso la follia.

Il Male proveniva da tutte le direzioni: era immateriale e incorporeo. Mi chiedevo come lottare contro quel qualcosa che mi ottenebrava la mente.

Erano timbri astrusi, facce deformi, fisionomie mostruose, esalazioni nauseabonde tra colori foschi.

Ebbi un moto di odio assoluto.

Stavo impazzendo e iniziai a rotolarmi su quel suolo ghiacciato.

Nella mia ragione da una parte si stava instillando il germe del Male assoluto  mentre dall’altra sentivo che quell’energia negativa si stava nutrendo delle mie forze per alimentare se stessa e divenire sempre più forte.

Fu quello il momento che si rivelò lo Spettro del Dominio di cui mi aveva parlato Dumakis. La sua natura indefinibile si palesò attraverso tre immani facce esangui unite tra loro e che mutavano continuamente aspetto. La bocca, in comune, era impressionante. Ampia e con denti marci, tozzi e levigati. Dalle fauci venivano fuori pezzi triturati di esseri non morti. Una massa magmatica di strane esistenze aliene. Ma vi erano anche eumani.

Erano stati ingoiati e gemevano tormentati, avvolti in quella specie di bocca centrifuga. Gli occhi di quella creatura raccapricciante avevano insita una malvagità che mai avrei potuto concepire se non l’avessi vista. La visione compariva a tratti invadendomi per poi sparire, insidiandomi e attirandomi a sé.

Ogni istante mi sentivo sempre più risucchiato

E come un’immagine proiettata vedevo la mia faccia di un giallo cadaverico fagocitata da quel flusso malefico. Il mio viso si stava modificando in un ghigno cattivo rassomigliante a quella dell’entità mostruosa.

Quel frastuono contorto continuava a portare con sé rappresentazioni di un mondo corrotto e disgustoso. Esso cresceva tra intrighi nella notte più bieca e tenebrosa. Un’infinita oscurità nella quale i popoli erano oppressi. In quel caos ebbi la lucidità di pensare che era un mondo in netto contrasto con quello che anelavo per la mia Materam. Un mondo allevato nella speranza e nell’uguaglianza. Nell’azzurro e nella luminosità: nell’Utopia.

 

La forza dell’Utopia

Oramai pensai che avrei perso il senno e sarei stato divorato da quel grumo intangibile. Ma mi accorsi che i miei pensieri limpidi potevano fronteggiare, respingendoli, quelli fuorvianti che mi giungevano dal flusso malefico emanato dallo Spettro del Dominio.

Compresi allora che era attraverso la forza  dell’equilibrio e del giudizio che dovevo lottare! Dovevo scacciare quella visione tetra e sudicia con la forza dell’armonia! Contrapporre  all’abiezione e all’egoismo del potere folle e malefico, l’integrità e la libertà. Era quella la potenza dell’Utopia, cardine del nostro Libro Sacro.

Stremato e terrificato ma aggrappandomi a quelle idee notai che alla rappresentazione dei miei pensieri, le ombre arretravano. Stavo irretendo lo Spettro che vedevo sgomento. Che ululava rabbioso non riuscendo ad assorbirmi. Pur fiaccato da quello sforzo continuai al massimo delle mie capacità concentrandomi sulla luminosità della vita, al raggiungimento della felicità del mio popolo. Due forze opposte si fronteggiavano. Poi ci fu un rantolo prolungato cupo e sconquassato come di un animale sanguinario che si contorce ferito a morte. La visione sinistra e contorta dalle tre facce esangui e gigantesche si fece sempre più debole e scolorita fino a quando la vidi sfaldarsi e deflagrare assorbita dal cosmo scuro ed eterno.

Una eco lugubre mise fine a quella tortura.

Mi risvegliai da quella catalessi nel divino cimitero dei patriarchi.

Riaprii gli occhi stranito e spossato come uscito da un incubo.

Ero immobile, ansante e con il sajo fradicio di sudore.

Avevo ancora mani e braccia incrociate nella posizione del profeta.

Non sapevo quanto tempo avessi passato in quella catatonia. Forse il tempo della caduta di pochi granelli di sabbia di una clessidra.

Mille occhi mi osservavano.

Ero circondato da un silenzio tombale.

Il mio popolo fermo e silente mi fissava.

Tutt’intorno era devastazione.

Molti, giunti agguerriti, erano muniti di mazze, picconi e armi primitive, altri di sofisticati congegni a proiezioni letali.

Temetti per la mia vita.

Ma poi gli sguardi, dapprima smarriti, mutarono.

Dopo qualche istante li vidi posare le armi e prostrarsi ai miei piedi, intonando l’inno alla mia persona in segno di dedizione.

Un bambino era davanti a me, aveva il Tomo Sacro tra le mani.

Me lo porse.

Alla pagina XXIV scorreva un titolo:

“L’affermazione dell’Utopia tra gli eumani”: nelle immagini che fluivano non c’era alcuna distinzione tra gli individui, tutti erano gioiosi e vestiti allo stesso modo.

Sulla pagina appresso i termini, Libertà, Giustizia e Felicità campeggiavano a caratteri cubitali che si ripetevano all’infinito.

Avevo compreso!

“Sollevatevi e non vi prostrate mai più ai miei piedi. Né ai piedi di alcuno”, dissi mentre scioglievo il mio sajo ceruleo -segno distintivo del potere assoluto dei patriarchi- liberandomene per sempre.

Poi acquietato, cinsi i miei simili tra le braccia, mischiandomi a loro.