V TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: III CLASSIFICATO

LA MAGNOLIA NERA

di ROBERTO GUARNIERI

La strada superò il crinale, con un’ultima faticosa curva, e offrì a Turan un panorama di rara bellezza. Dolci colli ricchi di vegetazione, punteggiati da vigneti e campi coltivati, solcati alla base da piccoli ruscelli coperti da file di pioppi e cipressi e in sommità da stradine bianche ben curate.

Una città, mura di mattoni erosi dai secoli e torri dai tetti di tegole, avvolgeva la cima della collina più vicina come un cappuccio marrone. Il verde della primavera ne lambiva i confini, carezzandoli con lunghe onde di erba mossa dal vento. Turan ne ammirò il profilo, in evidenza sullo sfondo di un grande lago acceso dai riflessi argento del sole del primo mattino.

Senza fretta tirò le redini e iniziò la discesa verso la porta principale. Il suo carro avanzò per circa un’ora, scricchiolando e sollevando una nuvola di polvere bianca, sin quando un selciato regolare, in pietra squadrata, sostituì il fondo precario. Alzò gli occhi soddisfatto.

L’ingresso di Coral, un grande cancello verde incastonato tra due torri merlate, era spalancato davanti a lui.

Coral ospitava il mercato di fiori più famoso del continente. La passione, la devozione e il maniacale interesse dei suoi abitanti erano proverbiali. Ogni angolo della città ricordava al visitatore questa singolare attività. I negozi lussuosi della via principale, con le corone e i vasi ricchi di rose rosse e gladioli arancioni esposti davanti alle vetrine, le siepi di oripetali simili a onde di fuoco giallo, poste a ornamento di ogni incrocio stradale, i rampicanti punteggiati di stelle violette e indaco che adornavano le facciate dei palazzi più antichi. Nella bella stagione un tripudio di colori riempiva gli occhi. Gli abitanti, in una gara senza esclusione di colpi, addobbavano i balconi con le più rare e vivaci essenze, arrivando persino a indossare, nei giorni festivi, fiori sgargianti, fissati agli abiti con fili di rame o d’argento.

Il mercato principale si svolgeva nella Piazza Del Petalo. La pavimentazione in mattoni colorati era stata realizzata in modo da formare una serie di rettangoli, ognuno dei quali era riservato a un mercante, una associazione o un gruppo di venditori. Nei mesi primaverili , sin dalle prime luci dell’alba, una folla allegra e chiassosa si riversava nella piazza e nei vicoli. Aristocratiche dame di Sagos dal passo distratto, cavalieri del Tempio in cerca di gigli per il loro Ordine, valletti della casa Imperiale a caccia di primizie per la corte. Una vasta e variegata umanità affollava le bancarelle, le tende e gli spazi espositivi, contrattando, acquistando e vendendo prodotti.

Turan oltrepassò la Porta Del Vento, ornata di gerani arcobaleno, osservando allegro lo striscione di seta che annunciava la stagione dei mercati e dava il benvenuto a tutti i visitatori. Trotterellò per le vie secondarie sino a trovare ciò che cercava. Una taverna a ridosso del centro, piena di avventori allegri e schiamazzanti. Lasciò il carro in una rimessa, si tolse di dosso la polvere bianca, residuo del viaggio, con dei colpi sulle cosce e si infilò nel locale. Salutò in modo plateale i clienti, ordinò del vino e rimase in piedi al bancone, mangiucchiando dei biscotti allo zenzero trovati in un piattino. Con un’occhiata rapida individuò due soggetti che facevano al caso suo e si avvicinò.

— Un gran bell’inizio di stagione, non trovate? — esclamò allegro, alzando il bicchiere in segno di saluto.

I due uomini, dopo un attimo di perplessità, ricambiarono con un sorriso. — E’ vero, si prospettano ricchi mesi di scambi e affari. Le locande sono già piene, e siamo solo ai primi tepori. — Il più anziano squadrò Turan dalla testa ai piedi poi, con tono curioso, chiese — Siete un mercante?

Turan scosse la testa — No. — rispose gonfiando il petto — Sono un Cacciatore.

— Davvero? Venite da molto lontano?

— Shera, dei Monti Azzurri — fece un cenno con la mano indicando un punto alle sue spalle — Un mese di viaggio più a Sud.

— Shera — disse meditabondo il secondo uomo, più giovane e con l’espressione ingenua — Si, ne ho sentito parlare. Avete dei passiflori notevoli. E, se ben ricordo, un giglio fuoco che cresce solo dalle vostre parti. Un bel cammino. Offrirete i vostri servigi a qualche casata? O siete stato chiamato da un commerciante.

Turan si avvicinò ai due, come a voler confidare un segreto — No. In verità ho in mente di concedermi al migliore offerente. — si aprì in una smorfia teatrale di esagerata scusa — Sapete per caso darmi un consiglio? A chi potrei presentarmi? Non sono mai stato a Coral e non conosco nessuno in città.

Aveva gettato l’amo. Attese la risposta, cruciale per l’esito del suo viaggio. In genere i Cacciatori erano ben visti, ma alcune città, al contrario, li osteggiavano. Ma quello che più gli interessava, in quel momento, era capire se poteva farsi passare per uno di loro oppure no. Dall’atteggiamento dei due e dalla reazione di indifferenza dei clienti della locanda aveva tratto le giuste conclusioni. Ascoltò educato i consigli e ammiccò paziente agli interminabili pettegolezzi. All’uscita, accolto dall’aria pulita e tiepida del mezzodì, il suo umore era ottimo.

Turan non sapeva nulla di fiori o essenze rare. In realtà non era nemmeno un Cacciatore. Era venuto a sapere della loro esistenza solo pochi giorni prima, quando il suo vagabondare lo aveva portato a incontrare un cantastorie di Hellan in una taverna sul fiume roccioso dei Setti Salti.

Secondo costui a Coral  l’interesse per l’arte floreale era così intensa da generare un gran giro di monete d’oro e argento. In particolare alcuni negozianti erano disposti a pagare grandi somme a Cacciatori esperti, dando loro incarico di rintracciare essenze sconosciute o fiori rari.

Sembrava un buon modo per realizzare dei profitti, e senza rischi particolari. Così Turan acquistò un abbigliamento adatto e si diresse verso la città a caccia di un ingaggio.

— E così voi sareste un cacciatore?

Vitruvio il Variopinto scrutò da vicino il giovane strizzando gli occhi per una evidente miopia. Se ne stava seduto dietro il bancone del suo negozio, con una vestaglia gialla a righe azzurre e un cappello a falde larghe da cui uscivano ciocche di capelli bianchi mal pettinati, tagliando con cura i petali di un fiore violaceo. Turan pensò che sia il negozio che il proprietario corrispondevano in pieno al soprannome.

Sorrise affabile e esclamò — Certamente. Arrivo qui direttamente da Shera. Non conosco bene le vostre usanze, ma vorrei comunque offrire a voi, di gran lunga il più nobile e stimato dei mercanti, i miei servigi.

Vitruvio sforbiciò un altro petalo e fissò soddisfatto il risultato — Non mi risulta che Shera sia terra di arbusti floreali — borbottò — E non so quale possa essere la vostra esperienza. Conoscete i Gladioli Fumanti?

— Questa specie da noi non cresce, temo.

— Allora — insistette monotono — sarete esperto di Viole del Pensiero. Suppongo sappiate distinguere il Geranio Paludoso da quello dei Prati Alti. O magari — fece un cenno distratto con la mano — non vi interessate di simili sciocchezze e puntate più in alto.

Turan si pose una mano sul cuore. — Con voi non perderò tempo con banalità. Ditemi piuttosto cosa vi occorre. E io ve la troverò. — si fermò un attimo — Al giusto prezzo, si intende. — Rimase immobile in una posa spavalda, sperando che il suo bluff fosse riuscito.

Vitruvio lo osservò di nuovo, con fastidiosa attenzione. Poi si alzò con un gemito, aprì un cassetto del bancone e estrasse una piccola pergamena colorata.

— Se cercate una missione impegnativa — sentenziò — Io di certo posso offrirvene una. Guardate qui — gli sventolò il foglio davanti agli occhi — Si tratta di un disegno della Magnolia Nera. Rarissima e pregiata. Nasce ogni dieci anni, fiorisce solo per dieci giorni e si trova unicamente sull’isola delle Tane nere. — indicò un punto oltre al finestra — Proprio al centro del nostro Lago Specchiato.

Fece una pausa e concluse — Casualmente la decade cade proprio in questi giorni. E’ probabile che vari Cacciatori siano già partiti alla volta dell’isola.

Turan era perplesso — A parte la scarsa natalità, perché è così prezioso?

— Oh, piccoli particolari — sbuffò il mercante — Non ultima la presenza sull’isola delle Arpie Nere, che abitano le fetide tane da cui essa rende il nome. Diciamo che sono un po’… come dire gelose dei loro fiori. — Ansimò e si sedette con un tonfo, mal sorretto dalle gambe. Tossì con vigore e poi sibilò serio — Tutti vorrebbero la Magnolia. E io sono disposto a pagare più di tutti, se me la farete avere.

La cifra proposta era così allettante da far dimenticare a Turan le perplessità e paure che lo avevano attanagliato durante il cupo discorso. Firmò un rapido contratto di ingaggio e uscì all’aria aperta, godendosi il sole del primo pomeriggio. Doveva al più presto rimediare informazioni più dettagliate, una buona spada e una barchetta.

Meglio ancora, un traghetto per l’isola.

— Di giorno all’Isola delle Tane Nere? — il marinaio, termine un po’ pomposo per il giovane dal viso bruciato dal sole con indosso una maglia bianca piena di buchi, teneva ferma la sua chiatta con il piede destro mentre parlava con Turan — Non se ne parla nemmeno. Le Arpie si svegliano presto, volano sul mare e vanno a caccia di prima mattina. Non ho nessuna intenzione di finire in un nido a sfamare cuccioli. Posso offrirle un passaggio al tramonto. Potrà farsi una dormita sulla spiaggia e muoversi durate il giorno. L’isola è piena di foreste, coprono la vista dall’alto. — fece un sorriso sarcastico — Per tre gironi tornerò, al calar del sole, nel medesimo punto in cui approderemo, per riprenderla. Sempreché sia sopravvissuto, ovvio.

Sputò in acqua e saltò sulla chiatta — Ci vediamo stanotte. Pagamento anticipato, naturalmente.

Turan passò il resto della giornata passeggiando per le vie del centro, bevendo birra verde Oraziana e mangiando polpette di carne, seduto sui tavoli di una locanda dall’ampio pergolato coperto di rampicanti. Per ingannare l’attesa lesse qualcosa sui fiori più rari, memorizzando l’immagine della Magnolia Nera e imparando un paio di cosette assai utili. Il fiore cresceva lungo i fiumi e amava gli spruzzi d’acqua, dai quali traeva nutrimento e freschezza. Turan valutò la cartina della piccola isola, comperata da un libraio. C’era un solo corso d’acqua. Nel risalirlo avrebbe di sicuro incontrato qualche cascata. Luogo ideale per la Magnolia.

Finì le polpette soddisfatto. Non sarebbe stato poi così complicato.

Il battito di ali, lento e pesante come il pulsare di un cuore malato, risuonò sopra la volta della foresta, seguito da un verso acuto e stridente. Era già la terza Arpia che avvistava, intravedendone la sagoma tra i rami, e ogni volta un freddo terrore lo prendeva allo stomaco. Mentre risaliva il ruscello, badando a tenersi sempre nella zona in ombra, Turan iniziò a dubitare del suo progetto iniziale. Una notte passata in quell’isola infestata era stata più che sufficiente. Se non avesse trovato nulla per il tramonto sarebbe saltato sulla chiatta filando dritto a Coral, alla faccia del suo contratto di lavoro. Anzi, se ne sarebbe proprio andato via da quella città, un covo di persone pazze e fanatiche.

Perso in tali pensieri, percorse un lungo tratto all’interno di un boschetto di faggi. Di colpo, passato l’ultimo albero, si trovò davanti a un costone roccioso, coperto di muschio e rampicanti, dal quale precipitava una piccola cascata, raccolta in una pozza d’acqua di medie dimensioni. Sospirò affranto. La via era bloccata. Non aveva altra alternativa se non scalare la parete e arrivare in cima fradicio e infreddolito. Con la borsa a tracolla iniziò a inerpicarsi, evitando le zone scivolose. Per fortuna le chiome degli alberi coprivano la zona, facendo filtrare i raggi del sole, simili a lame di luce, ma nascondendo il cielo. Fu solo a metà strada, seduto su un sporgenza per prendere fiato, che si accorse del piccolo punto colorato, in basso, ai margini della pozza.

Il cuore saltò un battito. La sfumatura di rosso vermiglio spiccava nel mare di gradazioni di verde, inconfondibile. Soffocando una esclamazione si voltò e iniziò una rapida discesa. Non potevano esserci dubbi. Arrivato in basso saltò nell’acqua e corse verso la sua meta.

Si fermò ansimando, con le mani ai fianchi. Il fiore, larghi petali carnosi fiammeggianti, centro nero e lungo gambo scarlatto, corrispondeva alla descrizione. Magnolia Nera.

Turan respirò a fondo e tirò fuori dalla giubba un sacchetto di seta e un piccolo vaso. Secondo Vitruvio se piantato nella terra e ben protetto, poteva sopravvivere un paio di giorni. Allungò la mano per recidere il gambo, ma si fermò subito, stupefatto.

I petali si stavano chiudendo, con un movimento lento, sino a formare una sorta di bulbo con un foro al centro. Turan guardò affascinato il gambo alzarsi e trasalì quando un fischio, una sorta di melodia acuta e fastidiosa, uscì da quella imitazione di bocca umana.

All’improvviso la pianta scattò in avanti, come un serpente, e gli morse il braccio. Turan avvertì una fitta di dolore e lanciò un urlo di paura. Cadde a terra, all’indietro, in una pioggia di schizzi d’acqua e terriccio. Scalciò con violenza e cercò di fuggire, annaspando come un cane in trappola.

Le due arpie, percepito il richiamo, si svegliarono e corsero fuori dal nido, con i ciuffi di paglia ancora incrostati alle piume e gli occhi pesti per il sonno interrotto. Volarono per un breve tratto  e si gettarono in picchiata, incuranti dei rami degli alberi che le colpivano, posandosi a terra in una nuvola di foglie e arbusti spezzati. Ripiegate le ali con un gesto rapido rimasero immobili, muovendo solo la testa a piccoli scatti, come a esplorare il terreno. Il rantolo del loro respiro, un annusare nervoso, le rendeva simili a due cani da caccia.

— Eccolo — gracchiò una allungando un artiglio verso una figura immobile.

Davanti a loro c’era un uomo, piantato nel terreno sino alle ginocchia. Gli occhi vitrei fissavano il vuoto, spalancati dal terrore. Le mani erano ripiegate lungo il corpo, quasi fuse con il torace rugoso e marrone come una corteccia. Dal naso e dalle orecchie spuntavano dei boccioli rossi e gialli, umidi e vischiosi di rugiada e umori. Ma il pezzo pregiato era il sontuoso fiore nella bocca, aperta in un grido senza fine. Un tripudio di rosso fiamma e nero.

— Una splendida Magnolia Nera — rispose l’altra carezzando con i peli sensoriali la delicata piantina. Scostarono la terra con le zampe ossute, per liberare i piedi dello sventurato e lo imbracarono con delle cinghie di cuoio, pronte per il trasporto.

— Vitruvio pagherà bene per questo esemplare. E’ insolitamente alto.

— Vitruvio? — commentò l’altra acida — Non sono sicura.

Sorrise mostrando la doppia fila di denti neri e aguzzi — Vediamo al mercato chi offrirà di più.

E spiccò il volo soddisfatta.