IL BORAMETZ

Un caso assai curioso di contaminazione fra mondo animale e mondo vegetale riguarda una creatura mitologica molto particolare, utilizzata nel Medioevo per spiegare l’origine del cotone. Questa creatura che si diceva vivesse in Oriente, luogo nel quale si pensava avvenissero i prodigi più inverosimili, è la pianta del Borametz o Borometz, più nota sicuramente agli appassionati di erbari medievali con il nome di Agnello di Scizia (o di Tartaria). Infatti in lingua tartara, borametz significa proprio agnello e lo si usava per riferirsi a questa pianta che si credeva desse come frutto degli agnelli.

I primi due autori europei che riferiscono di questo essere sono Odorico da Pordenone e John Mandeville che la mettono in relazione con un altro strano vegetale: “la pianta delle anatre vegetali”. Odorico da Pordenone, descrivendola, afferma di averla vista egli stesso. Riferisce che un animale simile ad un agnello cresceva all’interno di certi frutti simili a meloni, e quando questi erano maturi fuoriusciva dal suo interno. John Mandeville, invece, parla di frutti simili a carrube che quando giungono a maturazione mostrano al loro interno una”bestiola fatta di carne, ossa e sangue, a guisa di un piccolo agnello senza lana, sì che si mangia insieme col frutto”.

La terza fonte alla quale possiamo attingere per saperne di più sul borametz è il barone Sigismondo De Herberstein, noto viaggiatore, che nel 1549 pubblicò una raccolta dal titolo “Commentarii sulla Moscovia e sulla Russia”. In questo testo riferisce quanto segue:

“Tra Volga e Iaich, fiumi attorno al mar Caspio, abitavano li re Sauvolhensi, delli quali diremo poi. Appresso questi Tartari una cosa meravigliosa e a pena credibile Demetrio di Daniele, uomo fra li barbari di fede singolare, ci raccontò: essendo stato mandato suo padre come ambasciatore dal principe di Moscovia al re Zauvolhense, mentre era in quella legazione aveva veduto una certa semenza in quelle isole, poco maggiore e più rotonda del seme di melone, ma non dissimile però da quella. Da la qual semenza ascosa in terra, nacque una certa cosa simile ad un agnello di altezza di cinque palmi, e questo nella loro lingua lo chiamano borametz, cioè agnello, perché ha il capo, gli occhi, l’orecchie, e tutte le altre cose alla similitudine d’un agnello nuovamente nato. Oltre di questo ha una pelle sottilissima, la quale molti di quel paese la usano in capo ad uso di berretto (…) ha l’unghie non cornee come li agnelli ma con certi peli vestite alla similitudine di un corno, ha la radice sin all’umbilico e dura sin tanto che, mangiate le erbe attorno a loro, la radice per carestia del pascolo si secca”.

Questa descrizione che possediamo è certamente quella con il maggior numero di dettagli, intanto perché prima del barone De Herberstein nessuno aveva riferito il nome della pianta e secondo perché secondo lui l’agnello non nasceva all’interno di un frutto bensì è la pianta a dar luogo ad un frutto simile ad un agnello. Di certo gli autori che si sono sbizzarriti nel riferire particolari riguardanti questo vegetale sono tantissimi. Ne citiamo solo alcuni come Gerolamo Cardano, Giovanbattista della Porta, Olearius e Guglielmo Postel. Ciascuno di loro aggiunge sempre nuovi dettagli  al fine di rendere questo  vegetale sempre più misterioso. Il dettaglio più curioso è certamente quello che riferisce Olearius il quale dice che “se si taglia uno degli arti della bestiola, da questa fuoriesce un liquido rosso simile al sangue”.

Alle mille dicerie sull’argomento, però, pose un freno il botanico della Royal Society of London, Sir Hans Sloane che, una volta esaminato il presunto borametz, dimostrò trattarsi del rizoma lanoso di un felce cinese arborescente che può raggiungere anche i quattro metri di altezza.

A noi, però, piace pensare che in qualche luogo sconosciuto, visitato solo da antichi esploratori, esista davvero una creatura di questo genere che, in effetti potrebbe smentire le certezze offerte dalla moderna scienza.

Giusy Tolve