IL BURÀK

E’ un’antica tradizione islamica che ci racconta la leggenda di questa creatura, considerata sacra per i musulmani. Le raffigurazioni la ritraggono spesso in maniera molto simile a un centauro anche se in generale il Buràk ha il corpo di un cavallo, le ali e i piedi di un pavone e il volto di un uomo. Nell’arte persiana e dell’estremo Oriente islamico, però, nessun hadith (racconto) che si riferisca al primo Islam, parla di un volto umanoide. Un frammento tratto dal Sahih del più autorevole commentatore e tradizionalista musulmano, Muhammad al-Bukhari, descrive il Buràk in questa maniera: “(…) un animale bianco, più piccolo di un mulo e più grande di un asino, mi portò (…) La falcata dell’animale era talmente ampia da raggiungere il punto più lontano visibile dell’animale stesso (…)”.

Questo essere – il cui nome, per alcuni studiosi, deriverebbe dall’arabo buràq che significa “lampo” mentre per l’orientalista francese E. Blochet dalla parola persiana barag ossia “destriero” – fu il cavallo di vari profeti, in particolare di Maometto durante il suo pellegrinaggio dalla Mecca a Gerusalemme. I primi versetti del diciassettesimo capitolo del Corano, a questo proposito recitano così : “ Lodato sia Colui che fece viaggiare il suo servo, di notte, dal tempio sacro fino al tempio che sta più lontano e il cui recinto abbia benedetto, per fargli vedere il nostro segno”.

Una leggenda parallela ai versetti coranici riferisce che il Buràk “nell’alzarsi da terra, rovesciò una giara piena d’acqua. Dopo di che il profeta fu innalzato fino al settimo cielo, e conversò con ciascuno dei patriarchi e angeli che l’abitano, e attraversò l’Unità, e sentì un freddo che gli gelò il cuore quando la mano del Signore si posò sulla sua spalla”.

Il Buràk sarebbe stato cavalcato anche da Abramo, quando questi, secondo la tradizione, si recò dalla Siria alla Mecca per far visita al figlio Ismaele e alla sua concubina Hagar.

Secondo gli eruditi musulmani Buràk è anche il primo dei quadrupedi che Dio condurrà alla tomba del Profeta. Poi, dopo averlo resuscitato, Maometto verrà innalzato nei cieli sulla sua cavalcatura.

Come ricorda J.L. Borges nel suo Manuale di zoologia fantastica, Miguel Asìn Palacios, facendo riferimento a una cronaca del XIII secolo dal titolo Libro del viaggio notturno fino alla Maestà del più Generoso, spiega come la figura del Buràk venisse spesso utilizzata per esporre agli islamici in senso metaforico l’amore di Dio.

Una curiosità riguardante questo mito è il famoso “Muro di Buràk” che gli ebrei ritenevano essere l’unica porzione rimasta in piedi del Secondo Tempio di Gerusalemme. Questa parte del tempio avrebbe preso il suo nome da una leggenda secondo la quale Maometto avrebbe legato il Buràk a questo muro una volta giunto a destinazione.

Giusy Tolve