IL PIANETA DEI GHIACCI

Attraverso la cupola trasparente dello spazio-porto terrestre, si vedevano i palazzi della Città dei Ghiacci scintillare alla luce del giorno; il grande oblò sulla volta era aperto, permettendo allo sguardo di varcare i confini di quel mondo finito per conquistare un frammento di spazio, così azzurro su quel pianeta ghiacciato.
Al centro dello spazio-porto era sospeso un grande prisma lavorato in modo perfetto, in modo che ciascuna della sua miriade di facce potesse catturare il più piccolo raggio di luce.
Ma il cuore del prisma si accendeva di notte. Costituito da materiale organico originario del pianeta, dopo il tramonto del sole diventava come una cosa viva che si infiammava con una bizzarria di colori; questi si riversavano sulla lunga teoria di vicoli e costruzioni dello spazio-porto attraverso le facce del prisma, creando nell’insieme l’illusione di un mondo fatato e mutevole.
All’alba la magia scompariva e lo spazio-porto ripiombava nella luce razionale e lattiginosa di tutte le stazioni terrestri.
 
Darius l’aveva incontrata durante quelle ore fatate, al ritorno da una missione fra le montagne di Onion, il Pianeta dei Ghiacci.
Una sera si era attardato al computer della Stazione Centrale per inoltrare alcune richieste circa il tipo di equipaggiamento indispensabile per le esplorazioni su quel mondo difficile. Onion era un pianeta gelido e la sopravvivenza di un terrestre, soprattutto nelle zone più impervie, era legata alle capacità di isolamento e di autoproduzione termica delle tute da esplorazione.
Quand’ebbe finito di spiegare le proprie richieste era già buio e la rassicurante luce del giorno, insieme a quella lattiginosa e fredda del sistema elettrico di illuminazione terrestre, erano scomparse e, al loro posto regnava una fantasmagoria di colori: quei dannati oniani! Avevano permesso la costruzione della Base solo a patto di inserirvi quell’orribile prisma in cui avevano racchiuso la loro stregoneria.
I terrestri non apprezzavano quella luce, li metteva a disagio.
Anche Darius lo era quella notte. La Base era deserta e lui percorreva a lunghi passi i corridoi che lo separavano dal suo alloggio.
L’aveva vista allora.
Una piccola, esile donna oniana, vestita coi suoi abiti fluorescenti e le ciocche d’argento dei suoi capelli sfuggite al cappuccio calato sulla fronte.
Un’immagine fugace.
 
Su Onion non crescevano fiori. I veri fiori di quella terra gelata erano queste donne, belle come visioni, schive come bestiole notturne e che potevi casualmente incontrare solo di notte, quando ogni altro essere dormiva.
Strana gente, gli oniani. Si animavano alla luce della stessa materia viva che formava anche il prisma, prendevano vita al tramonto del sole per immergersi in misteriose faccende di cui ai terrestri, ospiti mal tollerati, non era concesso sapere.
Quando lo vide, la donna oniana si immobilizzò come fosse stata colta di sorpresa, e Darius ne rimase così affascinato da restare immobile ancora a lungo dopo che lei fu scomparsa: nell’aria era rimasta una fragranza particolare e indefinibile.
Alla luce della magia di Onion, Darius aveva cercato la piccola donna attraverso i cunicoli della Base Terrestre e fuori di essa, nel freddo polare della Città dei Ghiacci, ma in modo istintivo e automatico, senza neanche rendersene conto. Aveva vagabondato fra i palazzi di ghiaccio, fra figure schive che si appiattivano lungo i muri per evitarlo, sorprese a loro volta dall’insolita intrusione.
Darius aveva inseguito un profumo, un aroma che una volta impresso non poteva essere dimenticato né confuso.
D’un tratto qualcosa si era mossa dietro un angolo oscuro e la donna oniana era ricomparsa e lo fissava con grandi occhi grigio-perla; questa volta sul suo viso non c’era sorpresa, ma una fierezza che faceva pensare ad una regina nel suo castello, almeno così la immaginò Darius.
Era stato il loro primo incontro, casuale e fulminante come una freccia degli dei dell’antica mitologia terrestre, un vero dono della fortuna.
Darius e la donna oniana si erano incontrati altre volte.
Si erano cercati nelle ombre di quelle ore insolite, lungo i corridoi silenziosi della Base come negli stretti vicoli della città, avvertendo il calore intenso dei loro corpi stretti nell’abbraccio delle notti gelide.
Si erano amati.
Elionor era andata a vivere con lui, nel suo appartamento all’interno della Base terrestre.
Erano stati i mesi più belli della sua vita. Elionor divideva con lui le sue giornate e le sue notti, camminava al suo fianco alla luce del sole inventando per lui magie e illusioni che creavano ogni giorno una realtà e dimensioni sempre diverse.
Ma dopo il tramonto, Elionor si allontanava, sgusciando alla luce di quello strano cuore pulsante. Scompariva verso luoghi a lui sconosciuti e che non poté mai conoscere, per tornare da Darius al mattino.
Erano trascorsi alcuni mesi durante i quali Darius si era reso conto che la sua donna aliena si indeboliva progressivamente. Elionor era sempre più stanca, finché fu troppo spossata anche per uscire di notte alla luce del mistero di Onion. Anche le sue magie avevano perso il loro potere e il suo sorriso dolce, la luce del suo corpo sottile, divenivano sempre più flebili. Elionor era malata, Elionor stava morendo.
La vita nella Base terrestre bloccava i suoi flussi vitali, forse quella materia pulsante, il mistero di Onion, era la fonte della sua energia e quella esistente nella Base non le era sufficiente.
Ma lei voleva restare. Elionor lo amava, non le importava di morire.
Anche Darius la amava, non aveva conosciuto altra gioia nella sua vita che quei quattro mesi trascorsi con quella magica creatura al suo fianco, ma non avrebbe permesso che lei morisse, a qualsiasi costo.
Così l’aveva abbandonata. Le aveva detto che non gli piaceva più emaciata com’era, l’aveva lasciata sola, non era rientrato nel suo alloggio per diversi giorni, era andato con una delle tante donne terrestri della Base e aveva fatto in modo che lei sapesse.
Quando tornò, lei non era più lì.
Darius l’aveva sperato, voleva che lei se ne andasse e che riprendesse a vivere, prima che fosse troppo tardi, eppure aveva pianto.
 
Darius passò davanti all’hangar, il suo piccolo aero-pass dorato se ne stava tranquillo nel suo angolo. Non lo usava da due anni, perché da due anni non aveva più lasciato la Base, si era fatto trasferire al Servizio Esplorazioni di terra, elaborava dati, stava ore al computer.
L’uomo lisciò con la mano il muso del piccolo velivolo che, in altri tempi, era stato il suo orgoglio.
Da quando Elionor se n’era andata lasciando un profondo vuoto nel suo cuore, lui non l’aveva più rivista e si era segregato nella Base da due anni per evitare qualsiasi occasione d’incontro, per non farla soffrire.
Darius tornò nel suo appartamento chiudendo la porta alle sue spalle: l’espressione del suo volto era triste.
 
Il giorno dopo un’astronave proveniente da Taoporo avrebbe raggiunto la Città dei Ghiacci. Ai terrestri era stato concesso di entrare nell’astroporto di Onion, normalmente inaccessibile agli stranieri, per avere la possibilità di partecipare alla grande fiera-mercato allestita in appositi stands e che si teneva una volta ogni cinque anni.
Un evento straordinario.
La Terra non aveva rapporti con Taoporo. Il pianeta, distante migliaia di parsec, si trovava in una zona remota della Galassia, protetto da un tipo particolare di energia astrale che ne rendeva invalicabili i confini, almeno per gli alieni, e i terrestri erano alieni.
- Passi troppo tempo davanti a quel maledetto computer, Darius, dal colore della tua faccia si direbbe che tu non veda il sole dal giorno in cui sei nato e ti esponi troppo alla luce del prisma la notte: eppure dovresti sapere che quella maledettissima luce oniana non fa affatto bene a noi terrestri!
Il suo amico Vladir Marshall sedeva di fronte a lui sorseggiando una tazza di caffè bollente, indispensabile in quelle notti fredde, nonostante le spesse pareti isolanti dello spazio-porto terrestre.
- Sono due anni che te ne stai segregato alla Base, Darius, stai buttando via la tua vita!
Vladir non parlava mai direttamente di Elionor, come per una sorta di pudore.
- Forse verrò alla fiera…. sappiamo poco sulla gente di Taoporo, se hanno tre occhi o le pinne al posto delle mani, neanche se camminano a testa in giù ….
- E magari passano attraverso i muri ….
Vladir aveva finito il suo caffè.
- Passo a prenderti domani mattina?
- Si, non fare tardi, vorrei assistere all’atterraggio.
Darius si era addormentato solo alle prime luci dell’alba, il mercato sarebbe stato affollato di oniani, avrebbe potuto esserci anche lei.
Forse il tempo l’aveva guarita, forse l’aveva dimenticato.
 
L’astroporto della Città dei Ghiacci era gremito di folla, oniani e terrestri si evitavano, scivolavano via gli uni dagli altri come se una forza respingente impedisse loro persino di sfiorarsi.
Darius pensò che in quella folla immensa sarebbe stato difficile incontrarla.
L’atterraggio dell’astronave di Taoporo era stato emozionante: un’immensa immateriale bolla di luce, questo sembrò a Darius. Niente nella sua impalpabile struttura faceva pensare alla presenza di elementi metallici o meccanici, quindi potevano essere reali le dicerie che i taoporiani possedessero strane forme di energia astrale capace di creare un tipo di materia “immateriale”. Un altro tipo di magia? Il mistero di Taoporo.
Forse ogni pianeta possedeva una sua magia, qual era quella della Terra?
Darius si aggirava per l’immenso mercato, da un pezzo aveva perso anche Vladir, ma non se ne curava. Si sentiva partecipe di quell’anima vibrante e chiassosa alla luce del freddo astro solare di Onion, sotto il quale le cupole svettanti della Città dei Ghiacci rilucevano come perle di rugiada.
Alle sue spalle, due anni trascorsi all’interno della Base.
Il sentore della vita pulsava nelle vene in forti rintocchi come un pendolo che lo riportasse all’esistenza.
Così lontano poteva condurre l’amore, e così vicino all’ultimo fremito di una candela che lentamente si consuma.
Darius respirò profondamente e l’aria gelida penetrò sin nel profondo del suo io ed ebbe la sensazione di nascere una seconda volta, felice di assistere al proprio battesimo.
Le merci dei taoporiani erano le cose più straordinarie che una mente potesse immaginare. Forme inusitate, della stessa impalpabile materia di cui era forgiata la nave, per oggetti a cui lui non riusciva a dare un nome né ad attribuire alcuna funzionalità, ma nessun altro terrestre avrebbe saputo farlo.
Gli oniani invece apprezzavano quel tipo di mercanzia, mostrando un interesse che mai avevano rivolto ai raffinati strumenti dell’alta tecnologia terrestre e ne acquistavano in gran quantità. Le loro mani facevano presa facilmente sull’inconsistente materialità di quegli oggetti.
Darius aveva tentato di maneggiarne diversi ma inutilmente, essi sfuggivano alla sua stretta come trovassero repellente il contatto con le sue mani.
L’uomo ne era esasperato.
Si trovava in un angolo appartato della grande fiera, dove c’era meno folla e nell’aria vibrava solo un brusio lieve.
In uno stand erano appesi alcuni oggetti apparentemente così inconsistenti da sembrare piccole nuvole.
Darius si avvicinò incuriosito.
Si udiva un tintinnio leggero e, guardando con maggior accuratezza, si accorse della presenza di fili esili, forse le corde di uno strumento musicale, e l’aria smossa dalla brezza le faceva vibrare provocando quell’incantevole suono. Diverse di quelle “strane cose” erano ben allineate sul banco.
Darius si avvicinò e cercò di prenderne una, una specie di lungo bastone che si allargava, ad intervalli irregolari, in bolle su ognuna delle quali spiccava un pomello traslucido, le corde erano tese fra un pomello e l’altro creando una delicata trama. Lo strumento gli sfuggì di mano lasciandolo costernato.
Alle sue spalle echeggiò una risata.
 
C’era una donna dietro di lui, un’alta e robusta donna di Taoporo. In lei solo le mani affusolate e il volto avevano una consistenza accettabile, poiché il resto del corpo era racchiuso in una sorta di scafandro traslucido come nebbia attraversata dai raggi del sole.
Aveva la pelle del colore dell’ambra dorata su cui spiccavano gli occhi chiarissimi, – due frammenti di oceano – pensò Darius, e una cornice di folti capelli color rame tagliati cortissimi. La donna non aveva la bellezza quasi irreale delle donne oniane, nonostante lo strano scafandro in cui il suo corpo era racchiuso, dava l’impressione di una grande solidità e la sua espressione era insondabile, lievemente sarcastica.
Lo guardava negli occhi tenendosi a una certa distanza, quando lui fece l’atto di avvicinarsi gli impose di fermarsi con un semplice gesto della mano.
Darius rimase immobile e offeso dall’inaspettato rifiuto.
- Tu vuoi conoscere, uomo della Terra, ma conoscere è armonia fra le forze e tu non la possiedi.
La donna parlava il linguaggio terrestre, non era del tutto corretto ma sufficientemente comprensibile. La sua voce non poteva essere definita propriamente dolce e tuttavia possedeva una musicalità insolita, come una serie di toni sovrapposti.
Sembrò accorgersi dell’irritazione di Darius per essere stato respinto, lo sguardo le si adombrò un poco e indietreggiò ancora.
- Hai sentito parlare dell’energia astrale di Taoporo, terrestre?
La sconosciuta era diventata improvvisamente seria e aveva abbandonato il sarcasmo di poco prima; la sua bocca e i suoi occhi ora non sorridevano più, intrappolati in una sensazione di pericolo.
- Si, – rispose semplicemente Darius che non voleva prestare il fianco a nessuna polemica – ma ignoro di cosa si tratti.
La donna non ebbe fretta di rispondere, ponderò a lungo le parole, quindi lo invitò ad entrare nel retro del piccolo stand, una stanza di circa quattro metri per quattro, spoglia e con alcuni sgabelli addossati alle pareti.
- Voi terrestri credete che al di fuori della vostra galassia non esista civiltà, per voi noi non siamo che “alieni” – e pronunciò la parola alieni con un certo disprezzo – eppure anche gli “alieni” possiedono un codice di ospitalità, siediti dove vuoi, queste sedie sono state “stemperate”.
Darius non aveva idea di cosa volesse dire con quel “stemperate”, ma gli sgabelli avevano un aspetto del tutto normale e lui si accomodò.
La donna gli si sedette di fronte, all’interno del box il chiasso della fiera giungeva come da molto, molto lontano.
- L’energia astrale di Taoporo “tempera” la nostra materia, quella degli oggetti che ci circondano come quella del nostro corpo, la carica di energoni astro-mentali dandole quell’aspetto fluido, luminescente che tu stesso hai notato, senza ridurne la solidità.
Gli energoni astro-mentali esistono solo su Taoporo e sui rari pianeti avvolti dalle Nebbie Astrali, un particolare tipo di energia che deriva da un equilibrio perfetto fra tutte le forze di un pianeta. Taoporo possiede questo equilibrio e, nel contempo, la Nebbia Astrale lo rende un mondo chiuso, così come rende refrattaria la nostra materia ad ogni tipo di forza non armonica. Voi terrestri, fra tutti i popoli delle galassie, siete fra i più disarmonici, le radiazioni emanate dalla vostra materia non si sintonizzano con le nostre, per questo gli oggetti che hai cercato di prendere ti sono sfuggiti di mano, essi ti rifiutano, o meglio, rifiutano le forze che emanano dal tuo essere, per lo stesso motivo il mio corpo reagisce al fatto che cerchi di avvicinarti.
Il discorso lo lasciò ammutolito, gli occhi fissi sul volto della donna.
Una spiegazione secca e razionale come la diagnosi di un morbo incurabile, la sensazione del vuoto incolmabile del suo essere “alieno” nel senso proprio agli infermi psichici, chiusi in un mondo troppo diverso per poter essere comunicato.
Per qualche oscura ragione lui, un terrestre con tutto il suo bagaglio di logica e razionalità, era divenuto in quel momento preda di una paura sorda che rodeva quell’impalcatura di scienza che era il suo intelletto.
Eppure, come mai gli era capitato prima di allora, gli si stava aprendo un varco, uno spiraglio di luce dal significato ancora incomprensibile. Neppure Elionor era riuscita a fare tanto, l’esile donna oniana gli aveva fatto conoscere i meandri del suo mondo sotterraneo, aveva cosparso le sue giornate di odori e sapori che avevano inebriato il suo palato, ma lui non si era mai sentito parte integrante del mondo di lei, era stato spettatore di uno spettacolo di meraviglie che avrebbe voluto che non finisse mai, ma non era mai stato veramente partecipe della vita nascosta di Elionor, il suo mistero gli era sempre rimasto tale.
Le emozioni di Darius lo portarono lontano, agli anni della sua fanciullezza, ai mari salati della sua terra, un frammento di umanità felice sperduta nel Pacifico; laggiù era stato libero e spensierato, prima che gli eventi della vita lo costringessero nelle loro spire.
Quando Darius si riscosse, era in piedi sulla porta dello stand e fissava l’ondeggiare della folla come le morbide ali delle mante giganti dei suoi mari, qualcosa di perduto per sempre.
Si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime.
- Non credevo che un terrestre potesse piangere per le parole di un’aliena.
Il volto della donna aveva perso l’aria di sfida, un sentimento misto di pietà e stupore trapelava dai suoi occhi, illuminandoli di una strana bellezza.
- Neanch’io! – e l’ammissione di Darius sapeva di amarezza e liberazione insieme.
Quel che avvenne nei frammenti di tempo successivi, l’uomo non riuscì a comprenderlo ma lasciò un segno indelebile nel suo cuore.
Qualcosa catturò le sue energie, le imbrigliò con robuste redini che tirarono il morso del cavallo imbizzarrito che stava dentro di lui poi, per un attimo, si ritrovò capovolto, quasi stesse miracolosamente in equilibrio a testa in giù; quando finalmente riuscì a riprendere il consueto orientamento spazio temporale, avvertì il tepore e il profumo del corpo della donna contro il suo, la morbida lucentezza dei suoi capelli contro il suo viso e lui poté toccarla, sentire quel granello di vita aliena pulsare della sua forza vitale, mentre il varco che lo separava da quel mondo sconosciuto si spalancava davanti a lui permettendogli di oltrepassarne la soglia e di esserne parte.
Commozione per qualcosa di avuto, perso, a lungo cercato e, alla fine, ritrovato.
Ore, giorni o più semplicemente un attimo.
Ogni cosa svanì nell’alito profumato d’incenso della malinconia.
Adesso erano di nuovo l’uno di fronte all’altra e la donna sorrideva, la distanza fra loro si era accorciata, anche se esisteva ancora.
- Non potevo “temperarti” per più tempo senza danneggiare me stessa ….
L’uomo annuì ancora stordito.
- E’ questa l’armonia di Taoporo?
- Si, è questa.
La voce della donna aveva ripreso la sua fermezza e la sua forza.
- Un tempo anche la Terra aveva il suo mistero e la sua armonia, forse un giorno riuscirò a ritrovarli.
 
I giorni trascorrevano monotoni per Darius.
Aveva abbandonato il suo rifugio davanti al computer del Servizio Esplorazioni di terra e aveva ripreso ad avventurarsi in brevi escursioni all’esterno della Base terrestre; Elionor era ora un dolce ricordo.
Vladir non era più preoccupato per lui perché lo considerava “guarito” e lo accompagnava spesso nelle sue brevi sortite, allegro e di buona compagnia come sempre.
Ma i momenti più belli erano quelli in cui poteva viaggiare da solo attraverso i paesaggi ghiacciati di Onion, quando poteva abbandonarsi al senso di comunione che quella strana atmosfera, quella luce magica riuscivano comunque a comunicargli.
Ripensava talvolta al giorno della fiera, alla donna di Taoporo che non aveva più rivisto, al dono di quella preziosa intimità prima che lei tornasse nel suo mondo.
- Se almeno le avessi chiesto come si chiama, credo che sia maledettamente vero che noi terrestri siamo privi di qualsiasi equilibrio!
Darius era rammaricato per quella sua sciocca distrazione cui cercava di porre rimedio facendo in modo di conoscere il più possibile del pianeta Taoporo, della sua cultura e dei suoi abitanti, mentre sulle carte aerospaziali ne studiava la posizione e, approfondendo le proprie conoscenze di astro-fisica, contava quanti salti nell’ipersapzio occorrevano per arrivarci.
Non aveva un’idea precisa del motivo per cui agisse a quel modo e di quel che stava cercando.
Nel corso delle sue escursioni impiegava in genere le navicelle della flotta terrestre ma, di tanto in tanto, scendeva nell’hangar a controllare la propria. Le unità elettro-ioniche del suo velivolo funzionavano a meraviglia e Darius era certo che la sua piccola astronave fosse in piena efficienza: in realtà non sapeva perché vi tenesse tanto, visto che fra i suoi progetti non c’era quello di un lungo viaggio.
Talvolta gli veniva in mente di tornare nel paradiso perduto della sua infanzia, le isole del Pacifico, ma poi tornava coi piedi per terra e rinunciava a quel proposito poiché quel paradiso non esisteva più, almeno non dopo gli ultimi insediamenti astro-militari; aveva incontrato qualcuno qualche tempo prima, un pilota che era stato in una di quelle basi durante l’addestramento, e dalle sue descrizioni aveva capito che non c’era più traccia delle cose belle di cui aveva conservato il ricordo. La sabbia bianca, i coralli colorati, le mante e le tartarughe d’acqua giganti, tutto era andato irrimediabilmente perduto e, quel poco che era rimasto, era stato racchiuso in aree geo marine protette.
Avrebbe dovuto cercare altrove la propria armonia, l’aveva promesso a lei, la donna di Taoporo, e Darius intendeva rispettare quella promessa.
Una sera, mentre tornava alla Base verso il crepuscolo, si imbatté in uno sciame di falene di Onion; erano come piccoli cristalli di ghiaccio che riflettevano le luci fatate del pianeta. Immerso nella meraviglia del fenomeno, Darius arrestò la navicella e rimase a guardare, attraverso gli schermi, la nobile danza di quelle creature dirette verso qualche luogo lontano.
Si ricordò allora che, seppure raramente, era possibile incontrare nugoli di questi esseri in migrazione anche nello spazio intergalattico; allora, come altre volte, precedentemente, si domandò che genere di forza li attirasse e quale istinto seguissero, ma la scienza terrestre non aveva tempo da dedicare a fenomeni di dubbia utilità, l’unica cosa certa era che le falene non si dirigevano mai verso la Terra.
 
Anche su Onion le stagioni si alternavano e, dopo i lunghi mesi invernali, un pallido sole cominciò a farsi largo attraverso il cielo bianco di nubi del Pianeta dei Ghiacci. Le giornate diventavano più lunghe e non era più necessario affrettarsi per rientrare alla Base prima del tramonto.
Ovunque si avvertiva il risveglio, nella terra come nell’atmosfera che si faceva più luminosa e carica di profumi e di suoni.
Attraverso i ghiacci perenni filtrava un’energia insolita che investiva terrestri ed oniani; questi ultimi li si poteva incontrare più spesso nella vivida luce del giorno, anche se schivi come sempre, i primi mostravano un umore più gaio e indossavano abiti chiari.
Darius aveva ottenuto due giorni di permesso, così preparò i bagagli, tenda e tute termiche, strumentazioni e viveri, per trascorrere quel tempo libero da solo, sull’altipiano di Sira dove gli agili mamai l’avrebbero osservato da lontano coi dolci occhi a mandorla, prima di allontanarsi velocemente quando avesse accennato ad avvicinarsi: magari, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a non farli fuggire.
Erano simili ai pony, ma col corpo più snello e le zampe più lunghe, non possedevano la criniera e il collo appariva rasato, coperto soltanto da una peluria finissima. Come tutte le creature di Onion, anch’essi sembravano fatti di ghiaccio ma, se fosse riuscito a toccarli, avrebbe sentito il calore che sprigionava dai loro corpi. Darius ripensò a Elionor.
Prima di sera montò la tenda, le norme di sicurezza della Base terrestre esigevano di ricorrere ad un accampamento esterno solo in caso di effettiva necessità altrimenti, così recitava il regolamento, era più prudente trascorrere la notte all’interno della navicella, ma Darius quella volta non aveva richiesto nessuna autorizzazione che, d’altronde, non gli avrebbero mai concesso, quindi si affidò al caso e alla necessità di sentirsi libero, almeno una volta.
Quando fu calata la notte, l’uomo riparò nella tenda, la cui protezione termica era indispensabile per sopravvivere alle gelide temperature notturne. Attraverso l’oblò del suo sofisticato riparo, egli osservava il fenomeno delle strane luci notturne del pianeta, quel mistero irrisolto.
La luce nasceva dalla terra e invadeva lo spazio, quindi iniziava un artificio di fluorescenze che creava un movimento continuo e circolare che mutava l’aspetto del mondo circostante facendo perdere ogni orientamento.
Cullato da quel gioco di colori, Darius stava per addormentarsi.
Improvvisamente, una vibrazione che veniva dalle profondità della terra lo riscosse facendolo svegliare del tutto; Darius tese allarmato l’orecchio pensando all’eventualità di un terremoto e a quali possibilità avesse di raggiungere la navicella e riuscire a fuggire prima di restare intrappolato in quell’inferno di ghiaccio, ma poi fu catturato da un suono, una sorta di musica talmente dolce e impalpabile da fargli venire le lacrime agli occhi.
Darius non ebbe più paura, era come se qualcosa che attendeva da lungo tempo stesse per arrivare.
Indossò la tuta termica e uscì all’aperto.
La magia di Onion aveva stravolto completamente l’aspetto del paesaggio, tanto che non riusciva a riconoscere niente di quel che gli stava intorno, non identificava più neanche se stesso, unico corpo immobile in quell’universo in movimento.
Darius sentì che qualcosa o qualcuno si stava avvicinando e aguzzò la vista nella magica luce di Onion: attraverso quell’atmosfera irreale, riuscì a percepire la presenza di alcune creature che la luce rendeva indistinte; l’uomo attese.
Una sensazione di tenerezza gli inondò il cuore e, senza restarne sorpreso, il volto e l’esile figura di Elionor presero finalmente corpo al suo sguardo.
Come sempre gli era accaduto quando stava vicino alla donna oniana, la sua coscienza si dilatò ed egli comprese che, se era andato sin là, lo aveva fatto soltanto per incontrarla una volta ancora, un’ultima volta per sapere se lei aveva capito e se lo aveva perdonato.
Su quel viso delicato, bello e dall’espressione serena, l’uomo lesse la capacità di comprendere, la disponibilità che forse non meritava, e un amore profondo, generoso e privo di alcun egoismo. Elionor gli aveva insegnato che esistevano aspetti della realtà che andavano ben oltre i confini della fredda razionalità terrestre, ed ora lei lo lasciava andare perché, adesso che il suo cambiamento era iniziato, lui aveva bisogno di vivere una nuova esistenza, un diverso modo di guardare alle cose che non poteva più trovare su Onion, doveva cercare altrove, doveva partire per Taoporo.
Lentamente, una piccola folla di oniani gli si strinse intorno, e la notte riluceva dei loro corpi intrisi d’argento; nessuno parlava, eppure l’aria vibrava di parole di amicizia, di armonia e d’amore, mentre l’antico senso di diffidenza e di estraneità si era dissolto, anche quello che ogni “sano” terrestre ha l’obbligo di provare su un mondo alieno; restava il libero fluire di pensieri, un legame invisibile e forte.
Darius non conservò altro ricordo di quella notte. Quando si svegliò era giorno, si trovava al caldo all’interno della sua tenda e aveva fame, ma sapeva di non aver sognato.
Poiché poteva ancora tornargli utile, ripose con cura l’attrezzatura nella navicella e, non avendo fretta, passeggiò sul luogo dell’incontro di quella notte, ripensando a quel che aveva provato e alla malinconia senza tristezza che ora smorzava ogni altro stato d’animo; un luccichio attrasse la sua attenzione e Darius si avvicinò a raccogliere il cristallo che brillava sotto la luce del sole: il mistero di Onion riluceva sul palmo della sua mano, splendido e prezioso, ma niente a confronto della bellezza che avrebbe acquistato la sera, dopo il tramonto.
Quello era il dono di Elionor al loro amore, un frammento della magia del Pianeta dei Ghiacci.
 
Il giorno successivo Darius Mallard non si presentò al Servizio Trasferimenti della Base, andò invece nel suo alloggio, preparò i bagagli, raccolse i suoi ricordi e scrisse una lettera a Vladir: probabilmente non avrebbe capito, ma non poteva partire senza lasciargli qualcosa, perché era stato un amico sincero.
Abbandonò invece sul tavolo le mostrine e ogni altra cosa appartenuta al tempo in cui era stato il Responsabile del Reparto Esplorazioni, poiché stava scegliendo di non fare più parte della Flotta Spaziale Terrestre, preferendo essere semplicemente un uomo libero che avrebbe cercato altrove il significato della propria esistenza.
Uscito dal suo alloggio, attraversò i corridoi silenziosi e solitari sino all’hangar, dove sistemò ogni cosa all’interno della sua piccola astronave dorata: avrebbe agito velocemente, quando alla Base avessero compreso le sue intenzioni, sarebbe stato già tardi e lui lontano.
I motori si avviarono al primo tentativo, quindi accese il computer di bordo e, sullo schermo, comparve la mappa dello spazio interstellare; Darius impostò le coordinate di Taoporo, la sua prossima meta.
 
Abbandonare la Base Terrestre di Onion non fu difficile, il Computer di controllo del traffico aerospaziale conosceva i dati identificativi suoi e dell’astronave e, senza capire che lui se ne stava andando per sempre, lo lasciò partire senza complicazioni. Una volta da solo, nello spazio, Darius provò un po’ di timore per l’immensa incognita che lo attendeva, quindi restò ad osservare il Pianeta dei Ghiacci che si allontanava diventando sempre più piccolo, avvolto nella sua atmosfera opalescente.
Darius ripensò a Elionor, e un sentimento di malinconia mista a gioia lo pervase: il cristallo magico, il mistero di Onion, era poggiato sul tavolo dei comandi e avrebbe rischiarato la sua notte.
 

Il computer calcolò rapidamente la rotta e Darius si predispose per il suo primo salto nell’iperspazio.

16/04/2007, Lidia Petrulli