I TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: III CLASSIFICATO

 
 
 
 
 
LA CROCE DEL VENTO
di SARAH ZAMA
 
Per tutta la notte si girò e rigirò nel letto, lanciando occhiate ansiose alla luna che stava per comparire alla sua finestra.
Heizel gli dormiva accanto.
Accanto.
Eppure erano anni che vivevano in due mondi diversi. Anche se un tempo si erano amati, tanto che ognuno dei due sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa per l’altro. E lui l’aveva fatto. Perché era a causa di Heizel che tutto era cominciato… e che tutto stava per finire.
Guner lanciò un’occhiata alla finestra. Il cielo d’inizio estate scintillava tutto della sua luce, eppure la faccia pallida della luna ancora tardava a mostrarsi. L’appuntamento era per la mezzanotte esatta. Guner aveva deciso di alzarsi quando la luna fosse entrata nello specchio della finestra.
L’uomo posò gli occhi sul profilo della moglie.
Le ultime notti erano state un tormento. Si era agitato nel sonno, spesso aveva gridato, per questo Heizel era arrivata all’esasperazione, per questo alla fine avevano litigato, la sera prima, una volta di più.
* * *
"Tre figli… e non so nemmeno di chi siano!"
Heizel sostenne il suo sguardo con orgoglio.
"Se hai dei dubbi, disconoscili," lo sfidò.
Guner si sentì avvampare.
"Osi sfidarmi?" le gridò in faccia.
"Quanti amanti hai avuto, Heizel, da quando siamo sposati? O pensi che non lo sappia?"
Lei s’irrigidì, gli occhi le divennero tempesta mentre alzava il mento, cosa che diede alla sua figura dritta e sottile un aspetto altero.
Guner sentì il cuore stringersi in petto. Era ancora così bella!
"Non chiederlo, Guner," sussurrò lei gelidamente, "o potrei farti la stessa domanda." Era così glaciale, era così lontana!
Guner sentì qualcosa morirgli dentro, come gli era successo ogni volta che aveva litigato con lei. Era colpa sua e lui lo sapeva. Era lui che…
Scosse il capo, vinto dall’avvilimento.
"Heizel… Heizel," mormorò. Gli sembrava di aver perso tutto molti anni fa, anche se avevano condiviso metà della loro vita. Gli era sembrato che non ci fosse altra via che rinunciare a tutto. Eppure com’era difficile adesso lasciarsi davvero la propria vita alle spalle!
Il viso della moglie si contrasse in una smorfia.
"Non fare quella faccia rammaricata, Guner, ti prego. Lo sai che non lo sopporto quando ti comporti da vittima." C’era qualcosa di solido nella sua voce. Non era disprezzo, ma Guner non cercò di capire cosa fosse.
Rimase semplicemente in silenzio, gli occhi bassi.
Anche Heizel rimase in silenzio per un po’, fissandolo, poi si mosse a disagio sulla sedia intagliata accanto alla scrivania.
"Che cos’hai da rimproverarmi?" chiese infine, la voce ancora metallica.
"Forse non sono sempre rimasta nel tuo letto in tutti questi anni? Forse non sono sempre rimasta al tuo fianco in ogni occasione? Ho fatto tutto quello che ci si aspettava da me. Ti ho persino dato dei figli! Che cosa hai fatto tu, per me?"
"Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per te!" gridò Guner all’improvviso, senza riuscire a controllarsi. La risata amara di Heizel lo colpì come una lancia dritta al cuore. "Tutto quello che hai fatto in questi vent’anni l’hai fatto per te solo. Non cercare di ingannare te stesso, Guner."
Non è così! Il grido esplose dentro Guner, ma rimase bloccato nel suo petto.
Non è così!
Le voltò di scatto le spalle, incrociando le braccia come per difendersi.
Fissò le fiamme del camino che, insieme alla luce del tramonto, tingevano di rosso il suo studio privato. Gli sembrava che quella stanza infuocata somigliasse alla sua anima, in quel momento, ed Heizel, seduta accanto alla scrivania in uno dei suoi semplici abiti bianchi e la treccia bionda che le scendeva pesante su una spalla, sembrava la brezza fresca che però rifiutava di lenire la furia che c’era in lui.
"Che cosa ci è successo, Heizel?" chiese in un soffio, senza guardarla.
"Vorrei saperlo," disse lei, con voce stranamente opaca. Il cuore dell’uomo batté più velocemente. C’era forse un invito nella voce della moglie? Fu solo un momento, però.
Lui non parlò ed Heizel parve infuriarsi: "Vorrei sapere perché ad un certo punto la ricchezza ed il potere per te sono diventati più importati di tutto.
Perché i piaceri di ogni tipo sono diventati più importanti dell’amore. Perché il ragazzo che mi aveva conquistata è sparito nella cenere della conquista e dell’ambizione nel volgere di pochi, brevi anni!"
Guner si voltò di scatto, disperato.
"Tu non sai…" iniziò. E subito si fermò. Non poteva dirglielo. Non sapeva perché, ma non gliel’avrebbe mai detto.
Gli occhi di Haizel luccicarono. Il suo viso si fece attento, quasi preoccupato. Tutto il suo corpo si tese verso di lui.
"Cosa?" soffiò. "Cosa non so?"
Guner le voltò di nuovo le spalle, le braccia conserte.
"Nulla," mormorò al fuoco.
 
Guner si voltò sulla sella e guardò verso l’alto, dove il suo castello sembrava solo una propaggine sul fianco della montagna, nero contro l’indaco profondo della notte.
`Cosa? Cosa non so, Guner?"
"Oh, Heizel…" gemette.
Che non ho smesso un solo momento di amarti, avrebbe voluto gridare perché lei lo sentisse nel sonno. Forse anche lei lo amava ancora, era mai possibile?
Gli sembrava certe volte di vedere negli occhi di lei…
Non fare l’idiota!
Con un moto di rabbia, Guner si voltò, dando le spalle al proprio castello e alla propria vita, e diede di sprone.
Conosceva il luogo e il tempo dell’appuntamento da vent’anni e ci aveva spesso pensato. Quel termine non era mai stato lontano dai suoi pensieri e il sogno della fata, che lo aveva visitato solo poche notti prima, era solo stato un monito in più, non necessario, e doloroso.
* * *
Guner si ritirò dietro un muro sbracciato e mezzo crollato, il cuore gli martellava in petto.
Era solo un ragazzo e loro erano ben nove. Nove banditi prezzolati ed esperti, che lo avrebbero ucciso in un momento, sempre che non fossero in vena di giocare al gatto e al topo.
Deglutì.
Ma loro avevano qualcosa di molto prezioso. Qualcosa per cui lui era disposto a dare la vita.
"La tua donna."
Guner sobbalzò, alzando di scatto il viso.
Lei era una giovane donna dalla bellezza eccezionale, tanto diafana e ultraterrena che non poteva appartenere ad altri che a una fata. Era rannicchiata sulle radici di un albero secolare, avvolta in una leggera tunica bianca stretta alla vita da una cintura di gemme legate dall’oro. Le gemme brillavano tutte di una pura luce bianca, tranne alcune, che palpitavano di porpora, ed altre che erano opacamente grigie. La pelle mielata era di velluto come la sua voce, i capelli erano una leggera cascata d’inchiostro sulle spalle, la bocca una ferita di sangue e gli occhi due schegge di notte.
"Povero ragazzo disperato," cinguettò di nuovo la fata, guardando Guner dritto negli occhi mentre lui sentiva tutto il suo sangue scivolargli via dal corpo. "Le tue previsioni non sono sbagliate. Quegli uomini giocheranno con te per alcune ore, ferendoti ripetutamente con tagli dolorosi, ma non tali da portare alla morte, mentre la tua donna supplicherà tutto il tempo di lasciarti libero, giurando fra le lacrime di fare qualsiasi cosa loro vorranno, se ti lasceranno vivere. Ma dopo la tua morte loro prenderanno comunque ciò che lei aveva offerto."
Guner respirava affannosamente, gli occhi sgranati e la gola secca, e l’unico motivo per cui non si gettò gridando fra quegli animali fu la soprannaturale tranquillità della fata.
"Non ho nessuna possibilità contro di loro," sussurrò. E il suo viso si fece deciso. "Ma non m’importa."
La fata appoggiò i piedi nudi fra l’erba del rudere.
"Una possibilità ce l’hai, se accetti il patto di Miril," cinguettò e Guner si irrigidì contro il muro crollato. "Io ti posso aiutare," proseguì lei, "ma c’è un prezzo che dovrai pagare."
Una lunga pausa di gelo.
"Quale?" soffiò Guner, incontrando infine gli occhi della fata.
Miril incurvò le sue labbra rosse in un sorriso troppo dolce per essere malizioso.
"Non sei un ragazzo sciocco. Il prezzo lo conosci," rispose.
Guner adesso sentiva il proprio cuore trottare e il sudore colargli giù per la schiena. Si voltò verso il fuoco che i briganti avevano acceso fra le quattro mura che erano rimaste in piedi della rocca. Ora stavano mangiando qualche tipo di selvaggina, ma dopo – un nodo gli serrò la gola – dopo si sarebbero presi Heizel, qualunque cosa lui avesse fatto. A meno che…
Si volse verso Miril.
"La mia anima?" chiese, bianco come un cencio.
"Sei disposto a pagarla?" ribatté Miril, senza un’increspatura nella sua tranquillità.
Lui non rispose. Miril sorrise, di un sorriso luminoso. Si alzò e venne vicino a Guner, i piedi bianchi silenziosi come brezza sull’erba.
"Bene," disse quando gli fu di fronte. "Allora vieni fra vent´anni alla Croce del Vento, la notte del Solstizio d’Estate, e lì salderemo i nostri conti."
Alzò una mano sulla fronte di Guner, che vide una luce formarsi nel palmo della sua mano delicata. Non seppe mai quello che accadde dopo, quella notte, né Heizel glielo seppe spiegare, perché tutto era successo come in un sogno fuori dallo spazio e dal tempo. Ma non importava. Ciò che importava era che Heizel era tornata sana e salva fra le sue braccia fino al castello di suo padre e che, grazie al suo coraggio, Guner poté sposarla.
Il fatto di essere insieme e di amarsi fu per lui l’unica cosa importante per molto tempo. A lungo il patto con la fata era stato solo un fumoso ricordo con poca sostanza. Eppure era lì, rannicchiato fra i suoi pensieri, e a poco a poco, senza che lui lo volesse o se ne rendesse pienamente conto, aveva cominciato a divorare la sua felicità.
* * *
Il quadrivio, la Croce del Vento, era proprio di fronte a lui. Guner vi arrivò dalla strada che puntava verso est. Non c’era nessuno, ma forse non era ancora esattamente mezzanotte.
Gli zoccoli del suo cavallo risuonarono sordi sulla terra battuta.
L’uomo si fermò nel punto in cui le quattro strade convergevano. La foresta alle pendici della montagna assediava i quattro rami del quadrivio e quasi li inghiottiva con le sue fauci d’ombra. Il vento faceva stormire le cime degli alberi.
Guner alzò il viso, attratto da quel rumore frusciante. Gli alberi dondolavano dolcemente sotto la luce della luna, come dedicandole una danza rituale in quella che, in realtà, era la sua notte più breve.
Rimase alcuni momenti a guardare la danza lontana delle foglie e del vento, poi tornò ad abbassare lo sguardo sul quadrivio.
Lei era lì, nel centro esatto, ed anche la sua veste bianca danzava vorticando, come i suoi capelli d’inchiostro che quasi non si distinguevano contro il buio della foresta.
Le gemme della sua cintura brillavano di bianco e di rosso, tranne alcune, grigie.
"Sei venuto," sorrise la fata. "Del resto la maggior parte di voi è abbastanza saggia da venire."
"Non tediarmi con le tue ciance, strega!" ringhiò Guner "Fai quello che devi!"
Miril inarcò le sopracciglia con fare malizioso e per nulla turbato poi, serafica, senza una parola, sfiorò con un dito una delle gemme bianche alla sua cintura. La luce sgusciò fuori dalla sua prigione di pietra e fluttuò nell’aria, leggera, come se non ci fosse affatto vento intorno a lei. La gemma che si lasciò dietro era grigia e opaca. Guner fissò la sfera luminosa come incantato, mentre quella galleggiava verso l’alto e si espandeva, diventando più grande e più trasparente, finché, all’altezza del seno di Miril, si dissolse.
La fata alzò il viso bellissimo verso di lui, incurvando le labbra in un vago sorriso anche se ciò che in realtà catturò l’attenzione dell’uomo furono i suoi profondi occhi scintillanti. Guner vi fissò il proprio sguardo, cercando una risposta che non riuscì a trovare. Non sentiva alcun cambiamento dentro di sé.
Alla fine, confuso, dovette chiedere: "E dunque?"
"Dunque sei libero," fu la semplice risposta.
Guner rimase immobile per diversi momenti, la bocca dischiusa, senza capire.
"Questo cosa significa?" chiese, infatti.
Il divertimento negli occhi di Miril luccicava come la luna su una polla scura.
"Significa che i vent’anni al mio servizio sono conclusi e il mio legame con te è spezzato."
La fata non rideva, ma la sua espressione era la stessa che se l’avesse fatto. Inclinò la testa di lato, in un gesto attraente e dolce insieme.
Guner era sconvolto.
"Credevo…" alitò infine, mentre il suo cavallo scartava leggermente di lato, menando la coda. "…che il mio patto cominciasse ora, anziché concludersi," completò Miril e rise, scuotendo la testa con divertimento. "Questo è tipico di voi umani. Pensate sempre di avere ancora un po’ di tempo prima di dover adempiere alle vostre responsabilità e in quel breve tempo cercate di ottenere il massimo al minimo prezzo. E per me è una fortuna, perché è così che vivo. Nell’ansia di ottenere tutto ciò che volete nel tempo a termine che io vi ho dato, dimenticate completamente ogni piacere della vita e anche quelli che riuscite ad ottenere, con le donne, col denaro, col cibo, non ve li godete. Tutta questa gioia di vivere che voi sprecate, io posso goderla nel breve periodo in cui il patto ci lega."
"Sei una specie di vampiro!" disse Guner in un sussurro, con una smorfia di disgusto.
Miril non ne parve affatto turbata.
"Non prendo nulla che vi sia indispensabile, siete voi a rinunciare a godere di ciò che è vostro. Qualche volta capita che qualcuno non perda la testa e in questo caso vive la sua vita con gioia e soddisfazione fino allo scadere del patto. E’ raro, ma a volte succede. In quel caso il patto è inutile per me," sorrise, "ma non importa."
Guner la fissava, inespressivo.
"Altre volte, più frequenti, devo ammettere, qualcuno pensa di fare il furbo e non viene all’appuntamento. Così rimane legato al patto fino alla morte," indicò con un gesto vago una delle gemme rosse.
Il silenzio calò su di loro. Il fruscio della foresta sembrava quasi deridere l’uomo, le cui mani si strinsero attorno alle redini, le nocche bianche.
"Il tuo non è che un vile inganno per alimentare la tua immortalità!" rinfacciò l’uomo, infine, teso.
"Forse," Miril disse, il viso malinconico. "Ma non ti sto forse anche offrendo quella seconda possibilità che la maggior parte degli uomini non riceve mai?"
Una folata di vento più forte investì il crocevia e Miril la fata era sparita.
* * *
Quando Guner tornò al suo castello, la notte era ancora fonda.
Si svestì, si infilò nel letto accanto ad Heizel, ma non riuscì a coricarsi.
Invece rimase seduto a pensare tutta la notte. Miril aveva avuto ragione, non era così? Nessuno l’aveva obbligato a far nulla. Aveva sempre avuto la possibilità di scegliere. Eppure… eppure era stato facile pensare che quella che stava seguendo era l’unica via possibile.
Qualche volta capita che qualcuno non perda la testa e in questo caso vive la sua vita con gioia e soddisfazione fino allo scadere del patto.
Quando cominciò ad albeggiare, sentì Heizel muoversi nel letto.
"Che succede?" giunse dopo un po’ la sua voce. E Guner l’ascoltò, davvero. E sentì il dolore e la preoccupazione che la tingeva. Deglutì, dolorosamente, perché la sua gola era secca.
Non gliel’avrebbe detto, decise. Quella era l’ultima decisione forzata dal patto di Miril, e la prima decisa dal nuovo Guner.
La luce dell’alba accarezzò le lenzuola.
Guner non si voltò a guardare la moglie, ma voltò gli occhi al sole nascente.
"Sta sorgendo il sole," disse con voce roca.
Ci fu un momento di sospensione. Una pausa. Uno scarto di tempo, quasi.
A Guner sembrò di soffocare. Poi sentì Hazel sedersi sul letto e avvicinarsi.
Sentì le sue braccia attorno alle spalle.
"Nasce un nuovo giorno," sussurrò lei al suo orecchio. Un sussurro tremante, carico di timore e di speranza insieme.
Guner le prese una mano e la strinse forte. La baciò.
"Sì," sussurrò a sua volta, accarezzando il braccio candido della moglie.
"Sì, è l’alba di un nuovo giorno."
03/10/2008,