GHOSTWRITER
di Nicola Catellani
Il blocco dello scrittore è una brutta bestia. Dario se ne rendeva conto sempre di più. Funziona così: stai lì davanti al tuo portatile, con la pagina bianca che ti fissa dallo schermo, poi tu fissi lei, provi a scrivere due frasi, non ti piacciono, le cancelli, apri un altro file per prendere appunti, torni alla pagina bianca…
Alla fine vai su internet a cercare ispirazione, e lì ti perdi.
E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Idem. Dario stacca la connessione internet per evitare distrazioni, ma le cose non migliorano. Anzi, il tempo non passa mai, e sullo schermo nulla cambia. Impreca ad alta voce, invocando un’ispirazione che non arriva.
Di notte ha anche gli incubi.
Aveva affittato quella vecchia villa veneta del Settecento per una settimana, sicuro che l’ambiente l’avrebbe ispirato. Era il sistema usato per i suoi precedenti romanzi, e aveva sempre funzionato alla perfezione: la baita in montagna, la vecchia casa cantoniera, la canonica dismessa della pieve. In quelle occasioni l’ispirazione era fluita in lui, e già dal primo giorno le sue dita avevano danzato sui tasti. La settimana gli era bastata per le prime stesure, poi si era trattato solo di rifinire.
Questa volta, invece, niente. Colpa della villa? Era stata ristrutturata, ma solo in parte: all’esterno mostrava ancora lo stile dell’epoca, invece all’interno – nelle poche stanze in affitto – l’ammodernamento era evidente. I lavori nella parte più caratteristica dell’edificio erano fermi da tempo. Dario aveva camminato a lungo nel parco del giardino, ammirando la villa dall’esterno, immaginandosi la vita in quel luogo nel Settecento. Ma, una volta all’interno, niente ispirazione.
E, la seconda notte, l’incubo.
Dario cammina in un salone d’epoca, forse in quella stessa casa, ma i confini sono indistinti. Gli affreschi incomprensibili, confusi. Arriva all’altro capo del salone e apre la grande porta lignea. Si trova in una piccola stanza, una biblioteca di antichi volumi. C’è una poltrona con lo schienale rivolto verso di lui. Qualcuno è seduto sulla poltrona. Dario si ferma, teme di essere entrato dove non dovrebbe. La persona si alza dalla poltrona e si volta.
È un uomo di una sessantina d’anni, con parrucca bianca e abito decisamente settecentesco. Ha un libro in mano. Sorride a Dario e gli dà il benvenuto. Si presenta come Guidubaldo Pallavicino, o qualcosa di simile. Scrittore veneto. Dario si presenta a sua volta come scrittore. Guidubaldo pare rallegrarsene. Dario rivela di avere il blocco dello scrittore. Guidubaldo si rallegra ancora di più, e si offre di aiutarlo.
“Sono un fantasma”, rivela, e solo in quel momento Dario si accorge che il corpo dell’uomo è traslucido. “Potrei entrare in te e scrivere al tuo posto. Son pieno di idee! Son morto da centinaia d’anni e in tutto questo tempo non ho avuto altro da fare che pensare a trame di opere!”
Dario non crede ai fantasmi, ma quella scena appare fin troppo reale.
“Vorresti… possedermi?”, chiede, impaurito.
“Non è così terribile come sembra. È una cosetta momentanea.”
Il fantasma avanza verso di lui. Dario indietreggia.
“No, no. Non ti avvicinare!”
“Davvero, non sarà pericoloso…”
Il fantasma vorrebbe sembrare rassicurante, ma non lo è affatto.
“No! No! Vattene!”
Dario si gira per tornare di corsa nel salone, terrorizzato.
La porta è sparita.
“Mi spiace, Dario, ma non ho altra scelta.”
Il fantasma gli si lancia contro, affondando nel suo corpo.
Dario urla di terrore e…
…spalancò gli occhi con un gemito, poi un sospiro di sollievo. Si trovava nel suo letto. Era stato solo un incubo.
Placò i battiti del cuore. Era ormai mattina, tanto valeva uscire dal letto. Si alzò nella pallida luce che filtrava dalle tende. Ci mancava anche l’incubo…
“Buongiorno!”
Quel saluto improvviso lo spaventò.
Era solo in casa. Da dove proveniva quella voce?
“Chi è? Chi parla?”
La risposta terrorizzò Dario ancora di più:
“Sono Guidubaldo Pallavicino.”
La voce era dentro la sua testa.
Posseduto da un fantasma!
Dario fu preso dall’angoscia nello scoprire di avere un ectoplasma dentro di sé; ad essa seguirono vari minuti di puro spavento nei quali il povero scrittore colloquiò con quella voce interiore, diviso tra il terrore di essere impazzito e il panico di essere davvero posseduto.
La voce interiore, dal canto suo, fece del suo meglio per rassicurare l’uomo delle sue buone intenzioni, dell’assoluta provvisorietà di quella possessione, del fatto che gran parte delle storie sui fantasmi sono false, e così via.
Dario, per tutta risposta, cercò più volte di scappare dalla casa. Ma ogni volta i suoi occhi si chiudevano di colpo, e si risvegliava seduto su una sedia. Il fantasma riusciva a prendere possesso del suo corpo quanto bastava per non farlo fuggire.
Alla fine, per sfinimento, l’uomo gridò:
“Ma insomma, cosa vuoi da me?”
La voce, con accento chiaramente veneto, rispose:
“Ostrega!, te l’ho detto stanotte: farti scrivere un capolavoro.”
Scendere a patti con un fantasma poteva essere il male minore… se l’alternativa era la pazzia. Quindi Dario attese che il terrore lo abbandonasse, e provò a intavolare una trattativa.
“Ma… perché?”
“Sono uno scrittore, ostrega! Son centinaia d’anni dacché son morto che fremo per poter scrivere delle opere, ma non ne ho mai avuto l’occasione”. La voce interiore sembrava quasi implorante. “In questa casa son vissute decine di persone, ma manco uno scrittore. Così, quando ho capito dal tuo sogno che te xe uno scrittore in crisi, ho pensato: è giunto il mio momento. Posso aiutarti!”
“E come?”
“Semplice. Prendo possesso del tuo corpo e scrivo io al posto tuo!”
Non fu per nulla facile convincere Dario, ma dopo una serie di rassicurazioni (il fantasma non avrebbe preteso la paternità dell’opera; si sarebbe accontentato di una semplice dedica “a Guidubaldo Pallavicino”; la possessione era assolutamente innocua; una volta terminato il lavoro l’avrebbe lasciato libero) egli accettò di sottoporsi al tentativo. In pratica il fantasma sarebbe diventato, letteralmente, il suo ghostwriter.
“Cosa devo fare?”
“Siediti, serra gli oci, e al resto penso tutto io. Quando te li farò riaprire sarai sbalordito!”
“Ma se chiudo gli occhi, come puoi guidare il mio corpo?”
“Non me servono i tuoi oci per vedere. Li devi tenere chiusi per non intralciarmi mentre lavoro.”
“Non è che poi mi mandi a sbattere da qualche parte? Io non mi fido.”
“Oh, Dario, tì te xe propri un mona! I mona sii riconosse dal fatto che i dovarìa tasèr coi parla e che i dovarìa parlar coi tase. (1) Sta’ bono e serra gli oci!”
Dario, molto dubbioso, obbedì.
Non provò alcuna sensazione dello scorrere del tempo. Quando il fantasma gli fece riaprire gli occhi poteva essere passato un minuto come mezza giornata.
“Ebbene?”, chiese. La situazione attorno a lui sembrava invariata. “Finito?”
“No, non ho nemmeno iniziato”, rispose l’altro, con un leggero imbarazzo, “Non trovo carta, penna e calamaio. Dove li hai cacciati?”
“Carta, penna e… Ma il calamaio non si usa più da decenni!”
“E dove intingi la penna?”
“Ma la penna non si intinge!”
Dario sospettò che il fantasma fosse rimasto isolato in quella casa un po’ troppo a lungo.
“Scusa, ma i precedenti abitanti di questa villa non scrivevano mai niente?”
“Da più di cinquant’anni qui non ghe vive nessuno. È stata ristrutturata da poco. Prima g’ha vissuto per oltre quarant’anni una vedova analfabeta”.
“E non sei mai uscito?”
“Sono un fantasma, insemenìo! Son legato a star qua. Allora, g’avemo ‘sta carta e penna?”
Dario sospirò, e si sedette al portatile poggiato sul tavolo. La situazione non si prospettava semplice.
“Ormai non si usano più carta e penna per scrivere. Adesso c’è questo.”
Aprì il computer e lo accese. Lo schermo s’illuminò.
“Ostrega!”, esclamò il fantasma, sorpreso. Il corpo di Dario, contro la sua volontà, si ritrasse di colpo all’indietro. “Cosa xè questo libro infuocato?”
“Si chiama computer. Forza, possiedimi e usalo.”
Chiuse gli occhi.
Li riaprì. Situazione invariata. Anche stavolta erano trascorsi solo pochi secondi.
“Non funziona così, Dario”, lo rimproverò il fantasma, “Io non prendo possesso della tua mente, ma solo del tuo corpo. Se devo usar il libro de fogo me g’hai da spiegar come se fa.”
Spiegare l’uso della videoscrittura a uno scrittore del Settecento? Dario non era riuscito nemmeno a spiegarlo a sua madre…
Aprì una pagina bianca sullo schermo.
“Immagina che questo sia un foglio di carta. Qui sotto ci sono dei tasti con le lettere dell’alfabeto. Se spingi un tasto, la lettera compare sul foglio. Così, vedi?”
Premette la A, e comparve sullo schermo.
“Xè miracoloso!”, si sbalordì il fantasma, e costrinse il corpo di Dario a farsi un rapido segno di croce.
Dario gli mostrò l’uso dei tasti per gli spazi, la punteggiatura e per andare a capo. Non azzardò oltre.
“Adesso fai una prova tu.”
Chiuse gli occhi.
Li riaprì. La pagina era ancora bianca.
“Cosa succede?”
“Le lettere sui tasti… son tutte in disordine! Guarda qua: Q, W, E, R, T, Y… Come se fa a trovar la lettera bona, senza l’ordine alfabetico? Ciò!, a cercar una lettera alla volta, qui si fa notte.”
Sullo schermo comparivano solo poche lettere, alcune ripetute di fila per una decina di volte, segno che il fantasma aveva avuto il dito pesante sul tasto.
“Mi g’ho bisogno de carta e penna, non del tuo libro de fogo.”
Dario non tentò nemmeno di ribattere. Nella valigia aveva infilato cinque o sei fogli bianchi, in caso di appunti, e anche una biro. Li mise sul tavolo. Guidubaldo si mostrò dubbioso.
“E il calamaio?”
“Non serve. L’inchiostro è dentro la penna.”
“E la carta assorbente per asciugare l’inchiostro?”
“Non serve. Questo inchiostro si asciuga subito. Sei pronto?”
“Mettiti a sedere, si comincia sul serio.”
Dario si sedette e chiuse gli occhi.
Li riaprì. Si aspettava ancora una pagina bianca, invece si ritrovò i fogli tutti vergati da una calligrafia larga, antiquata, piena di ricciolini e particolarmente arzigogolata. All’esterno la luce del sole era più vivida: doveva essere quasi mezzogiorno.
“Ho finito i fogli.” spiegò il fantasma.
“Non ne ho altri. Posso… uscire dalla casa per comprarli?”
“Ciò, io devo restar qua, ma tu vai pure. Non puoi tentare la fuga, g’avemo un contratto spiritico! Tornerai, e io rientrerò.”
Dario raccolse il primo foglio e lesse le frasi.
O meglio, provò a leggerle. Le lettere maiuscole sfoggiavano cartigli svolazzanti ovunque, e le minuscole… le S sembravano F, le A non si distinguevano dalle O e dalle U, le M dalle N, le righe erano schiacciate l’una sull’altra, la punteggiatura quasi del tutto assente.
“Ma non si capisce niente!”
“La tua penna xe scarsa”, rispose Guidubaldo, sprezzante, “Troppo corta, poco maneggevole. Ci voleva una vera penna d’oca e l’inchiostro.”
Dario s’impegnò a decifrare l’apparente titolo dell’opera.
“Vediamo… ‘La gran vittoria del servetto Pantalotti contra il dottor Scatolone e monsignor Turibolo, ossia ragionamenti fantastici posti in forma di dialoghi rappresentativi, composti dall’illustrissimo sior scrittore Dario…’. Ma che roba è?”
“Il titolo, ciò. Cos’altro dovrebbe essere, in capo al foglio?”
“Ma non puoi scrivere un titolo così!”
“E come vorresti scriverlo, di grazia?”
“Al giorno d’oggi non si usano più questi lunghi titoli ampollosi. I titoli devono essere brevi, fatti per colpire l’immaginazione del lettore. È sufficiente intitolarlo ‘La gran vittoria’.”
“Oh, bella! E come si capisce di chi è la vittoria?”
“Si scrive nella presentazione del romanzo sul retro del libro rilegato. Ma poi… che razza di storia vuoi raccontare? Pantalotti? Scatolone?”
“Oh, Dario, ma non devi andare a comprare i fogli? Su, prendi i sghei e va’ a reméngo.”
Il corpo di Dario si trovò indirizzato a viva forza verso la porta.
Gli fu sufficiente uscire dal cancello per non sentire più la voce interna del fantasma. Dario provò a chiamarlo un paio di volte, ma niente. Meditò se prendere l’auto, fuggire da lì e non tornare mai più: ma gli premeva il portatile. Sarebbe tornato, suo malgrado.
Prima di recarsi in cartoleria, però, fece una rapida ricerca col cellulare su “Guidubaldo Pallavicino”. Solo Wikipedia gli mostrò un riferimento: “Guidubaldo Pallavicino, detto L’Incompiuto, (1711-1770), scrittore”. A quanto pareva, il tipo era esistito davvero! La voce riportava poche righe: Pallavicino in tutta la vita aveva prodotto solo un paio di dimenticati libretti per il teatro (“Sigismondo, ossia il postiglione burlato” e “L’ingenuo Federigo, dramma per musica di un solo personaggio”). Poi, invidioso del successo del commediografo Carlo Goldoni, si era lanciato a scrivere numerose altre opere di teatro, senza mai terminarne nessuna. Da qui il nomignolo “L’Incompiuto” che l’aveva accompagnato fino alla morte.
L’Incompiuto, sospirò Dario, avviando l’auto, Sono posseduto da un fantasma incapace di finire quello che inizia!
Appena rientrato in casa avvertì la presenza del fantasma dentro di sé. Poggiò la risma sul tavolo e mise subito le cose in chiaro.
“Guidubaldo, prima di continuare voglio che tu mi dica cos’hai intenzione di scrivere su questi fogli. Fammi un riassunto della trama.”
“Molto ben. Senti che roba! Xe la storia de un servetto che, per poter magnar a volontà, va al servizio di un dottore e un monsignore, sensa che l’uno sappia dell’altro. È una commedia che…”
“Che ho già sentito.” l’interruppe, brusco “Arlecchino servitore di due padroni, di Carlo Goldoni. Trovane un’altra.”
“Ostrega,”, borbottò il fantasma, con disappunto, “Beh, no xe problema. G’ho un’altra storia: una bella locandiera viene corteggiata dai suoi clienti, un marchese, un conte e un mercante…”
“Sempre Goldoni.”
“Ciò!”, esclamò, irritato “No xe possibile che il ciarpame di quello scribacchino sia ancora noto dopo tutti questi anni! Quel teatrante!”
“Dimostrami di saper scrivere qualcosa di nuovo. Non voglio accuse di plagio.”
“Non xe plagio, semmai rielaborazione. Anche quel massone di Goldoni ha copiato altre opere. Ghe n’era una francese su un avaro che…”
“Sforzati di più.”
“Ben ben”, si calmò, “Lassamo star il Goldoni. Senti questa, come xe drammatica: una coppia di poveri morosi se vogliono sposar, ma un signorotto s’invaghisce della bella sposina e vuol impedir il matrimo…”
“Come no! Ritenta.”
“Uff. Allora… gh’è un marinaio il quale naufraga tutto solo su un’isoletta deserta, e g’ha da rimaner vivo finché…”
“Già fatto.”
“Una storia di magia: un gruppo di gnomi g’ha un anello fatato che dev’essere distrutto in un vulcano prima che…”
“Già fatto.”
“Un burattino di legno…”
“Fatto!”
“Ostregheta, ma cos’è? Han già scritto tutto quel che si può scrivere?”
Molti tentativi dopo, fu chiaro che la fantasia di Guidubaldo non era così fervida… oppure le sue idee erano già state sfruttate a fondo negli ultimi tre secoli. La voce interna del fantasma era sempre più depressa, e anche Dario non vedeva vie d’uscita.
“Potresti lasciar perdere tutto, e uscire dal mio corpo”, buttò lì.
“Non posso, g’avemo fatto un patto. Prima dobbiamo finire l’opera. È la regola dei patti spiritici.”
“Finire l’opera…”, sbuffò Dario, ormai insofferente “Mica facile, con l’Incompiuto.”
Citare il soprannome fu un errore. D’improvviso Dario si sentì paralizzare arti e viso, e nella testa gli rimbombò una voce ringhiosa:
“Chi ti ha parlato dell’Incompiuto??”
Muovendo a fatica le labbra, Dario rispose intimorito:
“Il… il libro di fuoco… Lascia che ti mostri…”
La paralisi si allentò, e Dario si trascinò al computer. Navigò su internet fino a trovare la scarna voce di Wikipedia su Guidubaldo. Poche righe, e nemmeno un’immagine.
“Questa è… una specie di enciclopedia. Parla anche di te.”
Lo sentì borbottare dentro di sé mentre leggeva lo schermo.
“L’Incompiuto… il postiglione… Federigo… Ciò!, ho passato la mia vita a scrivere, e questo xe tutto quel che si dice di me? Un insulto e due operette minori?”
“Mi spiace”, Dario fece per spegnere il computer, ma il fantasma bloccò il suo braccio.
“Fermo. Il tuo libro de fogo parla anche di… quello scribacchino di Goldoni?”
Il cuore di Dario mancò un colpo. Avrebbe voluto mentire, ma non riuscì.
“Sì… c’è… una pagina.”
“Voglio vederla.”
“Non so… se ti conviene.”
“Voglio vederla.”
“D’accordo.”
La pagina di Wikipedia su Carlo Goldoni aveva una profusione di disegni, figure, foto di statue dell’autore, e non finiva più di scorrere. C’erano pure i link alle pagine specifiche dedicate a ciascuna delle sue opere. Il fantasma ringhiò dall’inizio alla fine. Poi sbottò:
“Ciò! Di quell’imbrattacarte hanno citato anche i temi di scuola… E di me, invece…”
Dario non sapeva come saltarci fuori: in quello stato d’animo, il fantasma avrebbe potuto compiere qualsiasi gesto insano col suo corpo, e lui rischiava di patirne le drammatiche conseguenze. Doveva assolutamente impedirgli di piombare nello sconforto.
“Non ti abbattere, dai”, improvvisò, “Ecco, io non ho mai letto le tue due opere, ma non credo fossero davvero ‘operette minori’, come dici tu.”
“Invece lo sono”, mormorò scoraggiato il fantasma, “Erano i miei primi lavori. Ho sbagliato a pubblicarle subito. Tutti le hanno criticate, così non g’ho mai avuto il coraggio di dare alle stampe le mie opere successive.”
“Quelle che non hai mai terminato?”
Guidubaldo rimase muto per un paio di secondi.
“In verità le ho terminate… e xerano molto migliori di quelle,” ammise “Ma non me la son sentita di affrontar la critica. Così… g’ho raccontato che non le aveo ancora finite. E me le son tenute per me.”
A Dario parve di sentire un mezzo singhiozzo. Tentò di uscire dall’impasse con l’adulazione.
“Capisco. Eh, sono certo che fossero davvero buone: tu mi sembri uno scrittore in gamba. È davvero un peccato che nessuno abbia potuto vederle stampate. Di certo però i tuoi figli avranno apprezzato i manoscritti.”
“Non ho avuto figli.”
“Allora tua moglie… i parenti…”
“Tutti analfabeti.”
E dai, no! Dario si rassegnò. Per tirare su di morale il fantasma ormai non vedeva altra soluzione: fargli scrivere qualcosa di nuovo, qualsiasi cosa fosse. Senza pensare al titolo assurdo o al contenuto trito e ritrito.
“D’accordo, Guidubaldo”, capitolò, “Poiché ormai le tue opere si sono perdute nel tempo, ti lascerò scrivere quello che…”
“Ah, ma non son mica perdute.”
“Come dici?”, Dario fu colto di sorpresa.
“Si trovano in una cassa, nella parte ancora diroccata di questa villa. Tutte quante. Ostrega, Dario, io son mica qui a tener su le mura, son qui a far la guardia alle mie opere!”
La cassa era ficcata in uno sgabuzzino, nell’angolo più isolato del solaio. Nei secoli vi era stata ammucchiata ogni sorta di cianfrusaglia, e con tutta evidenza nessuno aveva mai pensato di ripulirlo. Guidubaldo gli rivelò dove trovare la chiave della cassa, e Dario avanzò tra il ciarpame. Spostò tutto il materiale accumulato sul coperchio e fece scattare a fatica la serratura arrugginita.
La cassa traboccava di antichi manoscritti, tutti vergati con la grafia barocca e quasi illeggibile di Guidubaldo Pallavicino, l’Incompiuto. Dario ne sollevò uno, con estrema cautela.
“Incredibili. Mi fanno venire un’idea.”
Dario si accordò col fantasma, prese con sé un manoscritto, saltò in auto e rientrò alla villa dopo tre ore.
“Ebben? G’avemo buone nuove?”
“Buonissime!”, assicurò, con uno smagliante sorriso. “Ho parlato col direttore del museo: ha confrontato il manoscritto con quelli delle tue due opere, e ne ha confermato l’autenticità!”
“Vorrei ben vedere!”
“Gli ho detto di averne trovati molti altri. Adesso devo solo fare un’offerta al padrone della villa per acquistare la cassa. Poi potrò portare i libri al museo.”
“Te li pagherà molti sghei?”
“In verità no: una cifra poco più che simbolica”, ammise Dario, “Senza offesa, ma purtroppo non sei Goldoni… per ora. Però il museo si è comunque dimostrato interessato a organizzare una mostra retrospettiva sulle tue opere ritrovate!”
“Cosa sarebbe una mostra retrospettiva?”
“Un’esposizione delle tue opere, con commenti e note di critica, e un inquadramento storico. Questa è la parte importante: la storia. Vedi, su di te e sulla tua vita si sa poco più di quello che c’è scritto su Wikipedia. Non è sufficiente per la mostra.”
Dario poggiò il manoscritto sul tavolo e avvicinò il computer.
“In una vera mostra c’è sempre un catalogo con le immagini delle opere e la vita dell’autore. Bene, io mi sono presentato al direttore come studioso esperto della vita di Guidubaldo Pallavicino!”
“Ma tu non sai niente di me!”
“No, ma mi sono comunque offerto di scrivere il testo del catalogo, raccontando la tua vita e le tue opere.”
Accese il programma di scrittura.
“E quindi?”
“E quindi, caro Guidubaldo, malgrado tutto riusciremo a portare a termine un’opera: la tua biografia. Anzi, in verità un’auto-biografia: tu detti e io scrivo. Forza, mio scrittore fantasma, non perdiamo altro tempo: quando e dove sei nato?”
(1) Dario, sei proprio uno stupido! Gli stupidi si riconoscono dal fatto che parlano quando dovrebbero tacere e tacciono quando dovrebbero parlare