LE EUMENIDI E LE GORGONI

La mitologia greca racconta di tre sorelle demoniache – associate al culto della fertilità e venerate ad Atene – note come Erinni (probabilmente più conosciute come Furie) che si chiamavano Aletto (che significa probabilmente “colei che non riposa” o anche “colei il cui nome non può essere pronunciato”), Megera (ossia “l’invidiosa”, colei che delle tre Erinni induceva alla gelosia e all’invidia oltre che a commettere omicidi in caso di infedeltà matrimoniale)  e Tisifone (colei che puniva gli uomini che si erano macchiati di particolari assassini quali fratricidi, patricidi e matricidi. Virgilio nell’Eneide, la descrive come la più temibile delle tre sorelle e la pone a guardia dei cancelli del Tartaro. Una leggenda dice di lei che si innamorò di un giovane che poi uccise con il morso di uno dei serpenti che le strisciavano sulla testa).

Le tre sorelle erano figlie di Gea, fecondata dal sangue di Crono dopo che questi era stato evirato dal figlio Zeus che ne usurpò il trono. Le tre divinità pre-olimpiche venivano generalmente ritratte come demoni orribili, con il corpo di donna provvisto di ali, con serpenti striscianti al posto dei capelli e occhi dai quali stillava costantemente sangue.

Al fine di acquietarne la collera venne dato loro un nome differente quanto mai ironico: Eumenidi cioè le “benevole”. In realtà molti erano gli appellativi con i quali si faceva riferimento a questi esseri. Alcuni le definirono con timore Semnai ossia “le venerabili” altri riconoscendo la loro natura infernale le designarono come Manie ovvero “le folli”. Virgilio in un passo dell’Eneide (IV, 610), quando Didone maledice Enea prima di morire, nomina questi demoni chiamandoli Dire ultrices, ossia Dire vendicatrici.

Nel Liber Monstrorum si dice di loro che ebbero vipereum crinem sanguineis vittis innexum cioè chioma viperea intrecciata a bende insanguinate. Mentre da un altro passo estrapolato dalle Georgiche (IV482) troviamo scritto: « Quin ipsae stupuere domus atque intima Leti, tartara caeruleosque implexae crinibus angues Eumenides» ovvero «Stupirono le case di Lete e i luoghi più remoti del Tartaro, le Eumenidi dai capelli azzurri di serpi».

Eschilo nella sua tragedia racconta della persecuzione di Oreste ad opera delle Erinni dopo che questi aveva ucciso la madre Clitennestra per vendicare l’uccisione del padre Agamennone da lei assassinato. Nonostante il gesto fosse stato indotto da un precedente omicidio, le Eumenidi perseguitarono Oreste fino a che questi, giunto nella città di Atene, non chiese alla dea della giustizia di scagionarlo.

Durante il Medioevo vennero spesso citate come riferimento colto; tanto che Dante le designa quali custodi della città infernale di Dite (canto IX, 45-57), aggiungendo un riferimento a Medusa, una delle Gorgoni . Queste ultime erano altre tre sorelle figlie di Ceto e di Forco (divinità marina figlia di Ponto e Gaia che generò con la sorella Ceto svariati mostri marini). Descritte da Esiodo nella Teogonia come esseri mostruosi, i loro nomi erano Medusa “colei che ammalia” – l’unica delle tre che potesse essere uccisa – Steno “la forte” ed Euriale “colei che è del vasto mare”.

Descritte dal poeta greco similmente alle Erinni, in particolare Medusa, anche le Gorgoni erano donne con serpenti al posto dei capelli e ali d’oro sul dorso. Avevano in più rispetto alle Erinni denti come zanne di cinghiale e il potere di pietrificare con il solo sguardo.

Il mito di Medusa, in particolare, è legato alla figura dell’eroe Perseo. Una leggenda parallela, che allontana Medusa dalle sue sorelle, vuole che la stessa fosse stata un tempo fra le più belle fanciulle mortali mai nate e che si trovasse nel tempio di Atena in qualità di sacerdotessa. La ragazza, però, divenne invisa alla stessa Atena per essersi unita a Poseidone, rimasto folgorato dalla sua avvenenza, nel santuario dedicato alla dea. Per questo motivo Atena l’avrebbe punita sostituendo i suoi splendidi capelli con un groviglio di orribili serpenti, i bianchi denti in zanne e gli occhi azzurri in un terribile strumento di morte. Inoltre Atena, non contenta di aver punito in questo modo Medusa, avrebbe anche istigato Piradette, tiranno dell’isola di Sefiro, ad ordinare a Teseo l’uccisione della spaventosa creatura.

Il Liber Monstrorum raccoglie solo il mito delle tre sorelle riferendo dell’impresa eroica di Perseo senza specificare quale delle tre sia caduta per mano sua e il motivo che avrebbe indotto il re di Sisifo ad inviare l’eroe in Libia: «Quarum unam Perseus, scuto vitreo defensus, interfecit, quae, dicunt qui aut fingut, quibusdam oculis semper vigilavit» che significa «Perseo, difeso da uno scudo di vetro, ne uccise una, e quella, si dice, muoveva gli occhi come se fosse viva, sebbene le fosse stato mozzato il capo».

L’unico riferimento al mito così come lo abbiamo descritto precedentemente è lo scuto vitreo, ossia quello che le Graie, sorelle delle Gorgoni, avrebbero dato in dono al guerriero per consentirgli di non restare pietrificato.

Giusy Tolve