LETTERA DALL’INFERNO

Sulla scrivania del dottor Rysele, esperto di occultismo, come lui stesso amava definirsi, capitavano gli oggetti più strani, provenienti da ogni parte del mondo.
In verità il suo studio, con quei due ampi finestroni che si aprivano al tramonto e ora, dopo anni di lavoro, la casa intera, erano invasi da qualsiasi cosa potesse avere a che fare con l’aldilà e con i suoi misteri.
Tutto era ammassato alla rinfusa, e un inatteso scocciatore che avesse fatto visita al solitario dottor Rysele avrebbe raccontato di una vecchia casa piena di libri ammuffiti e zampe di gallina rinsecchite e teschi ghignanti e persino di una mummia nana dalle bende gialle e polverose. Vegliavano tuttavia, nel mucchio, oggetti dei quali una mente sana era preferibile non conoscesse la provenienza e che una mano curiosa era meglio non toccasse.
La strana lettera se ne stava svogliatamente infilata nel becco appuntito di un corvaccio imbalsamato in attesa che il suo destinatario si degnasse di darle almeno una veloce lettura. Era arrivata già da quattro ore, ormai, e aveva fatto un lungo viaggio, di quelli che solo una lettera può sperare di riuscire a compiere, passando di mano in mano, di sacco in sacco, senza che nessuno avesse mai fatto caso al macabro timbro dell’ufficio postale da cui era partita; nessuno tranne il dottor Rysele, il cui nome, cognome e indirizzo comparivano a caratteri gotici sul retro, come i solchi grigi che ornano le lapidi di un cimitero.
La giornata era cominciata proprio male: con quel temporale che aveva tutta l’intenzione di durare per l’intero fine settimana e quel mal di stomaco che, a dispetto delle “bevute” che era costretto a sorbirsi dalla mattina alla sera, non accennava a diminuire. Il dottor Rysele misurava il soggiorno a grandi passi, con il bicchiere in mano, e solo dopo lunghi ragionamenti, eroici slanci di coraggio, prudenti e veloci ritirate e poco sportive scommesse con se stesso decise di aprire la lettera, non senza un’ultima vile esitazione. Chi scriveva, come Rysele aveva immediatamente capito nel vedere la busta con i suoi caratteristici bordi color argento, era il suo grande amico e collega Howard Linster, archeologo e studioso di eventi misteriosi, scomparso lo scorso inverno senza lasciare la minima traccia. Uno scherzo, continuava a ripetersi il dottor Rysele mentre apriva la busta, si tratta sicuramente di uno scherzo, magari ordito da quegli invidiosi del club archeologico di Providence… ma chi avrebbe saputo imitare così perfettamente la contorta calligrafia del suo amico?
Caro Herbert, ti scrivo da un posto di cui l’uomo immagina solo l’esistenza, un luogo che si trova ai confini di ciò che è conosciuto, un universo parallelo e complementare al nostro che noi uomini abbiamo chiamato Inferno. Ti scrivo per volere di un essere che qui sta ai vertici del potere, un capo, al quale ho tanto parlato di te e dei tuoi studi sugli specchi come porte di comunicazione tra dimensioni diverse. L’argomento ha molto interessato il “demone” che… (Qualcuno suonò alla porta…) ho bisogno del tuo aiuto per consentirgli di attraversare…
Di nuovo il campanello interruppe il dottor Rysele nella lettura, ed era così sconvolto quando si diresse verso l’ingresso per scacciare l’inopportuno visitatore che non si accorse della fitta nebbiolina intorno a lui.
Aprì:
- Ciao Herbert, come stai?
 
Originariamente pubblicato sul numero 4 de LA ZONA MORTA, ottobre 1990

Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, marzo 2007

05/04/2007, Stefano Vietti