I RACCONTI DI VIBORG 05 – IL RICHIAMO DI SKAGEN

I

Copenaghen 1869

Il muro della casa divenne una specie di specchio della stessa sostanza del mercurio liquido. La vita in casa Fischer s’immobilizzò, mentre nel resto della Danimarca seguiva il suo tempo. Il Duca comparve nella stanza, incombendo sul letto della coppia. La donna dormiva, coperta da un pizzo elaborato che le nascondeva il seno. Il suo corpo era aggraziato e dalle forme dolci. Un mantello nero copriva il Duca sino alle caviglie, lasciando che l’acqua della pioggia scivolasse come un ruscello su una pietra.  Piet Fischer Soya, un uomo sui quarant’anni si voltò sbuffando nelle lenzuola.

“Vostra Altezza, procediamo?” chiese uno dei Cavalieri.

“Va bene. Portiamoli via.” Rispose all’uomo.

Gli uomini carezzarono l’aria sui corpi dei due dormienti. Questi si levarono appena sopra il materasso. Uno dei cavalieri sembrò che li guidasse.

“No, fermi!” un urlo disperato irruppe nel silenzioso limbo spazio tempo della casa. I Cavalieri si voltarono stupiti.

“Ottimo. Le luci blu rispondono al momento del bisogno.” Sogghignò il Duca che al contrario dei suoi uomini non parve troppo meravigliato.

“Lasciala, lasciatela!  Sei un lurido traditore! Me lo avevi promesso, non l’avresti presa !”

“Piantala di squittire, è colpa tua se tutto questo accade. Potevi pensarci prima di fare l’infame.”

Un alone azzurro s’irradiò nella stanza, condensandosi in una figura di aspetto umano ma dal viso levigato e senza zigomi prominenti: “D’accordo, l’ho avvertita ma rischiava troppo!”

“Stammi a sentire, topo luminoso, se non avessi aperto quella lurida fogna che ha al posto della bocca con la donna, ora se ne sarebbe rimasta tranquilla nel suo letto. Sei in guai seri, ragazzo, perché non posso lasciarmi dietro un testimone.”

“Se ti aspetti che ti segua, ti sbagli di grosso!”

“Non mi metterò a inseguirti, stanne certo, ho altro di meglio da fare. Ma ti assicuro che fra qualche tempo, sarai tu a implorarmi di venirti a prendere. Consideralo uno scambio di favori per la tua stupita soffiata, piccola lampadina impazzita!” ringhiò il nero Signore dei Cavalieri.

Il mondo crollò in quell’istante nella mente dell’Allaghèn, mentre i cavalieri trasportarono i corpi aleggianti sull’astronave. 

 “Lascia che viva, lei non ha alcuna responsabilità nei vostri giochi di potere! Se mi concedessi ad Alath, in quest’istante, tu la riporteresti nel suo letto? ” urlò l’Essere di Luce, cercando di placare l’animo inferocito del Duca.

Il Duca sorrise in modo sinistro ordinando ai suoi uomini di fermarsi : “Tu al posto di questa femmina?”

“È così, Duca di Kargaard, senza compromessi.”

“E dopo secoli di rincorse e di trattative sfibranti fra me e te, ora mi seguiresti docile al cospetto di Dio?”

L’Allaghèn scosse il capo annuendo: “Lasciala in pace e avrai me.”

“Sei uno stupido. Metti a repentaglio la vita della tua gente per questi due pezzi di carne avariata!”

“Lei non deve scontare le colpe di tre stupiti giocatori d’azzardo.” Rispose.

“Avevamo un patto io, te e Piet Fischer.” Tuonò il Duca “Ora il maritino deve pagare il suo debito di gioco. E io mi debbo prendere ciò che mi spetta, non credi?”

“No, non è giusto, prendi me. Io e Fischer abbiamo perso. Pagheremo, ma non puoi prenderti lei.”

Il Duca carezzò con una pietà velata di un’ ipocrisia feroce la guancia dell’Allaghèn.

“Ho da molto in mente dei progetti su di te, ragazzo mio.”

Quella frase fece scuotere l’intestino dell’Essere di Luce, ma ebbe la forza di dire: “Fai di me quel che vuoi, ma ordina ai tuoi sgherri di lasciare la donna sul letto.”

“Affare fatto. Ma il marito viene con noi. Cerca di capire, tu non vali due persone.” Fece con una serenità di ghiaccio.

“Se non posso chiederti un altro favore, e sia. Anche lui è coinvolto quanto me, ed è giusto che protegga sua moglie.”

“Vieni, allora.” Con un cenno indicò ai Cavalieri ciò che avrebbero dovuto fare. Uno di loro, un uomo massiccio e nerboruto gettò sull’Allaghèn un lenzuolo. Era una coperta inventata allo scopo di catturare un Essere di Luce della sua specie allo stato corporeo.

“Stai buono e saremo gentili con te, non ti faremo male” gorgogliò il Cavaliere. Il materiale con cui è tessuto il lenzuolo immobilizza la creatura, buttandola in  una specie di catalessi.  Tutto si compì.

Nell’Atidha le colonne del tempo fremevano incandescenti puntate fra il 1840 e il 1940

La casa dei Fischer Soya  friggeva nella griglia olografica dei motori temporali. Ma il tempo artificiale non sembrava sconvolgere troppo la mente dei due sposi.

“Ti vedo esterrefatto,  Piet ti sto turbando in qualche modo?” fece il Duca, svestendo la cappa e accomodandosi in salone.

Piet farfugliò: “Non pensate questo, Vostra Altezza, è solo che…non m’immaginavo avreste accettato il mio invito, anzi la mia richiesta.”

“Più che richiesta, mio caro, mi è sembrata una supplica. Ho ascoltato la registrazione della tua telefonata .” Replicò . La voce calma e così profonda da sembrare inumana, attirò una giovane donna nel soggiorno.

“Duca, mi permetto di presentarle mia moglie.” Disse Piet.

“La signora Ellen Fischer Soya, sono incantato.” Fece il Duca, inchinando il capo sulla sua mano.

“Voi, voi mi conoscete, Duca?”

Il Duca sorrise in modo inquietante, lui e Piet si capirono senza dirsi altro.

“Signori, posso sapere cosa vi sta capitando di tanto terrorizzante?”

Il marito prese a raccontare, mentre Ellen  si apprestò a preparare del the al Duca.

“Abbiamo chiesto l’aiuto di tutti, siamo andati persino a Roma.”

“Roma?” replicò il Duca

“In Vaticano, alla ricerca di risposte. Ci avevano detto di parlare a Monsignor Ohara.”

Piet si aspettava che il Duca riconoscesse quel nome: “No, caro amico. Il Vaticano è una collina dove crescono vitigni avvizziti, non m’interessa.”

“Dicono che Ohara sia il migliore, il maestro di tutti gli esorcisti della Chiesa.”

“Sì, lo supponevo, visto che siete andati addirittura a Roma, per incontrarlo. Ma vi svelo un mistero. Conosco quell’Irlandese, e più che menare la mani nei pub, la sua mente non gli consente di fare. Non mi rivolgerei a lui neppure per tirare via un lenzuolo dalla lavatrice, figuriamoci se affidassi a uno come lui la  cura del vostro caso. Andate avanti, per favore.”

“Tutto è cominciato quando Ellen ha deciso di venire a vivere in questa casa. È una bella casa, come la desideravamo da tempo. Si vede il lago e c’è un grande giardino.  Ma la cosa iniziò subito. Ellen mi disse che dovevamo prenderla, lei sentiva di dover venire ad abitare qui dentro.”

“In che senso lo ‘sentivi’ Ellen ?” chiese il Duca, complimentandosi con la donna per il the.

Lei, mettendosi una mano sul collo dolorante: “Una notte ebbi un sogno, Duca. Sognai un bambino, forse dodicenne, ma non ne sono sicura. Era scalzo in mezzo al fango. Nevicava. Gli chiesi: “cosa fai qui da solo? Non hai una casa?” Lui fece un cenno con la testa, dicendo di sì. E indicò una casa, in lontananza. Quindi gli feci: “va’ a ripararti, allora, non vedi che sta nevicando? Non ce l’hai una famiglia?” e lui : “No, non ho nessuno.”Poi si è voltato ed è sparito. L’ho rivisto di lontano, attraverso i vetri della casa che mi ha indicato.”

“Un sogno inquietante, Ellen.” Parlò il Duca.

“In un primo momento lo è stato. Poi vi fu un secondo sogno. Il ragazzino era dentro la casa. Trafficava con una specie di treno giocattolo. Era sporco e insanguinato. Guardai meglio e la sua pelle mi parve addirittura ustionata.”

“Quel bambino, Ellen, potresti descrivermelo meglio?”

“Aveva dei lineamenti strani. Non so come raccontare il suo volto così insolito, esotico, ma non ho idea a quale ceppo etnico potesse appartenere.”

“Capisco. Il colore della pelle? Lo ricordi?”

“Era bianco, sì. E occhi neri. Neri come quelli di un uccello, tipo un corvo. Ma il candore della sua pelle rifletta strane sfumature blu- azzurre.”

“Va’ avanti, mia cara, per favore.” La incalzò il Duca.

“Qualche giorno dopo questi strani sogno accadde un fatto. Passando davanti a questa casa mi sentii chiamare. Udii una voce dolce, ma non saprei dire a chi appartenesse, non era di uomo né di donna, tantomeno di un bambino. Mi diceva: “Sono qui, Ellen, perché non viene a vivere con me?” Trovai quel richiamo irresistibile. Mi tormentai per giorni, e alla fine cedetti. E ora, come vedete, Duca, siamo qui.”

“Ma come diavolo ha fatto a liberarsi quel dannato? Siete o non siete le mie Guardie Speciali?” inveì il duca contro i quattro Cavalieri.

“My Lord, è stato più rapido di un lampo. È sgattaiolato fra le mie gambe e la porta.”

“Adesso sta giocando con la griglia temporale, quel topo di fogna luminoso!”

“Riprendiamolo, prima che faccia danni!” disse uno dei Quattro “è intrappolato nell’intercapedine spazio-tempo della Base. Più si muove sulla griglia e più  è facile localizzarlo.”

“Siamo certi ormai che sta giocando con il tempo dei Fiscer Soya. Anzi, direi di tenerlo nel quadrante di casa loro, lo controlleremo e al momento più opportuno lo riporteremo in cella .”

“Altezza,  concedetemi la parola.” Intervenne Piet.

“Parla.”

 “Sono sicuro di quello che avete appena detto. Ma temo che i suoi movimenti possano risvegliare la memoria di mia moglie.”

“Lo temi davvero, Piet?”

“Sì, all’inizio di tutta questa storia, mia moglie si era affezionata alla sua ‘presenza’ nella casa reale. Il loro rapporto, voi lo conoscete, era quasi di madre figlio.” L’uomo abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi “Specialmente dopo…l’intervento che ha subito mia moglie.”

“Non te ne dare troppo peso, vecchio mio. Le abbiamo asportato le ovaie per evitare che rimanesse incinta di te. Nel mille e ottocento siete dei protestanti puritani e dei sistemi contraccettivi non ne voleva sapere.” Replicò con un tono glaciale.

“Lei pensava di essere malata. O fatta male. Si rammaricava sempre perché non poteva darmi un figlio.”

“Tu non devi inseminarla, il suo ventre ci appartiene, mio caro. Il fatto che abbiamo lasciate che vi sposaste non significa che ci sei simpatico sino al punto di far sfogare la tua semenza in una delle nostre migliori riproduttrici. Hai una lunga lista di avi nel nostro archivio, Piet, per questo eri suo marito.”

Rispose con una voce spezzata dall’imbarazzo: “Questo lo so, Signore. Quella creatura impalpabile era come  il suo bambino. Lo proteggeva. Una volta l’ho vista cullare una cosa invisibile sul dondolo. Non ho idea di cosa stessero facendo.”
“Hai lo stomaco troppo debole, vecchio mio.” Lo interruppe il Duca “Quella lampadina vi stava soggiogando con il suo mieloso comportamento.”

Alessandra Biagini Scalambra