DRULLIOS – 04

4.

Roberta mise in moto la Jeep e ingranò la prima, intanto i nuvoloni si addensavano sempre di più. Aveva percorso una decina di metri quando un fulmine cadde sulla strada con un fracasso assordante, facendole perdere il controllo dell’auto per un istante. Si rimise in carreggiata e fermò il fuori strada. Il fulmine aveva colpito un ulivo sul ciglio dello sterrato, poteva vedere il legno ardere all’interno del fusto squarciato.

Cercò di inviare una chiamata dal cellulare per avvisare gli organizzatori delle escursioni, ma non riusciva a prendere la linea. Decise che avrebbe avvisato una volta arrivata, con la speranza che l’incendio non si diffondesse.

Stava per ripartire quando una forte luce la investì annebbiandole la vista, di istinto si portò le mani al viso e rimase così fino a quando non le sembrò che il fulgore fosse scemato.

Intanto nella gola i ragazzi annoiati, tiravano sassi in una sfida infantile, che avrebbe visto il vincitore dopo il traguardo di almeno tre colpi su dieci, andati a segno su un barattolo vuoto di fagioli, sistemato su una pietra a circa quattro metri di distanza.

«Pare che il temporale si allontani, meno male ero in pensiero per Roberta» disse Luca, mentre scagliava il suo sesto sasso, che fallì l’obiettivo.

L’entità energetica spiava i ragazzi, più vicina di quanto mai avessero potuto immaginare, poteva stare con loro, vicino a loro, dentro di loro. Godeva del loro divertimento, come una madre amorevole osservava i suoi nuovi figli giocare. Poteva lasciarli da soli, adesso doveva dedicarsi alla sua nuova figlia. Dove voleva andare? Cosa desiderava, tanto da farla allontanare dal canyon? Qualunque cosa fosse stata, lei l’avrebbe accontentata. In un istante fu nella sua mente. Frugava e cercava tra i pensieri, tra i ricordi di Roberta, mentre la ragazza con le mani sul viso si riparava dall’improvviso bagliore. A un tratto l’immagine nitida di ciò che cercava si stagliò nella sua mente e l’entità poté attingere da quella immagine. Vide anche con infinita chiarezza la ferita sull’avambraccio, il suo dono si stava infiammando. Per un istante la sua energia riempì il corpo di Roberta, possedendola, fu in quel breve istante che la ferita si rimarginò cicatrizzandosi, poi tutto svanì. Quando Roberta tolse le mani dal viso, si ritrovò nel parcheggio alle porte del canyon, nello stesso posto dal quale era partita.

Rimase spaesata e spaventata. Come era possibile che non si fosse mossa? Stringeva ancora nella mano le chiavi della Jeep, che non aveva ancora inserito nel quadro. Guardò l’ora sul digitale del cruscotto, erano trascorse più di due ore!  Un’ondata di panico si impossessò di lei e si catapultò giù dall’auto. Aveva bisogno di aria, doveva riprendere in mano il tempo che, come per incanto, le era sfuggito e si nascondeva, nonostante i suoi sforzi per ricordare. Riuscì a calmarsi, forse l’effetto allucinogeno si stava protraendo anche fuori dalla caverna. Questo pensiero riuscì a rincuorarla, fino a quando non vide sul sedile posteriore i presidi di sicurezza che avrebbe dovuto acquistare.

«No, no, no… No, questo non è possibile… »

Si sforzò di ricordare, di riportare alla mente anche una sola immagine del momento in cui aveva comprato i prodotti, una faccia, un’insegna, una via… Il cuore in tumulto le martellava le tempie assordandola. L’entità sentiva i suoi sentimenti e ne fu sorpresa e infastidita. Ripeté la possessione, regalando alla ragazza delle false immagini che la calmarono. Sorrise e la lasciò andare.

Ancora frastornata dal momento di amnesia, decise di rimettersi seduta in macchina. Doveva riprendersi prima di ritornare dai ragazzi. Ora ricordava, non proprio tutto, ma ricordava. Anche se il viso della persona che le aveva dato i presidi, aveva qualcosa di strano che non riusciva a definire. Mise gli acquisti nel suo zainetto e raggiunse il campo.

 

A quanto pare il temporale si era disfatto e le nuvole erano passate senza versare una sola goccia sul canyon.

«Si sta facendo tardi, Roberta avrebbe dovuto essere già qui da un pezzo» fece notare Alessandro.

«Intanto che l’aspettiamo, preparerei qualcosa per pranzo» si offrì Luca.

«Si, ma vedi se riesci a cambiare un po’ il menù, non che non apprezzi la tua cucina, ma credo che tra i viveri in scatola ci sia anche altro, oltre alla carne e ai fagioli» scherzò Mirco.

Luca si mise a rovistare tra i barattoli di cibo. «Abbiamo del tonno, dello sgombro, del salmone, diversi tipi di legumi… oh guardate qui, trippa!» esultò mostrando agli altri l’etichetta sul barattolo.

«Buona, d’accordo allora. Quanti barattoli ce ne sono?» chiese Alessandro.

«Abbastanza. Direi che il contenuto di tre barattoli, siano più che sufficienti per tutti» disse porgendogli le scatole.

«Che dite, lei apprezzerà il nuovo menù?» domandò Mirco, mentre faceva segno verso lo sterrato che giungeva dal parcheggio.

«Oh, eccoti qui finalmente. Ci stavamo preoccupando.»

Luca la accolse con un gran sorriso. Quella ragazzina impertinente, iniziava a piacergli.

«Ciao ragazzi» li salutò Roberta.

«Sei riuscita a trovare tutto?»

«Si, senza problemi. Che buon profumino, che cucini Ale?» chiese. Voleva evitare altre domande, non se la sentiva di dover raccontare loro, la spiacevole esperienza. Parve funzionare. Mangiarono, Roberta apprezzò il nuovo menù, definendolo un cibo da bifolco, ma saporito.

Non fu un problema decidere chi avrebbe avuto priorità nelle ricerche. Ad Alessandro e Mirco interessava il piano superiore, come ormai chiamavano il nuovo ambiente sopra le scale, e Luca era curioso di vedere se il fungo crescesse anche in altri locali di quei meandri ancora inesplorati. A Roberta non rimase altro che adeguarsi e andare con loro, anche se in fondo non le dispiaceva. I campioni che avrebbe dovuto raccogliere, nel letto di guano erano già stati presi e in fondo anche lei era estremamente curiosa di vedere il misterioso “villaggio dei reietti” e, perché no, anche il piccolo animaletto estinto e chissà magari avrebbe trovato qualche altro minerale sconosciuto, del resto quel canyon si era rivelato pieno di sorprese.

Indossarono tutti i presidi prima ancora di entrare nella grotta dei pipistrelli, ma questa volta fecero talmente tanto rumore che le piccole creature spaventate si staccarono dal soffitto per volare via seguendo il percorso del cunicolo, fino a chissà dove, forse li avrebbero ritrovati più avanti.

Raggiunsero in fila indiana il piano superiore, sulla pavimentazione di roccia polverosa era ancora visibile il vomito di Mirco, che sembrava fosse stato in parte leccato via.

Mirco ci puntò sopra la torcia. Pensava a quanto fosse strano per colore e odore, mai nella vita gli era capitato di vomitare una poltiglia grigia come quella, e ora che andava seccandosi iniziava ad assumere un colore nerastro. Il fetore di pesce marcio si sentiva ancora, nonostante la mascherina. Con il piede accumulò un po’ di detriti e lo ricoprì disgustato. Non voleva più pensarci. Poi puntò la torcia nel pertugio dove era sparito l’animale, indicandolo ad Alessandro.

Il ragazzo si chinò cauto verso l’apertura, poi puntò il fascio di luce di una piccola torcia che teneva nel portachiavi, verso la profondità della tana, fu li che incontrò, per la prima volta il musetto dell’animale che lo fissava tremante.

«Oh mio Dio, non può essere che lui» sussurrò, «Evidentemente non si sono estinti, ma sono sopravvissuti all’interno della parete rocciosa, lontani dagli esseri umani e dai loro predatori naturali.»

Alessandro allungò la mano verso il prolago, non lo toccò, lasciando la mano sul pavimento della tana. Poteva avvertirne il tepore dal lattice del guanto, l’animale si ritrasse ancora di più. Lo osservava con i suoi occhioni neri, tondi e acquosi. Fu in quel momento che Alessandro si accorse di altri piccoli gomitoli di pelo marrone e beige. Si trattava di una femmina con i suoi cuccioli, riuscì a contarne quattro, ma era sicuro che dietro la madre ce ne fossero altri.

«È stupendo, c’è l’intera cucciolata, qui dentro. Non voglio spaventare la madre, dovrò avere pazienza e riuscire a guadagnarne la fiducia.»

Detto questo, si tolse di tasca un sacchetto di cracker ormai sbriciolati, lo aprì e ne versò il contenuto all’ingresso della tana, poi si alzò.

«Che intendi fare? Pensi di appostarti qui?» le chiese  Roberta.

«No, per il momento dire di lasciarli in pace. È una scoperta straordinaria e niente me la porterà via. Ho tutto il tempo che voglio» rispose con un largo sorriso sulle labbra.

«Come vi dicevo e come potete vedere ci sono due gallerie. Potremo dividerci, che ne pensate?»

«Non so…» Luca era titubante, nel frattempo osservava una delle torce di legno appese al muro, «Ma ci pensate? Della gente ha vissuto qui…»

«Cosa pensi sia meglio fare?» Chiese Mirco.

«Esploriamo un tunnel per volta, due vanno e due restano qui. Useremo la fune come un filo di Arianna, credo sia la cosa migliore» rispose Roberta.

«Okay, chi viene con me?» Chiese Mirco.

«Vengo io, sono curioso di vedere se vi sono altre colonie di funghi» si propose Luca.

«Bene è deciso, noi restiamo qui, e chissà che non riesca a vedere anche io questo misterioso prolago»

Detto questo, Roberta legò la fune intorno alla vita di Mirco, raccomandando a Luca di stargli subito dietro e di tenere sempre una mano sulla corda. I due ragazzi si addentrarono verso l’ignoto, mentre Alessandro e Roberta si misero a sedere di fronte alla tana.

«Ma quanto è lunga la fune?» chiese Alessandro.

«Cento metri. Ehi, guarda li» disse abbassando la voce.

Il prolago si affacciava timidamente dalla tana, annusando i cracker sbriciolati, poi se ne riempì la bocca e rientrò.

«Ma quanto è carino!» esclamò Roberta.

«Sarà bene che tenga il telefono in mano, almeno riuscirò a fotografarlo.»

Intanto Mirco e Luca procedevano a piccoli passi lungo il cunicolo umido.

«Non hai come l’impressione che l’aria stia diventando sempre più fredda?» fece notare Mirco.

«Si, la temperatura è scesa di diversi gradi.»

Il cunicolo serpeggiava all’interno della montagna. Ogni tanto trovavano una torcia appesa alla parete.

Percorsero una quindicina di metri, quando si accorsero che il cunicolo iniziava ad allargarsi. Scavate nelle pareti c’erano delle grandi nicchie e quasi in ognuna di loro si trovava un barile.

«È incredibile, pare fosse una specie di cantina.» Mirco si sentiva sempre più vicino alla sua scoperta.

«Non sarebbe incredibile trovarci ancora del liquido?»

Non persero tempo e forzarono un barile, che si sbriciolò tra le loro mani.

«Sarebbe stato troppo bello… » sospirò Mirco.

«E di che ti lamenti? Non credi sia già una cosa eccezionale avere trovato queste botti? E le torce? Insomma sei a tanto così da trovare il tuo villaggio. Insomma quattro giorni fa non avrei scommesso un centesimo su di te, e guarda adesso dove ci troviamo.»

Mirco sorrise. «Hai ragione amico.»

Proseguirono lungo il tunnel che andava restringendosi di nuovo.

«Accidenti, sto tremando dal freddo. Ma quanti gradi ci saranno qui dentro?» Domandò Luca riscaldandosi le mani col fiato che si disperdeva in un leggero fumo.

«Non lo so, ma credo che ci siano meno di cinque gradi. Santo cielo, sto battendo i denti.»

Fecero altri due passi, ma Mirco si sentì trattenere dalla vita.

«Accidenti la fune è finita!» esclamò frustrato.

Puntò il fascio di luce della potente torcia che gli aveva dato Roberta verso la fine del cunicolo.

«Guarda non sembra che finisca proprio li? Devo dare un’occhiata» disse sganciando il moschettone dalla vita.

«Stai attento, Mirco, non fare cazzate.»

«Aspettami qui.»

Proseguì lentamente verso il nuovo ambiente, poteva vederne la volta e sembrava gigantesca. Distratto da questa visuale, non si accorse che la strada era terminata. Mise in fallo un piede e il terreno cedette sotto il suo peso.

Il rumore della frana e l’urlo agghiacciante di Mirco, fecero schizzare Luca a soccorrerlo, camminava svelto puntando la luce al suolo, sbucò nella mastodontica voragine.

«Aiutami, ti prego Luca, aiutami. Non mi reggono più le mani.»

Mirco era li, a penzoloni sul baratro e si teneva con tutte le forze ad uno spuntone di roccia, poco dopo l’ingresso.

«Cazzo, Mirco!»

Un brivido gli percorse la schiena vedendo il suo amico aggrappato con la sola forza delle dita. In un momento gli afferrò le braccia, se non fosse stato così mingherlino, probabilmente lo avrebbe trascinato con se nella voragine, ma con la forza della disperazione, riuscì a sollevarlo, e mentre lui si aiutava puntando i piedi nella parete, lo issò agganciandolo per la cintola dei jeans.

«Oh Dio, grazie, grazie…» Mirco piangeva, appannando gli occhiali, mentre abbracciava il suo salvatore.

«Per fortuna non avevi indosso la tua tunica, altrimenti non avrei saputo dove acchiapparti» scherzò, mentre gli stringeva le spalle.

«E stata una fortuna che me la sia vomitata» rispose mentre, tra le lacrime, rideva.

«Dai, alzati, torniamo dagli altri. I tuoi guanti sono lacerati, faresti meglio a non toccare nulla» gli disse tendendogli la mano.

Tornarono sui propri passi.

«Non capisco, la fune dovrebbe essere qui» disse Luca scrutando il terreno.

«Probabilmente è più indietro.»

proseguirono per un altro paio di metri, fino a raggiungere le botti.

«No, c’è qualcosa che non va. Hai sganciato la fune dopo le botti, di questo ne sono certo!» esclamò Luca.

«Forse gli altri ci stanno facendo uno scherzo…» azzardò Mirco, poco convinto.

«Okay, proseguiamo. Non abbiamo incontrato bivi, quindi non c’è da sbagliare.»

Ripresero il cammino, rimanendo uno accanto all’altro. Ad un tratto Luca si fermò.

«Che c’è?»

«Ascolta» disse e mosse qualche passo, poi si voltò a guardarlo.

Mirco lo guardava con curiosità. «Non sento nulla, perché tu che hai sentito?» gli domandò.

«Ascolta i passi.» E si mosse ancora.

Mirco sbiancò, quando si rese conto che i passi di Luca non producevano nessun rumore, nonostante il fondo del tunnel fosse ricoperto di pietrisco.

«Non è possibile.»

Raccolse una pietra e la lanciò contro la parete, questa rimbalzò e cadde in terra  senza suono.

«Hai una spiegazione?» chiese a Luca.

«Non lo so, sono sempre più confuso. Perché possiamo sentire le nostre voci e gli altri suoni no?»

All’improvviso una serie di passi si udirono scricchiolare sul terreno, e provenivano dalla parte della voragine. Sembrava che un gruppo di persone stesse correndo verso di loro.

«Ma che accidenti sta succedendo?»  Mirco era spaventato.

«Non lo so, ma corri, non è niente di buono!» esclamò iniziando a correre.

Il rumore era sempre più forte e li stava raggiungendo. Si voltarono col terrore negli occhi. I passi infuriati erano proprio dinnanzi a loro, ma non videro nulla, poi una ventata d’aria gelida li investì. Mirco provò la stessa sensazione di essere attraversato da qualcosa di denso, come era successo con la vecchia.

«Cosa è stato? Cristo, che puzza!» Luca ebbe un conato ma non vomitò.

«Guarda, la fune!» esclamo Mirco, raccogliendola.

«Presto, andiamocene da qui, raggiungiamo gli altri.»

Corsero a per di fiato, ma la sensazione di essere seguiti non svanì, fino a quando non raggiunsero la piccola grotta dove Alessandro e Roberta li aspettavano.

«Diamine ma che vi è successo?» Domandò Alessandro, andandogli incontro.

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo, ognuno poteva vedere il terrore negli occhi dell’altro.

«Siete stati voi a tirare la corda?» Chiese Luca.

«Non lo avrei mai fatto, scherzi? Non nelle viscere di una montagna! Ma sei ferito, che ti è successo?»

«Lasciateci riposare un attimo» disse Mirco appoggiandosi alla parete.

«Sarà il caso che vi riposiate più tardi, giù al campo. Ora dobbiamo rientrare, si sta facendo buio» li informò Alessandro.

«Ma che dici? Perché che ore sono?» domandò preoccupato Luca.

«Avrete molto da raccontarci, mancate quasi quattro ore, ragazzi. Sono le 17:45.»

Discesero l’ultima parte della rupe, che già era buio. Per tutto il tragitto Luca e Mirco non parlarono. Raggiunsero il bivacco e Mirco pregò Alessandro di accendere il fuoco, sentiva il sangue gelare. Nonostante la corsa e la discesa non era riuscito a scaldarsi.

«D’accordo, riposatevi. Mentre Ale accende il fuoco io cucinerò qualcosa di buono» disse Roberta.

Tra le provviste trovò delle uova liofilizzate, non credeva che si potessero trovare anche in Sardegna, seguì le istruzioni e preparò una frittata e del salmone grigliato con contorno di mais.

«Mmmh, che profumino delizioso» le disse Alessandro ammiccando.

Luca notò subito l’intesa tra i due, era chiaro che tutto quel tempo trascorso da soli avesse fatto nascere tra i due una certa complicità. Un po’ gli dispiacque, Roberta gli piaceva davvero.

Mirco prese la valigetta del pronto soccorso, e si medicò le ferite sulle mani.

«Dai, ti aiuto, hai una brutta lacerazione sul mento e sul labbro» si offrì Luca.

«Sono sconcertato, devo ammetterlo, ma quello che abbiamo vissuto li dentro, credi davvero si tratti di un’allucinazione? C’è qualcosa in questo canyon» confessò sottovoce Mirco, mentre Luca posava una garza imbevuta di disinfettante sul suo mento.

«Ti rendi conto di quanto sia assurdo ciò che dici?»

«Si.»

«Condividiamo l’esperienza con gli altri. Siamo ancora scossi, non c’è ombra di dubbio, ma forse parlarne con loro, ci farà vedere la cosa da un altra prospettiva»

Mirco acconsentì, ma gli altri non chiesero niente. Si erano accorti che i due erano usciti dal tunnel turbati.

Cenarono con grande appetito, il pasto preparato dalla ragazza fu apprezzato da tutti.

Dopo aver sistemato le stoviglie si misero comodi intorno al fuoco.

Mirco preparò la pipa con alcuni boccioli di marijuana e fece una lunga boccata prima di passarla a Luca.

«Avanti ragazzi, non vi sembra giunto il momento di raccontarci cosa vi è successo in quel tunnel?» azzardò Roberta.

«Se vi dicessimo che per noi è stato come se fosse passata meno di un’ora, cosa direste?»

«Direi che vi siete fatti una canna e avete perso la cognizione del tempo» scherzò Alessandro, ma nessuno rise. Alla ragazza ritornò in mente la spiacevole sensazione di amnesia, provata quella mattina.

«Cosa ricordate del tunnel?» chiese.

«Tutto procedeva bene, direi. La temperatura ha iniziato a calare, faceva veramente freddo. A un certo punto il tunnel si è allargato e nel nuovo ambiente abbiamo trovato delle botti, sistemate in delle nicchie scavate nella roccia» iniziò Luca.

«Abbiamo proseguito, ma la fune è terminata.»

«Ti prego, dimmi che non ti sei sganciato?» chiese preoccupata Roberta.

«Si, l’ho fatto. In fondo al tunnel potevo vedere la volta di una caverna enorme, non potevo rinunciare a proseguire.»

«È stata una vera cazzata amico» si intromise Luca.

«Eh si, adesso lo so anche io. Il tunnel finiva in una profonda voragine, molto più in basso della base del canyon. Me la sono davvero vista brutta. Sono riuscito ad aggrapparmi ad uno spuntone, se non fosse stato per Luca, adesso non starei a parlare qui con voi.»

«Quando siamo tornati sui nostri passi, la corda non era più dove l’avevamo lasciata. È per questo che ti ho domandato se foste stati voi a tirarla via» spiegò Luca.

«Ma non ha senso. Questo non basta per giustificare tutto il tempo che siete rimasti li dentro.»

La considerazione fatta da Alessandro era giusta, ma non aveva risposta.

«C’è dell’altro…» aggiunse Luca guardando Mirco. Era giunto il momento di metterli al corrente dell’insolito fenomeno che li aveva stravolti. Mirco fece un cenno di assenso e Luca proseguì il racconto.

«C’è stato un momento che non eravamo in grado di avvertire nessun rumore oltre alle nostre voci. I passi sui detriti erano muti…» Luca si fermò per un istante in cui tutto il terrore tornava ad invadergli la mente. Sospirò e continuò il suo racconto. «Poi un rumore c’è stato. Era come se decine di persone ci stessero inseguendo dalla voragine. Abbiamo corso come matti, ma ci hanno raggiunti.»

«Santo cielo, ma chi erano?» chiese allarmata Roberta.

Mirco emise una risatina amara e le rispose: «Nessuno.»

«Mi state dicendo che quel rumore era solo frutto della vostra immaginazione?» chiese Alessandro.

«Quante possibilità ci sono che entrambi abbiamo potuto avere le stesse sensazioni? Non scherziamo!» esclamò Luca, «È stato come se mi avesse attraversato qualcosa di denso e con un odore stomachevole. Poi tutto è finito.»

«Okay, ma questo non basta a giustificare il tempo che avete trascorso li dentro» sottolineò Roberta.

«Appena il fenomeno si è fermato abbiamo trovato la corda, molto distante dal punto in cui l’avevamo lasciata, una volta raccolta siamo scappati, ma la sensazione di essere inseguiti da qualcosa… si, da qualcosa di malvagio, ci ha accompagnato fino a voi. Poi è scomparsa» confessò Mirco.

«Scusate, continuo a non capire. I tempi non tornano…» insistette la ragazza, voleva sapere di più.

«Questa è l’ultima delle stranezze che ci sono capitate e ce ne avete dato notizia voi. Io non so che è successo. Non ho la minima idea di dove sia finito quel “tempo”. Non ho vuoti di memoria e credo non ne abbia neanche Mirco, non abbiamo perso conoscenza, quindi non so proprio cosa risponderti.»

Scese il silenzio. Roberta si accostò ad Alessandro, che le mise il braccio intorno alle spalle e la strinse a sé.

«Vedo che invece il vostro tempo, non è andato perduto» disse ironico Luca.

«Che c’è amico, sei geloso?» Domandò sulla difensiva Alessandro.

«Oh Dio, scusami, è che sono ancora scosso» si scusò Luca. Non era una menzogna, ma neppure la verità. «Credo che andrò a dormire» annunciò, alzandosi.

Mirco pulì la pipa dai residui di cenere e si alzò. «Vado anche io, sono molto stanco.»

Roberta e Alessandro rimasero da soli.

«Che ne pensi di questa storia?» gli chiese.

«Dobbiamo proprio parlarne adesso?» domandò lui, mentre si avvicinava a baciarla.

«Dai, smettila, potrebbero sentirci.» Roberta si scostò di scatto.

«E allora? Mi piacerebbe stringermi a te nella tua tenda. Cosa ne pensi?» E di nuovo si sporse per baciarla.

«Basta, Ale, non mi sembra il caso. Possibile che per te tutta questa situazione sia normale?»

Alessandro sospirò. «No, per niente, ma non mi va di pensarci, tutto qui.»

«Forse hai ragione, con la luce del giorno tutto sembrerà più chiaro. Il buio della notte e questo posto, riescono a condizionare la mente nel modo sbagliato. Credo che andrò a dormire anche io.»

«Vengo con te?»

«È meglio di no, scusami.»

Dentro la tenda, sdraiato nel buio, Luca sorrideva compiaciuto.

(4 – continua)

Annamaria Ferrarese