DRULLIOS – 02

2.

Il mattino del quarto giorno il sole splendeva nel candore del canyon, il richiamo dell’aquila reale echeggiava nell’aria tiepida, chiamava il suo compagno per nutrirla.

I visi che si affacciarono dalla zip aperta, non avevano nessuna traccia dell’eccitazione per le scoperte del giorno prima, ma apparivano leggermente confusi, quasi come fossero ancora aggrappati ad un sogno che non ricordavano più. Ognuno di loro, tranne Roberta stringeva in mano uno dei quarzi che erano spariti dalla spirale. Uscirono dalle tende, mostrando ciò che avevano.

«Dobbiamo iniziare a preoccuparci?» chiese Luca, mostrando la gemma. Mirco e Alessandro fecero lo stesso, mostrando la loro.

«L’unica spiegazione plausibile è che siano stati persi da colui che li ha rubati, magari l’artefice dello scherzo dell’altro giorno è entrato a curiosare nelle nostre tende.» rifletté ad alta voce Mirco. La sua deduzione era più che plausibile e non ci diedero peso.

Dopo colazione Roberta Alessandro e Mirco, si preparavano per il completamento del disgaggio dell’ingresso della grotta, mentre Luca, ormai messo da parte, sentiva salire una forte invidia per i colleghi. Senza dire nulla si allontanò in silenzio a svolgere il suo lavoro di ricerca che a confronto con le scoperte dei colleghi, pareva inutile e senza senso.

Dopo aver recuperato gli elmetti protettivi dall’auto, raggiunsero l’ingresso della caverna. Lavorarono ininterrottamente per diverse ore, ma la previsione di Alessandro si rivelò giusta, non era ancora mezzogiorno e il passo era stato liberato. Il forte odore del guano li fece lacrimare, ma entrarono comunque per una prima perlustrazione.

«Muovetevi piano, per favore, se la bestiola si trova nei dintorni, potrebbe fuggire» chiese cortesemente Alessandro.

«Credi davvero che con tutto il rumore che abbiamo fatto sia ancora qui?»

Mirco non aveva tutti i torti e si diresse verso l’ingresso del cunicolo dalla parte opposta, cercando comunque di muoversi piano.

Roberta con un foulard su bocca e naso, intanto passeggiava perlustrando il guano più vecchio, dove scorse diverse pietre incastonate dello stesso minerale che aveva trovato, ma questi frammenti erano molto più grandi dei precedenti. Alessandro cercava tra le rocce tracce dell’ipotetico “prolago”, intanto Mirco procedeva in salita, nel cunicolo che andava via, via a stringersi. Ad un tratto si accorse di un leggero bagliore azzurrognolo a circa cinque metri da dove si trovava. Lo raggiunse e vide che, attaccato alla roccia calcarea, vi era una specie di muschio o lichene fluorescente. Materia per Luca, pensò. Gli avrebbe chiesto più tardi notizie. Proseguì per altri due metri, ma il terreno roccioso si faceva più ripido, illuminò più in profondità con la preoccupazione di non poter più continuare, rimase estasiato quando si accorse che scolpiti nella roccia vi erano degli irregolari scalini che salivano ripidi.

«Ragazzi!» chiamò, «Raggiungetemi, venite a vedere cosa ho trovato.»

«Dunque avevi ragione, questi scalini sono certamente opera dell’uomo. Sono veramente curiosa di sapere dove portano» disse Roberta che lo aveva raggiunto per prima.

«Ecco perché sembrava che non ci fosse sentiero, perché è nascosto dentro la montagna!» esclamò compiaciuto Mirco.

«Wow, ma avete visto questo lichene?» domandò meravigliato Alessandro, «Dovremmo avvisare Luca.»

Il ragazzo si tolse il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e inviò la chiamata all’amico. «Accidenti non c’è segnale.»

«Che facciamo, saliamo?» Mirco non stava più nella pelle.

«Credo dovremmo prendere delle precauzioni, potremmo trovare delle altre frane, o peggio potrebbe franarci tutto addosso» gli fece notare Roberta.

«Che intendi fare, allora?» le chiese.

«Ho alcune corde al campo e servirebbe una torcia più potente. Non sarebbe male avvisare anche Luca, visto che attaccato alla parete c’è qualcosa che di sicuro gli interesserà molto. Era così deluso, che quasi mi ha fatto pena» propose.

«D’accordo, ma io non possiedo altre torce, oltre a quelle messe a disposizione dagli organizzatori.»

«Vedremo.»

«Voi andate, io resterò a vedere se trovo tracce dell’animale, immortalato nella foto.»

«Alessandro, non avventurarti da solo!» lo ammonì Roberta che ben conosceva i rischi di un’azione non ben ponderata.

«Non ne avevo alcuna intenzione, controllerò la caverna» la tranquillizzò.

Si divisero.

Trovarono Luca intento a preparare il solito pasto, Roberta si domandava come mai non volasse via, con tutto il gas che il suo intestino stava producendo con quella dieta a base di fagioli.

«Finalmente! Volevo informarvi che io andrò via oggi. Il mio lavoro di ricerca qui è finito» gli disse Luca.

«Oh, io non credo proprio. All’interno del cunicolo che si apre nel fondo della grotta, abbiamo trovato uno strano lichene azzurro fluorescente. Credo che ti possa interessare» gli annunciò Roberta.

«Che intendi per fluorescente?» le chiese incuriosito.

«Intendo dire che il lichene, sempre che lo sia, si estende sulla parete calcarea per un diametro di circa un metro ed è capace di illuminare l’ambiente circostante con una soffusa luce azzurrognola.»

«Devo assolutamente vederlo, potreste dare un’occhiata al mio pranzo?» chiese, mentre spegneva il fornelletto.

«A proposito di pranzo, direi di mangiare qualcosa prima di inoltrarci nelle viscere della montagna, sei d’accordo?»

La proposta di Mirco fu accolta da Roberta.

«Ok, dai la tua occhiata e poi riscendete entrambi, mangeremo qualcosa e poi potremo dedicare il pomeriggio alla perlustrazione del tunnel.»

 

Intanto Alessandro raccoglieva in una bustina a chiusura ermetica un campione di feci, differenti da quelle sferiche dei leporidi e molto più simili a quelle dei muridi per la loro forma allungata. Non poteva però trattarsi di un topo , avrebbe dovuto pesare più di tre chilogrammi, per poter lasciare escrementi di quelle dimensioni. L’idea che qualche esemplare di prolago sardo popolasse ancora quel canyon iniziava a prendere più concretezza. All’improvviso un leggero ansimare lo fece voltare. Puntò la torcia e fece in tempo solo a vedere una fugace ombra scura sparire nel buio del cunicolo. Si sollevò, infilando nella tasca il prezioso campione e col cuore in tumulto si avviò a grandi falcate verso l’uscita della grotta dove si scontrò con Luca che sopraggiungeva ad ammirare la nuova scoperta.

«Ehi, che ti prende? A momenti mi mandi a gambe all’aria!» esclamò l’amico dopo il violento urto.

«Scusami non ti avevo visto…»

Infatti Alessandro guardava alle sue spalle mentre imboccava l’uscita. Sentiva dietro di se quel leggero ansimare e sembrava che qualcosa lo stesse per ghermire alle spalle.

«Non c’è problema. Vorrei vedere il  misterioso lichene, sai dove si trova?» chiese Luca puntando la torcia verso l’interno della cavità.

«Non sono sicuro che sia il caso di inoltrarti lassù, sarebbe meglio aspettare gli altri. Potrebbe crollare almeno così ha detto Roberta» cercava di eludere la decisione di Luca.

«Gli altri stanno pranzando e ci aspettano, ed è stata proprio lei a dirmi di venire a dare un’occhiata. Da che parte?»

Alessandro ispezionò con attenzione l’interno, spostando il fascio di luce della torcia in ogni direzione, l’ombra era sparita. E se fosse stata nascosta nel buio del cunicolo? Non aveva potuto distinguere la sagoma, camminava su quattro zampe e non era molto grande, ma la cosa che lo aveva spaventato era che quell’essere sembrava un essere umano. Pensò di essere stato giocato dalle ombre generate dalla torcia nell’oscurità e indicò l’imbocco del tunnel. «Eccolo è lì. A una decina di metri più avanti c’è il tuo lichene, ma te ne accorgerai molto prima di arrivarci perché emana un bagliore che potrai vedere subito» lo informò.

«Non mi accompagni?»

«No, devo prendere un po’ d’aria il guano mi sta uccidendo» mentì, in realtà aveva paura, ma non disse niente.

«Ok, aspettami, scendiamo al campo insieme.»

Dette queste parole Luca sparì nell’ingresso del tunnel, Alessandro poteva vedere il bagliore della sua torcia tremolare  nell’imboccatura, e poi affievolirsi fino a sparire.

Rimase in attesa, passarono minuti interminabili, poi, finalmente, il bagliore della torcia ricomparve.

«Non ho mai visto niente di simile, è meraviglioso! Torniamo dagli altri, ho bisogno di alcuni attrezzi per raccogliere qualche campione. Non ho idea di cosa sia e non posso toccarlo a mani nude prima di averne analizzato una porzione. E dire che stavo pensando di andarmene!» esclamò ridendo il futuro botanico, raggiungendo Alessandro che tirava un sospiro di sollievo.

Consumarono un pasto veloce, viste le nuove scoperte il loro corpo non esigeva altro se non nutrirsi della conoscenza, ma si costrinsero a mangiare.

Tutti si attrezzarono di varie bustine e raccoglitori in plastica di diverse dimensioni.

«Dobbiamo muoverci, ragazzi. Ci restano poche ore prima del tramonto, e non ho intenzione di ridiscendere la parete al buio, non so voi» li esortò Mirco.

Si arrampicarono sul sentiero ormai battuto per introdursi ancora una volta nella caverna, erano le 15:10.

«A cosa dovrebbe servirmi la corda? Le scale vanno in salita non in discesa.» Mirco era perplesso.

«Lo vedrai, andiamo»

E tutti e quattro, capeggiati da Roberta si infilarono nel cunicolo. Superato lo sconosciuto vegetale fluorescente, si fermarono ad un metro dalla scala.

Roberta osservò attentamente la parete alla sua sinistra, poi quella alla sua destra.

«Ecco, qui è perfetto!» esclamò e con un abile movimento, assicurò un ancora da parete in una crepa. Poi vi agganciò uno dei moschettoni della corda, mentre l’altra estremità la assicurò alla vita di Mirco.

«Una specie di filo di Arianna» suppose Alessandro.

«Non solo, se ci fosse qualche cavità sotto alle scale e queste dovessero crollare, resteresti appeso. E se dovesse crollarti addosso il soffitto avremmo un minimo di riferimento.»

Spiegato l’utilizzo della corda, Roberta si tolse l’elmetto e la torcia e la porse a Mirco, «Tieni, scambiamole» disse porgendogliela.

«Veramente credi che queste due lucette, siano meglio della mia?» domandò Mirco, deridendola.

Roberta sorrise e pigiò l’interruttore della lampada centrale dopo averla puntata verso la cima della scala, in un attimo la potente torcia, illuminò a giorno.

«Avete visto? Qualcosa è fuggita verso il buio» disse Luca, indicando l’apice della scala che si era illuminata.

Roberta e Mirco non videro nulla, mentre Alessandro si decise a confidare ciò che aveva visto quando era rimasto da solo.

«Si,l’ho vista anche io. Anche prima, quando mi hai raggiunto per vedere il lichene, ho visto qualcosa»

«Non sono sicuro si tratti di un lichene, ma scusa, perché non me ne hai parlato? È per questo che non mi hai accompagnato?» chiese accigliandosi.

«Non ne ero sicuro, ma ora che l’hai visto anche tu…»

«Occhio, mi raccomando. È chiaro che ci siano altri piccoli ingressi  e fessure, dalle quali si introducono gli animali» si raccomandò Roberta, «Bene, divertiti.»

Ma Alessandro non era sicuro si trattasse di un animale, certo si muoveva come se lo fosse, ma la sua fisionomia non gli ricordava per niente un animale. Insieme a Roberta ritornarono indietro lasciando Luca intento nell’ispezione della fluorescenza, mentre Mirco lentamente saliva i fatiscenti scalini.

La torcia che Roberta gli aveva prestato era veramente notevole, riusciva a vedere chiaramente per molti metri. Mentre saliva scioglieva la fune che teneva tra le mani, era emozionato, dove lo avrebbe condotto quella scala? L’aria sembrava più fresca era chiaro che ci fosse un riciclo e ora che avevano liberato l’ingrasso principale si era creata una certa corrente. Aveva contato una ventina di scalini e ne aveva davanti più o meno lo stesso tanto, quando si accorse che stava per giungere ad un nuovo ambiente, ne distingueva il soffitto. Affrettò il passo fino a giungere in una nuova cavità di circa cinque metri di diametro, un circolo irregolare dal fondo sabbioso. Sulla parete calcarea si aprivano altri due ingressi, quasi uno di fronte all’altro e con grande sorpresa ed emozione vide che, puntellate nella roccia, vi erano dei supporti in ferro, che sostenevano fatiscenti torce in legno con lembi di stoffa grezza bruciacchiata. Si avvicinò estasiato ad osservarla, la sua ipotesi prendeva via, via più concretezza, sentiva che si stava avvicinando al tanto agognato villaggio. Toccò la stoffa delicatamente era marcia e gli si sgretolò tra le dita. Un movimento in basso alla sua destra lo costrinse a girarsi, puntando la torcia verso una piccola creatura sconosciuta. L’animaletto rimase impietrito sotto il fascio di luce che lo colpì, probabilmente si trattava della bestiola individuata da Alessandro. Rimase immobile ad osservarlo, il suo corpo era simile ad un coniglio, ma la testolina, ricordava tanto quella di un topo, le orecchie era molto grandi e tondeggianti e il musetto affilato. Con movimenti lenti, Mirco accese le due torce laterali, spegnendo quella centrale, appena ci fu il cambio di illuminazione, la creatura prese coraggio e si infilò con un guizzo dentro un pertugio nella roccia.

Mirco sorrise, avrebbe avvisato il collega della tana. Ripose la torcia nel suo supporto di ferro arrugginito, quando sentì un ridacchiare sommesso. Con circospezione voltò piano la testa verso il suono e vide nell’ingresso di uno dei cunicoli una donna di spalle. Il suo abbigliamento gli ricordò quello di una zingara, la lunga veste logora, arrivava fino a terra, aveva i capelli lunghi sciolti sulle spalle, bianchi con sfumature giallastre, annodati in matasse crespe. Non ebbe il coraggio di muoversi. Pensò alla piccola creatura sorpresa dalla sua torcia, si sentì come lei, pietrificato dal terrore. La donna restava li a ridacchiare, continuando a dargli le spalle. Doveva muoversi, doveva scappare e raggiungere gli altri, forse se avesse gridato lo avrebbero sentito. Mentre il suo cervello cercava le soluzioni più idonee ad una situazione di pericolo, la vecchia si girò di scatto, mostrando il suo orrido viso grinzoso, la lunga lingua le penzolava fuori dalla bocca sdentata, e il labbro superiore era saldato alla narice sinistra. Con uno scatto innaturale gli si scagliò addosso, ma invece di scontrarsi, questa lo attraversò come fosse aria densa. Ne avvertì il nauseante fetore cadaverico, e sentì in bocca un disgustoso sapore di rancido, la mente gli si annebbiò, svenne mentre il suo stomaco si contraeva, vomitando una poltiglia grigiastra e fetida.

 

Luca osservava con una lente, la misteriosa pianta luminescente, più la osservava e più si rendeva conto che non si trattava ne di un lichene, ne di muschio. Una nuova tipologia vegetale tutta da scoprire. Appena sotto la sua superficie sembrava brulicasse qualcosa, come se il vegetale fosse in simbiosi con una forma di afidi, ma non ne era certo. Doveva osservarla al microscopio. Prese una delle pinzette dall’astuccio e con minuziosa attenzione prelevò una parte della pianta fluorescente e la ripose in un basso contenitore in plastica, richiudendolo con cura. Ripercorse il cunicolo verso la grotta, avrebbe dovuto analizzarlo.

Trovò Roberta e Alessandro fuori.

«Vi credevo intenti nella ricerca» disse uscendo all’aperto.

«Impossibile restare li dentro a lungo» gli fece notare Roberta, infatti entrambi avevano gli occhi rossi e lacrimanti.

«Le esalazioni del guano sono terribili!» esclamò Alessandro.

«Io scendo al campo, ho da analizzare questo campione al…»

Luca si arrestò sbigottito. Mentre mostrava il contenitore vide il campione cambiare. La piccola porzione di vegetale, che aveva perso la sua fluorescenza, iniziò a seccarsi fino a polverizzarsi. «Non è possibile, accidenti. Evidentemente non sopporta la luce, ma questo cambiamento fulmineo non è naturale… questa strana pianta mi affascina sempre di più.»

«Dovrai analizzarlo all’interno, o non ne caverai piede» gli consigliò Alessandro, «Scendo con te, ho anch’io qualcosa da analizzare» aggiunse mentre mostrava la bustina con le feci raccolte.

«Notizie di Mirco?» volle sapere la ragazza.

«No, vedevo la cima fissata alla parete muoversi, ma niente di più. Ho raccolto il campione e sono venuto qui.»

«Volevo scendere anche io per analizzare questi minerali, ma lasciarlo solo non mi sembra una buona idea»

«Dammi il tempo di prendere il microscopio, resterò io»

 

Era passata una buona mezz’ora quando Luca rientrò nella grotta.

«Tra poco sarà buio, darò un’occhiata alla pianta con questo, poi recupero Mirco e vi raggiungiamo» disse mostrando la custodia contenente il microscopio.

«Ok, a dopo.»

Luca sistemò lo strumento sul pavimento roccioso, facendo attenzione ai movimenti per non sollevare polvere che avrebbe potuto sporcare le preziose lenti. Prelevò una piccolissima porzione del vegetale che mise su un vetrino, dopo aver aggiunto una goccia di formalina, per fissare il vetrino copri oggetto sul campione intrappolato nella piccola goccia liquida.

Dopo aver fissato con la molletta il vetrino sul tavolino traslatore si chinò sull’oculare ed iniziò a manipolare le viti micrometriche sull’obiettivo scelto.

«Dammi solo un momento, Mirco» disse senza staccare gli occhi dall’oculare. Il fruscio che sentì provenire dalla scala, gli fece pensare che Mirco lo avesse raggiunto. Continuò ad osservare il campione strabiliato da ciò che le lenti gli svelarono, poi avvertì un leggero ansare, come se insieme a Mirco ci fossero diversi cani. Allarmato si voltò accendendo simultaneamente la torcia sulla fronte, fu allora che vide delle creature fuggire verso l’alto degli scalini dove il buio le avvolse. Spaventato cadde seduto sulla roccia, cercò di riaversi dallo spavento, aveva ancora davanti l’immagine dei volti di quelle creature umanoidi, volti segnati da un eterno urlo muto, di atroce sofferenza. La pelle glabra era livida e gelatinosa, si ammassavano veloci sulla scala per fuggire dalla luce. Ingoiò rumorosamente cercando di inumidirsi la bocca secca. Si sfregò il viso energicamente con le mani.

«È un’allucinazione Luca, non hai visto niente, non hai visto niente…» continuava a ripetersi.

Era possibile che quella pianta fosse allucinogena, probabilmente, insieme alla fluorescenza emanava anche delle spore. Si tranquillizzò, tirò su il collo del dolcevita e si copri il naso e la bocca, catapultandosi su per le scale. Doveva raggiungere Mirco e uscire da li al più presto. Il vegetale poteva avere delle tossine pericolose, prima di rientrare avrebbe dovuto fare delle analisi più specifiche.

Finalmente raggiunse la cima della scala, vedendo il corpo di Mirco riverso al suolo, le sue paure sulla tossicità di quell’ambiente aumentarono. Si avvicinò scrollando le spalle dell’amico per ridestarlo.

«Mirco, svegliati, dai! Forza, Mirco!»

Spaventato cercò con tutte le sue forze di sollevarlo per appoggiargli le spalle alla parete. Quando stava per perdere le speranze che l’amico si svegliasse, eccolo che finalmente riaprì gli occhi tossendo.

«Grazie a Dio! Riesci ad alzarti? Dobbiamo uscire immediatamente da qui!» esclamò infilandosi con la spalla, sotto il braccio del ragazzo aiutandolo ad alzarsi.

«C’era una vecchia qui…» gli disse e riprese a tossire.

Luca vide il vomito sul suo petto  a conferma di un probabile avvelenamento.

«Ne parleremo più tardi, ora dobbiamo uscire.»

Mirco si riprese, mentre scendevano i gradini e fu in grado di muoversi da solo. Raggiunto il cunicolo, Luca sganciò dalla parete il moschettone della fune che Mirco aveva intorno alla vita, la raccolse disordinatamente, l’avrebbe lasciata all’imboccatura della grotta, sarebbe potuta tornargli utile. Saltarono il microscopio che era rimasto sul pavimento e proseguirono verso la grotta, di li a poco furono all’aperto.

«Respira a fondo, Mirco, cerca di ossigenarti più che puoi. Credo che quella pianta sprigioni tossine pericolose e allucinogene.»

Mirco ne fu sollevato, dunque ciò che aveva vissuto era stata solo un’allucinazione.

«La tua attrezzatura…»

«Non andrà da nessuna parte, devo analizzare i resti della pianta che ho lasciato giù. Grazie al cielo ho portato anche dei reagenti che mi saranno utili.»

Il crepuscolo era vicino, presto il buio della notte avrebbe ingoiato il canyon. Ridiscesero il pendio verso l’accampamento.

(2 – continua)

Annamaria Ferrarese