SILVANA DE MARI

Una straordinaria capacità di comunicare emozioni, conoscenze e idee. Sono alcune delle qualità di Silvana De Mari, scrittrice di talento del genere fantasy ma anche psicoterapeuta e soprattutto già medico chirurgo con una grande esperienza, che l’ha molto segnata, come volontaria in Etiopia.

Vincitrice del  “Premio Andersen” nel 2004 con il romanzo “L’ultimo Elfo” (Ed. Salani), dopo vari titoli che ne hanno confermato la  popolarità anche all’estero, nel 2010 ha dato alle stampe “L’ultima profezia del mondo degli uomini” (Ed. Fanucci). La nota scrittrice di origini campane (è nata a Caserta ma vive in provincia di Torino) è stata presente nei giorni scorsi a Matera per partecipare all’ottava edizione del  “Women’s fiction festival”, evento internazionale della narrativa al femminile, che si è svolto dal 29 settembre al 2 ottobre.

Dopo aver tenuto una master class molto apprezzata dal tema “Mondi immaginari – Come scrivere un romanzo fantasy” nell’ambito di una delle sessioni del festival materano, si è spostata all’Istituto tecnico commerciale “Antonio Loperfido” dove, con i ragazzi, si è espressa al meglio delle sue capacità di affabulatrice tenendo un’ampia lezione sulla narrativa fantastica. Abbiamo avuto il piacere di accompagnare Silvana De Mari nel percorso tra un incontro e l’altro. L’occasione è stata utile per porle alcune domande:

C’E’ UNA MOTIVAZIONE PARTICOLARE DALLA QUALE PRENDE ORIGINE LA SUA NARRAZIONE?

Sì ed è l’orrore per il genocidio degli ebrei. Io penso all’Olocausto tante volte al giorno e mi chiedo come ciò sia potuto succedere. Quando ero bambina e abitavo a Trieste, facevo lunghe passeggiate con mio padre e lui mi raccontava le fiabe, mi narrava avventure di gnomi e di elfi. Poi da appassionato di storia mi ha parlato delle vicende dell’uomo. Un giorno d’inverno, faceva molto freddo, mi raccontò del genocidio degli ebrei e per farmi capire come trattavano brutalmente anche i bambini come me, mi ha tolto il cappottino e il golfino. Da allora ho iniziato a chiedermi perché una mente come quella umana capace di comprensione abbia potuto fare questo…

QUAL E’ IL SENSO CHE DA’ ALLA SUA SCRITTURA? COSA VUOLE TRASMETTERE?

Il mio intento è creare una scrittura che abbia una funzione sociale ed educativa. Soprattutto la letteratura fantastica, di cui mi occupo, ritengo sia quella che maggiormente smuove i neurotrasmettitori, infatti quando noi raccontiamo una fiaba i nostri figli producono endorfine sviluppando l’immaginazione. Inoltre, aggiungo che negli ultimi cento anni l’uomo è “annegato” nel fantasy: la metafora è la seguente: c’è sempre un esercito della luce e uno delle tenebre e questa è la nostra storia.

QUANTO HA CONTATO LA PROFESSIONE DI MEDICO NELL’AMBITO DELLA SUA ATTIVITA’ DI SCRITTRICE?

Enormemente. Per questo dico alla gente che scrive di tenersi stretto un altro lavoro. Non solo perché dà un’indipendenza economica, ma perché quel lavoro crea la nostra scrittura caratterizzandola. Solo un professore di lettere e lingue antiche, parlo di Tolkien,  poteva scrivere “Il signore degli anelli”. La Rowling, autrice di “Harry Potter”, ha svolto due professioni in vita sua: l’insegnante, lei conosce benissimo il mondo della scuola, e la disoccupata. Harry Potter funziona perché c’è un impasto di frustrazione e impotenza che solo un disoccupato poteva descrivere.

SEMPRE IN QUALITA’ DI MEDICO LEI E’ STATA VOLONTARIA IN ETIOPIA DOVE HA CURATO PAZIENTI AFFETTI DA UNA MALATTIA TERRIBILE COME LA LEBBRA. COSA LE E’ RIMASTO DI QUELLA ESPERIENZA E COME L’HA RIPORTATA NELLA SUA LETTERATURA?

Anche se non faccio più il medico quell’esperienza dal punto di vista letterario l’ho riportata in alcuni  miei romanzi. I libri “L’ultima profezia del mondo degli uomini”, ma anche “Io mi chiamo Yorsh” sono ambientati in lebbrosari. La lebbra è una malattia giudicata come una maledizione di Dio. I lebbrosi corrispondono ai malati di cancro prima che esistessero cure e rimanevano nei lebbrosari non perché si fosse intuita la genesi contagiosa della malattia ma per punirli. Erano malati che vedevano il corpo disfarsi. Ed è quello che avviene anche sul campo di battaglia. Un soldato ferito che sta per perdere una parte del suo corpo prova grande dolore e pensa anche che forse morirà. Tutto ciò, uno scrittore fantasy, deve saperlo descrivere.

CREDE CHE IL GENERE FANTASY SIA ANCHE UNA FORMA DI PSICOTERAPIA?

Sicuramente! Il genere fantasy ha formato il gioco di ruolo. Per esempio se io sono piccola e gracile nel gioco di ruolo sono il guerriero; se io sono pasticciona nel gioco di ruolo sono il saggio. E’ una forma di psicoterapia, ed esiste anche una psicoterapia che si chiama gioco di ruolo. 

DIA UNA DEFINIZIONE DELLO SCRITTORE DI GENERE FANTASY ?

E’ il cantastorie che ha ripreso a raccontare qualcosa perché di quella cosa noi abbiamo un disperato bisogno.

HA MAI SCRITTO TESTI DI FANTASCIENZA?

Sì, l’ho fatto nel libro “Il cavaliere, la strega, la morte e il diavolo”, in uno dei racconti che parla della morte.

TRA LE MILLENARIE ABITAZIONI E GLI SCENARI PREISTORICI DI MATERA AMBIENTEREBBE UNA STORIA FANTASY?

Assolutamente sì, ambienterei anche un racconto storico. Però sembra che ci sia già qualcun altro che ci sta lavorando!

Filippo Radogna