ORPHINELLI, IL BARBONE DI RIO CLARO

La vittima più grande aveva 11 anni, la più piccola 3. Avveniva tutto molto velocemente. Orphinelli pestava i bambini e schiacciava loro soprattutto la testa, la bocca e le tempie. Alcuni sono rimasti sfigurati a causa della violenza dei pugni.

«M’innervosivo e attaccavo».

Orphinelli non si ricordava esattamente quanti bambini aveva aggredito ma quando si trovava davanti alle loro foto raccontava dei dettagli: come li aveva fermati, i locali dove li aveva portati e dove aveva lasciato i loro corpi. Dei 10 omicidi confessati da lui, tre corpi non sono mai stati trovati. Gli omicidi di Orphinelli si sono concentrati in 5 città nel nord dello stato di São Paulo. La distanza tra una e l’altra non andava oltre i 260 km.

Nato ad Araras, passò gli ultimi 25 dei suoi 47 anni vagabondando per lo Stato in treno o facendo l’autostop ai camionisti. Lubrificava le porte dei bar e dei negozi e in cambio riceveva degli spicci, un piatto caldo e un po’ di alcool. Dormiva in costruzioni abbandonate, aveva l’abitudine di segnare su un quadernetto i tragitti da una località all’altra. Grazie a questo quaderno gli investigatori risalirono alle sparizioni dei bambini. Dal 1995 fino al suo arresto aveva visitato 26 città.

Orphinelli confessò di essere l’artefice di 10 morti violente. Una delle vittime era Crilaine Cristina dos Santos Barbosa, la bambina di 3 anni. Venne vista per l’ultima volta il 25 aprile 1990 a Pirassununga. Il barbone ammise di aver seguito lei e sua madre fino a casa. Aveva trovato la porta aperta e Crislaine da sola sul divano, era entrato e l’aveva presa in braccio.

Il modus operandi di Orphinelli, consisteva nel girare con la sua bicicletta rossa per varie città, alla ricerca di bambini senza supervisione, che giocassero lontano dai genitori.

In alcuni casi, prima fece amicizia con i genitori della possibile vittima, garantendogli un accesso più facile al loro bambino.

Quando i genitori non c’erano, Orphinelli attirava i bambini con promesse di dolci o convincendoli che conosceva i loro genitori, poi gli proponeva di andare a casa sua.

«Non l’ho stuprata, l’ho solamente uccisa con pugni in testa, sul viso e le ho rotto i denti. È uscito del sangue dal naso e dalla bocca, non ho voluto toccarla» raccontò alla polizia. Quattro mesi dopo la sparizione della bambina, una carcassa venne ritrovata. Il cranio non aveva i denti davanti.

Orphinelli non seppelliva mai le sue vittime, i corpi rimanevano esposti ai cambiamenti climatici; durante le dichiarazioni affermò: «Io illudevo i bambini, ci parlavo e offrivo loro delle caramelle, non ho mai contato quanti fossero».

«M’innervosivo e attaccavo. Dopo aver ucciso la rabbia passava».

«M’innervosisco quando non riesco a fare sesso, così li picchio. Ho iniziato a uccidere i bambini tre anni dopo essere uscito dalla clinica».

«Aline ha pianto, ho parlato con lei ma non è servito a nulla».

«Chi non si comportava bene veniva ucciso a pugni ma se il bambino ubbidiva lo strangolavo solamente».

«Quando il ragazzino ha iniziato a piangere ho sbattuto la sua testa sul muro, è morto sul colpo».

«Pianificavo tutto con anticipo, andava sempre tutto bene».

«Quando bevo accolgo in me Satana, m’innervosisco e provo questo desiderio. Provo del piacere nel vederli terrorizzati. Io vedo i bambini e mi viene voglia di fare brutte cose».

«Sapevo che un giorno la polizia mi avrebbe preso ma non mi preoccupavo».

«Io non odiavo i bambini, solo che Satana si prende cura di me quando bevo un po’».

«Dopo essere uscito dal manicomio nel 1968 ho iniziato ad avere voglia di uccidere i bambini. Quando Satana è dentro di me, non posso vedere un bambino senza sentire il desiderio di ucciderlo».

«Fin da bambino ho avuto dei problemi. Ho avuto dei comportamenti strani. Esco fuori da me stesso. È quando odio i bambini… Li ho già uccisi in vari modi. Un ragazzino l’ho buttato sul muro, a un’altra bambina ho dato dei bacetti. Lei era nera e aveva quattro anni. Solamente una l’ho uccisa nella sua stessa casa, sul divano».

«Satana voleva molto sangue, molto sangue e violenza».

Tra il 1967 e 1969 Orphinelli venne ricoverato 12 volte in una clinica psichiatrica.

L’ultimo ricovero fu nel 1993 per alcune settimane. Il motivo, secondo il direttore della clinica: ubriachezza patologica, malattia che a seguito di una piccola quantità d’alcool trasformava completamente la sua personalità. E Orphinelli aveva bevuto fino alla fine della sua adolescenza.

«L’alcool mi ha rovinato» disse.

Era sempre stato violento. Settimo figlio di nove fratelli, durante l’infanzia veniva legato dalla madre per evitare problemi con il vicino. Quando si liberava, si vendicava tirandole dei mattoni. Secondo il nipote, lo zio aveva dei comportamenti infantili: «Una volta l’ho visto con un giocattolo in mano e gli ho chiesto di poterlo guardare meglio. Mi ha risposto: “NO è MIO”».

Un’altra caratteristica della sua personalità era la capacità di fissarsi sulle cose, il voler essere sempre al centro dell’attenzione. Negli ultimi giorni, durante le dichiarazioni, si lamentava di essere stato interrotto.

«Sto parlando» diceva.

La mattina chiedeva ai carcerati: «Quanti clienti ci sono alla porta? ». I clienti per lui erano i media e la polizia.

In una delle sue dichiarazioni, l’assassino ha addirittura riferito di aver bevuto il sangue di alcune vittime decedute, attribuendo i suoi atti di estrema violenza e ferocia ad atteggiamenti influenzati da uno spirito maligno. Ha detto alla polizia che questo spirito maligno lo ha costretto a perseguitare e uccidere i bambini. Confuso, ha anche detto che gli omicidi sono stati causati dall’alcol.

Le sue vittime erano generalmente bambini della classe medio-bassa, di età compresa tra 3 e 11 anni. Non gli importava molto il sesso delle vittime, non gli importava se fossero maschi o femmine

La sua morte è avvenuta il 16 gennaio 2013. Il suo corpo è stato trovato nella cella dalle guardie carcerarie del penitenziario di Iaras. Orphinelli è morto per cause naturali, a causa di una storia di diabete e ipertensione.

Francine Arioza