L’IPPOCENTAURO

L’ippocentauro è una creatura dalla duplice natura, chiamata “biforme” nelle Metamorfosi ovidiane, il cui nome deriva dal latino ippocentàurus - a sua volta derivante dal greco ìppos (cavallo) e kèntayros (centauro) – è descritta nel Liber Monstruorum de diversis generibus (opera letteraria comprendente tre diversi libri, ciascuno dei quali tratta rispettivamente di mostri umani, di creature terresti e marine, e di serpenti) come un essere metà cavallo e metà uomo, con un “capite setoso” ma in certa misura “simillimo humanae formae”. Il Fisiologo greco lo accomuna alle sirene, mentre la mitologia greca lo designa quale figlio dei più noti centauri.

Molti studiosi ritengono che questo essere favoloso sia frutto dell’immaginazione dei poeti dell’antica Grecia, secondo i quali i centauri avrebbero avuto origine dall’amore sacrilego fra il re dei Lapiti Issione e la dea Era, dalla cui unione nacque, appunto, Centauro, capostipite di questa specie ibrida.

Mettendo, però, da parte il mito greco che fece nascere un’intera nazione di centauri ai piedi del monte Pelio (a sud-est della Tessaglia), è ovvio che questa creatura sia nata allo scopo di fondere le migliori qualità dell’essere umano, quale intelligenza e raziocinio, a quelle del cavallo, ossia velocità e forza. Nonostante ciò i centauri vennero spesso raffigurati come creature violente e irrazionali, selvagge e brutali.

L’unico a fare eccezione fu il centauro Chirone, considerato maestro di saggezza, rettitudine e affabilità. Omero, nell’XI libro dell’Iliade lo definisce «il solo giusto fra i Titani» mentre Pindaro racconta di come tutti i suoi allievi fossero retti e sapienti. Di conseguenza innumerevoli sono le opere celebrative che tuttora possiamo ammirare, realizzate in onore di questo centauro. Un esempio, è dato dal maestoso dipinto di villa Item a Pompei e dalla grande tavola di bronzo (VI secolo) custodita nel museo del Cairo che ritrae Tetide nel momento in cui affida a Chirone il giovane Achille.

Ma Chirone è anche la figura memorabile del Canto XII dell’Inferno, definito generalmente come “canto dei centauri”.

Nel Medioevo, quindi, la fama di questo ibrido rimane pressoché inalterata, al punto che molti videro in lui finanche la figura di Cristo guaritore. Ugualmente la medicina lo ricordò con gratitudine arrivando a designare una pianta medicinale con il nome di “centaurea”.

È opportuno che si citino anche le fonti che, al contrario, servirono ad alimentare negativamente la fama di queste creature. In alcuni casi, infatti, si arrivò a paragonare gli individui viziosi ai centauri poiché già il cavallo e la giumenta erano considerati simbolo di lussuria, poi a questo aspetto si aggiunse l’innesto ibrido considerato un artifizio del Maligno. Non a caso San Basilio designò il centauro quale immagine del Diavolo, mentre diverse raffigurazioni manoscritte deumanizzano Adamo ed Eva rappresentandoli dopo il peccato come centauri.

Giusy Tolve