ERATAI 06 – LA FINE DELL’UNO: IL RE BIANCO E IL RE NERO – PRIMA PARTE

Prologo

Dal Racconto di Adamaran “Il Fiore di Adam e Azyrath”, ultima parte

…“A cosa sarebbe disposto un Uomo, pur di vedere salva la causa della sua sciagura?” echeggiò il Dio.

“La madre di mia figlia non è causa di sciagure, ma solo della mia passione.”

“Quello che Adam fra poco si troverà a dover vivere, gli farà rimpiangere di essersi comportato come un animale, cedendo al vacuo brivido della carne.”

“Io vivo in questo mondo da sempre. Conosco il mistero della carne e dei suoi sentimenti. Tu invece mi fai tristezza, Alath.”

Il Dio gonfiò il cielo, un tuono gorgogliò dai visceri dell’orizzonte. Il Lampo scosse ancora le nuvole. Il deserto di ghiaccio non vide acqua da quando la roccia si coagulò sulla superficie del mondo. Ma quella notte la pioggia irruppe dopo eoni da un cielo violentato, colpito da un’esplosione di luce violacea. Adam capì che Alath avrebbe potuto distruggere tutto ciò che lui amava, il suo mondo, le  creature che lo abitavano, in una sola notte. Aveva davvero vinto il Dio sull’Uomo.

“Mi fai pena, Alath, perché non puoi conoscere i più sottili movimenti dell’anima che ci hanno uniti. Né la tua razza potrà assaporare il segreto di quell’unione, poiché tu hai vietato che questo potesse accadere. Tu ti sei impossessato della tua specie, e ne hai fatto “la tua gente”. Ma hai vinto. E io ora sono solo un pezzente che prega davanti a te, per la vita di persone che per lui sono tutto.”

Mentre l’Uomo si trovava davanti ad Alath per salvare la vita a sua moglie e sua figlia, e delle creature dei mondi, questi:“Aiuteremo tua figlia, Adam, nella misura in cui tu aiuterai noi.” Tuonò.

L’Uomo era alla sua mercé, reso inoffensivo da quegli stessi eventi che portatarono le dodici terre dell’Inno, nelle mani di un despota feroce.

Le sue labbra si serrarono, un impeto feroce scuoteva la mente e il corpo di Adam, e disse: “Non posso, per salvare la vita di mia figlia e di sua madre, condannare la libertà di interi mondi. Facendolo non potrei più guardare in  faccia le mie creature. Non posso scambiare la loro vita come fosse merce da baratto. Difenderò le mie creature, qualunque cosa dovesse costarmi.”

“No, ti sbagli,Adam. Ormai quelle creature sono infettate dal seme di inutili sentimentalismi, e presto o tardi crolleranno, tradendo tutto ciò in cui credi. Noi abbiamo intenzione di porre fine a un’empietà simile. Fra poco ogni cosa verrà distrutta. Ma tu hai la possibilità di cambiare il nostro giudizio.”

…Quello che sarebbe accaduto in seguito è l’inizio della storia come la conosciamo. La mente di Adam fu pian piano condotta nell’oblio, intorpidita dai fumi dell’illusione. Venne fatto credere  attraverso molte ere, all’Uomo di essere egli stesso una creatura voluta da Alath, nata per un suo tocco incantato. L’opera di stordimento si perpetuò per epoche intere, e ottenne il suo scopo. Adam fu per sempre avvitato alla lunga tonaca dorata del suo signore, il manto del suo potere lo avvolse, e quella magia fu così potente che l’Uomo divenne il primo dei soldati di Alath, il più impavido alfiere del Regno di Alath. Nascose per sempre i suoi sentimenti di Poeta, e combatté innumerevoli guerre, guadagnandosi lo spettrale titolo di Campione di Dio. Dopo infiniti trionfi, la vittoria finale sui Ribelli, Adam divenne il Capo dell’esercito di Alath. Il Luogotenente di Dio. Venne fatto Re Vassallo da Alath stesso, e diede inizio alla storia  attuale dell’umanità sulla Terra. Quello che accadde poi vi verrà narrato in altri racconti, legati alla Tradizione del Sangue Reale di Adam. Ma nella salvezza di Walhylit, il Fiore della Sera, sua figlia, Alath commise il suo più tremendo errore. Mentre Azyrath divenne la Regina dei Ribelli, facendo di Aurora l’ultimo baluardo della resistenza,  sua Figlia non abbandonò mai suo padre, aspettando il momento maturo per andare da lui e ricordargli di chi fosse stato un tempo Adam. Si stava disegnando  quanto predisse Il Blu alla Dea.  Da quel momento, insieme agli eventi come li conosciamo, iniziò anche la fine di Alath. Ma questa è un’altra storia.”

I

Fu lancinante. Le grida dell’Allaghén si udirono sino all’oceano. Ci vollero tre grossi Uomini per trattenerlo. Adam lo implorò: “Non puoi venire con me, saresti condannato a vivere dentro una macchina! Saresti per sempre tenuto in un cilindro di ferro e acqua, succhieranno la tua energia. Rimani con loro, rimani libero, io tornerò!”.

“No, no! Lasciami venire con te!” urlava con la voce che s’impastava alla saliva e alle lacrime “Non m’importa di dove finirò, io voglio stare con te!”

Garaegor ebbe l’infausto compito di trattenere quel corpo che, pur esile, sembrava forte come la roccia. I sussulti del pianto lo scotevano, e la voce gli si strozzava: “Perché vai via senza di me? Cosa ti ho fatto? Non ruberò più nulla, te lo prometto, ma non farmi questo!”

Il respiro di Adam si spezzava per la tristezza, il suo petto era duro e sembrava che le sue forze stessero scemando assieme a quelle grida. Si voltò ancora: “Sii forte, ti prego. Non sarà per sempre, tornerò a prenderti.”

“No! io voglio venire adesso con te! Non mi lasciare qui, ti scongiuro!”

“Cerca di capire, vado via, perché altrimenti moriranno molti innocenti.” Cercò di farsi coraggio e non irrompere in un gemito senza freni, dando un’altra  soddisfazione ad Alath che lo stava osservando dall’alto dell’Astronave.

“Lo so che ce l’hai con me perché sono cattivo e rubo, ma se mi porti con te cambierò! Ti obbedirò sempre!”

“Non voglio che tu mi obbedisca; non devi obbedire a nessuno, solo alla tua coscienza, mio giovane Allaghén. Sii forte, e vivi da libero, sempre. Garaegor, ti prego, bada ai Myarman e a lui.”

“Mi curerò di lui e degli animali come se fossi tu, hai la mia parola, Adam.” Rispose, trattenendo l’amaro pianto dell’addio nella sua anima. 

Adam accarezzò sul volto L’Allaghén,  poi, con una sofferenza che lo bruciò, volse gli volse le spalle e salì nell’Astronave. Ora tutto si era compiuto. 

II

Nel suo mondo il Giovane Allaghén non era sicuro di ciò che era diventato.

Il piccolo Smaointe nero, creatura giunta da chissà quale  sua memoria, lo accompagnava nelle frequenti escursioni oltre l’orizzonte del Grande Albero.  Un prato che si fondeva con la luce e tutt’intorno di filamenti familiari verde-bluastri che galleggiavano fra terra e cielo assieme a lui, raggi dell’Esperienza.  Non era solo in quel mondo perfetto. Altri come lui fluttuavano senza direzione.

“Sono morto?” chiese a un suo coesistente.

“Morto? Cosa intendi per morte?”

“Freddo, rigidità cadaverica, putrefazione del tuo contenitore.”

“No, se questo intendi per morte, non sei morto. Il tuo corpo è vivo e vegeto.”

“Perché lo sai tu e io no?”

“Perché anche tu lo sai. Ciò che noi sappiamo tu sai, ciò che tu sai noi sappiamo. Il tuo difetto è che ancora non te ne sei reso conto.”

“Di grazia, cosa dovrei capire?”

“La morte per noi non ha barriere, come la realtà. Passi da un corpo a un altro, da un’epoca a un’altra, da uno spazio a un altro, e lo fai senza renderti conto. Tutto questo non ha peso per noi. Sembra un gioco, poi per un po’ rientriamo qui, e vediamo tutto insieme, lo spazio, le ere, i corpi nei quali nasciamo.”

“Cosa c’entra con me e la mia presunta morte?”

“Perché è nella tua Esperienza, guardala.” Alzò un dito.

L’Allaghén, seguendo l’indice del suo Coesistente  – si chiamano così fra loro gli Allaghén, Coesistenti -  si specchiò nell’acqua di in un lago sospeso in cielo.

C’erano attorno alla sua immagine riflessa diverse florescenze luminose che veleggiavano sospese a metà fra il firmamento e la crosta terrestre. La sua la vide subito. Era una specie di medusa marina, un fiore corpulento, dai petali spessi che si muovevano come le pinne di una balena. Aveva pingui filamenti che s’intrecciavano a quelli delle altre essenze semiliquide, più esili. A ogni urto di tentacoli, quelli più magri s’ispessivano, poco a poco.

“Santo cielo, com’è lenta e paffuta! Perché la mia Esperienza è grassa?”

“Si è nutrita molto. E ora le altre mangiano da lei.”

“È  pesante!”

“Per questo la tua mente si muove lenta. Segue il passo della tua Esperienza. L’emozione dell’Uomo ti ha irraggiato nutrimento, rimpinguandola. Ma ti ha anche appesantito l’anima. Ora sei carico di informazioni, e non riesci a stare qui con noi come uno di noi.”

“Ma non capisco cosa c’entri la mia Esperienza col fatto che io non mi senta vivo!”

“Non puoi sentirti vivo, perché tu sei vivo.”

“Non capisco, santo Cielo, perché non m’aiutate?”

“Ti sentiresti morto, se fossi morto?”

“I morti non “si sentono”, perché appunto, sono morti.”

“Allora non rimane che pensare una cosa, a rigor di logica.”

“Sono vivo in quanto non potrei essere qui a pormi simili domande?”

“A rigor di logica, sì.”

Stava lì, aspettando che la sua anima si alleggerisse dell’Esperienza  appesantita.

III

I suoi occhi, aprendosi, scorsero la pianura di neve, spezzata all’orizzonte dal mare del Nord. Un vento ghiacciato lanciava i cristalli di salsedine come aghi, e respirarli faceva un male bestia.

“Montiamo la tenda?”

“No, ragazzo mio, fa troppo freddo, e da queste parti non è consigliabile farsi notare troppo.”

Seguiva i movimenti del Primo Uomo, mentre si calava lo zaino dalle spalle.

“Come dormiremo, allora, questa notte?”

“Costruiremo una casa di ghiaccio.” Sotto gli occhi sorpresi dell’Allaghén, Adam estrasse alcuni strani arnesi dalla sua zavorra. Pioli e una lunga sega a due manici.

“Vieni, misuriamo l’area necessaria per la casa.” gli disse,  Piantò un piolo al centro e tracciò un perimetri con altri pioli, e cominciò a battere la neve all’interno della circonferenza. Poi su una duna nelle vicinanze maneggiò la neve sino a ricavare blocchi compatti . L’Allaghén lo imitava, modellando i mattoni di ghiaccio come gli aveva insegnato. Posero uno sull’altro i mattoni, seguendo il cerchio. L’Allaghén li trasportava con la slitta, perché non poteva sollevarli a mano come l’Uomo. Ci volle del tempo, ma la casa fu pronta.

“Bella!” esclamò la creatura “Non si vede da lontano.”

“È questo il suo scopo principale. La tundra di Yhartakar è battuta da grossi Holmyr, predatori dalla pelliccia bianca, capaci di correre sul ghiaccio e stare su due piedi all’occorrenza. Una volta mi  ha sorpreso un Holmyr maschio, si alzato per  minacciarmi, pronto ad affrontarmi, era alto più di due metri e mezzo.”

“E vi siete scontrati?”

“No, per fortuna la mia decisione di vendere cara la pelle era più solida della sua di uccidermi. Se ne è andato senza colpire.”

“Non ne ho mai visto uno di questi animali.”

“Ne avrai occasione. Non sono rari e ci mancano alcuni giorni di cammino prima di uscire da  questo luogo.”

“Cosa devo fare se li incontreremo?”

“Fai quello che faccio io. Ma se mi dovessi perdere di vista, sii deciso, non voltar mai le spalle, guardali sempre negli occhi. Se ti vengono addosso, cerca di rimanere immobile, ti scambieranno per qualcosa di inanimato e perderanno interesse.”

“Domani ti farò vedere come ci si comporta con dei bestioni che ti vogliono per cena” sorrise, preparando il letto.

“Hai fame? Preparo la zuppa.”

“Sì, molta fame.”

La zuppa era davvero buona. Il giovane amico dell’Uomo ci andava pazzo. Il pane raffermo che ci vi si ammorbidiva era un toccasana per il suo stomaco contratto dall’appetito. A letto, con la testa sul petto dell’Uomo, aveva fra le mani una tavoletta di pietra levigata alla perfezione, e sottile come un foglio di carta. Adam gli colse il polso e indirizzò la sua mano in un movimento rettilineo e di seguito uno circolare Il gessetto disegnò una barra.

“Am” disse l’Uomo “è la sillaba che compone il suono principale della parola “Uomo”.”

L’Allaghén ripeté il gesto, volendo fare da solo. Adam gli sorrise: “Ottimo.” Guardando il risultato.

Altro movimento, un’asta seguita da una specie di triangolo senza il lato inferiore: “Al”

“La prima sillaba di Allaghén.” Gli spiegò.

“Perché  non ho mai visto gli Uomini farlo? Perché pensi sia giusto che io sappia leggere?”

“Anche se un Uomo non usa questo genere di comunicazione, lo usano altri popoli. Tu sei molto curioso, e saper fare una cosa, è meglio di non saperla fare. Tu avrai le stesse conoscenze che ho io, quelle che posso darti, spero solo che le aumenterai.”

“Quante scritture conosci?”

“Oh, non le conto più!” sospirò Adam.

IV

Mentre il gelo condensato rendeva opaca l’alba sulla tundra, l’Allaghén si risvegliò nella sua tana di mattoni nivei. Si scrollò il sacco a pelo. Non era la coperta soffice cucita insieme a Adam, con i disegni degli animali incontrati durante il loro viaggio.  Ma quel ceruleo involucro era funzionale e compatto, adatto allo zaino. Uscì . Vi fu un momento in cui nella nebbia parve materializzarsi una figura. Una figura umana. Corse arrancando sulla neve alta. Ma si accorse che la visione era solo il fremere dell’aria, un miraggio. Sbuffò, disilluso.

Calzò lo zaino, guardò per l’ultima volta la sua casa di ghiaccio, Adam sarebbe stato contento di vedere che se l’era cavata  da solo. Glielo avrebbe raccontato, una volta tornati assieme. Ma ora non poteva indugiare su simili pensieri, gli mettevano melanconia e lui aveva bisogno di forza, il cammino era ancora lungo.

L’astronave si era posata oltre la foresta, nella radura. Lui sentiva pulsare i luoghi già attraversati, sentiva le voci sua e di Adam, che erano rimaste lì. Il sentiero era tracciato dalle emozioni che l’Allaghén visse con l’Uomo, nell’infinità del biancore.

Tornò laddove si erano lasciati.

C’erano degli alberi dalle cime acuminate, senza rami. Erano stati bruciati dall’incombere dell’Astronave. Il dolore tornò. Fu violento come quando visse il distacco. Cadde carponi. Un rivo di saliva scese dalle labbra, con un pianto irrefrenabile. Grattò la terra sino a scorticarsi le dita.

“Hai capito, adesso?” gli parlò una voce familiare.

Alzò gli occhi e vide i filamenti dell’Esperienza che fluttuavano dai loro globi luminescenti.

“Cosa vuoi dire?”

“Non puoi oltrepassare il confine, adesso.”

“Confine? Di quale confine parli?”

“Da qui puoi vedere meglio.”

L’Allaghén si trasformò in luce.

Tornò in quello strano cielo, un mondo al di là dell’Erat, ma non nella Creazione, nè nella Luce. Un mondo dal quale si potevano contemplare tutti gli altri mondi in cui si era andati.

“Aspettiamole.” Disse il coesistente all’Allaghén.

“Cosa dovremmo aspettare?”

“Fra un po’ saranno qui. Eccole!”

All’orizzonte comparve uno sciame di bolle simili a involucri liquidi  che galleggiavano a mezz’aria, talora atterrando e rimbalzando.

L’Erat viaggia sospesa in aria, con un andamento regolare, non pare turbata dalle correnti di vento o dalle amenità del terreno. Dal punto di vista dei due Allaghén la bolla era perfettamente visibile. Il Nostro, nel momento che l’ebbe vicina, la sfiorò con la mano.

Si ritrovarono nell’Astronave.

“Non è l’Erat!” disse, turbato dalla sorpresa.

“Cosa intendi quando dici Erat?”

“Il mondo dove viveva Adam.”

“Quindi non intendi il mondo dell’Erat, intendi il mondo di Adam. A rigor di logica, se non è uno è l’altro.”

“Adam, sì. L’Erat l’ho conosciuta attraverso di lui.”

“Allora non ti spaventare, questo, adesso, è il mondo di Adam.”

“Siamo davvero qui?”

“No, siamo nell’Esperienza di Adam, nelle sue frequenze personali della memoria.”

All’improvviso il rumore di una marcia attirò l’attenzione dei due. Per istinto, vedendo due grosse sagome nere avanzare da un tunnel, l’Allaghén cercò un rifugio. Ma le pareti erano lisce e dovette rimanere immobile nella speranza di non essere visto. Quando mise a fuoco le due figure cacciò un urlo soffocato dalla paura e dalla sorpresa. Una di queste, era Adam, ma camminava in modo imperioso, chiuso in un’uniforme nera, con un mantello scuro che gli arrivava alle caviglie.

“Abbiamo avuto problemi al Sito Numero Uno, oggi.” Diceva al suo secondo, un altro Uomo, vestito allo stesso modo, che lo seguiva con rispettosa distanza.

“Adam! Adam, aspetta!” gridò.

Ma le figure proseguirono, entrando nell’oscurità del tunnel.

“Adam non lasciarmi!”

Giunte alla fine del corridoio, il Primo Uomo s’arrestò, voltandosi indietro.

“Tutto bene, Maestà?” chiese il suo secondo.

“Non hai sentito, Gharmir?”

“Sentito cosa, mio Signore?”

“Nulla, nulla, mi era sembrato un rumore.” Disse, guardandosi attorno “Ma andiamo, cerchiamo di arrivare al Tempio prima di mezzogiorno.”.

“Rumore?”

“Sì, hai presente lo stridore di piatti metallici, che si sente nei pressi di una centralina elettrica?”

“Può essere, siamo vicini a un generatore.”

“Sarà così.”

I due ripresero il cammino.

L’Allaghén rimase di pietra.

“Non prendertela. Questa è solo l’Esperienza di Adam, non la sua Astronave. Siete su due mondi diversi, ma nello stesso piano di sensazioni.” Fece il suo amico.

“Ma chi era? Perché era vestito in quel modo? Perché aveva occhi così freddi?”

“Perché adesso è il Re Adam, capo degli Uomini.”

“Gli Uomini non hanno un capo!”

“Adesso sono cambiate molte cose per loro.”

Una fila di luci, fiaccole, innalzate da braccia umane, procedevano in una notte afosa. La tundra, la neve, i grandi Myarmar erano scomparsi. Catrame nero, che risuonava sotto gli stivali della marcia.

“Re dell’Erat, Signore dei Mondi, rendiamo libera questo mondo.

Ai Cieli di Dio leviamo la Gloria di questo Trionfo.

Re dell’Erat, Adam, corona di Dio posata nella Grazia Divina

Che liberasti l’Erat e l’Adamath dall’ira del tradimento

Ti ringraziamo, sei la luce e la fede senza fine

E la giustizia di Dio nostro Signore innalzi a stato su di noi

Signore dio, abbi pietà della nostra collera,

beato nei Cieli colui che reca la tua invitta corona sull’Erat.”

V

L’Allaghén rimasi in silenzio, poi chiese al suo amico: “Non ho mai sentito gli Uomini cantare cose simili e con questa strana voce, tutti insieme. Sembra il tuono della pioggia o il fragore d’una valanga.”

“Non sono più cantori solitari, ma cantano riuniti in cori.”

“Perché?”

“A questo dovrai dare tu una risposta. Io so solo che questo che senti è l’inno del trionfo.”

“Trionfo? Ma di cosa parli? Cos’è un trionfo?”

“Quando un Re vince la sua guerra.”

A quel punto un ghiaccio improvviso lo pervase.

“Quando un Re vince la sua guerra” ripeté.

Si voltò sul suo amico: “Chi sei tu?”

Non gli rispose.

Il giovane Allaghén ebbe un presagio, come un formicolio lungo la spina dorsale.

“Cosa c’è in fondo al tunnel? Dove è entrato Adam con l’altro Uomo?”

Silenzio

“Perché fai così?”

Scattò nel corridoio, verso il portone.

“E’ chiuso, si apre solo per far passare Adam.” Sentì dirsi da dietro.

“Appunto, questo non è un luogo, ma l’Esperienza di Adam.” Replicò.

“Bravo, stai cominciando a capire come funziona.” Sussurrò il suo amico nella mente dell’Allaghén.

La porta era una specie di membrana simile a un liquido corposo, facile da oltrepassare, sebbene sembrasse in tutto e per tutto un arcigno confine sbarrato.

Un abisso si aprì sotto i piedi. Nessun pavimento, escluso un corridoio sospeso, su una sala che sprofondava nelle viscere dell’Astronave. Si guardò attorno. Sulla volta del soffitto c’erano degli alveoli simili a nidi di vespa. Poi scorse il vuoto sotto di sé. Acqua. C’erano quattro grandi piscine, dal cui fondale proveniva una lieve luminosità bluastra. E sul fondale sembravano esservi altri alveoli, identici a quelli del soffitto. Sulle pareti c’era un’iscrizione. Non era nessuna delle scritture che Adam gli insegnò. Ma somigliava molto a una di esse. Le lettere parevano comporre la sigla:  “SD01” poi su un pannello riuscì a distinguere le parole : “Sito di Detenzione Uno” Era una lingua sconosciuta ma somigliante a una che imparò tempo prima da Adam, una delle più antiche che gli venne insegnata. Perciò riuscì a leggere.

Si voltò di scatto sul suo amico: “Adesso devi dirmi chi sei tu, e cos’è questo luogo!”

Ma quello che vide dietro di se non era un Allaghén, ma una specie di ramo secco, che si era polverizzato.

Al suo posto comparve un contenitore metallico, dal diametro ottagonale. Su di esso un’altra scritta in quella strana lingua così familiare:

“Cilindro Numero Sei. Allaghén SD1A6, catturato nell’anno Uno del Ciclo di Ayarta, in data Antay, terza ora.”

L’Allaghén indietreggiò inorridendo: “Ma che significa? Che razza di scherzo mi stai tirando?”

Poi però molti altri cilindri si materializzarono, risalendo dal fondo della piscina. Fuoriuscivano dagli alveoli, uno dopo l’altro:

Allaghén SD1A1 data di cattura anno Uno del Ciclo di Ayarta, in data Antay, terza ora. Luogo di cattura: Mundai, sistema di Orphon.

Data di stoccaggio: anno medesimo, Manunate, seconda ora-

Allaghén SD1A2 data di cattura anno Uno del Ciclo di Ayarta, in data Antay, terza ora. Luogo di cattura: Mundai, sistema di Orphon.

Data di stoccaggio: anno medesimo, Manunate, seconda ora-

Allaghén SD1A3 data di cattura anno Uno del Ciclo di Ayarta, in data Antay, terza ora. Luogo di cattura: Mundai, sistema di Orphon.

Data di stoccaggio: anno medesimo, Manunate, seconda ora-

“Quando un Re vince la sua guerra.” Gli ritornarono quelle parole nella sua visione da incubo.

“Siete tutti  i coesistenti che avevo incontrato di là?” chiese

Un sottile anelito gli rispose: “Stai cominciando a muovere i tuoi primi passi in un altro mondo.”

“Dunque eri morto? Come facevi a rispondermi?” si rivolse all’amico scomparso in quello strano modo

“A rigor di logica, se sono morto non avrei potuto risponderti, né starti vicino.”

“Allora cosa sta accadendo?” si spaventò, indietreggiando sul corridoio.

“Usa il cervello. I morti non hanno bisogno di spiegazioni, né di compagnia.”

“Dunque tu non eri morto prima?”

“E’ illogico che un morto ti spieghi cosa stia succedendo.”

“Perché mai?”

“Perché quando lasci un contenitore e una vita, il tempo cessa di esistere, non ti serve più.”

“Perciò non avrei potuto parlare con un morto, vero?”

“Vero, a rigor di logica.”

“Dunque se non era morto, per forza doveva essere vivo. Ma io ti “vedevo” , dunque se eri morto, non mi potevi parlare, allora non rimane che una spiegazione: tu non sei il Coesistente che sta in uno di queste tombe, ma sei la sua Esperienza che si è intrecciata alla mia. Dunque sei me?”

“La logica funziona se la adoperi.”

“Tutti voi avete toccato la mia e io la vostra, quello che vedo, dunque è la trasmissione della vostra Esperienza nella mia.”

“Hai capito come fare. Bene.”

“Ma voi siete tutti “ respirò ansioso “tutti morti?”

“Morti? Prima che tu arrivassi abbiamo cominciato a stare male, il buio di queste bare è orrendo, e c’è qualcosa che arriva da fuori, sfibrando la nostra luce. Ci rubava i fotoni, quando tentavamo di reagire all’orrore dell’apatia e della noia. Sì, siamo morti così, qui dentro.”

“Dunque sto parlando con l’Esperienza, la vostra Esperienza, vero?”

“Proprio così.”

L’Allaghén si chinò sui talloni, stanco di riflettere, decidere, capire.

Alessandra Biagini Scalambra