LA CASA NEL TEMPO

1. Vita sospesa

Il vento soffiava forte quella notte e la pioggia batteva violenta sulle grandi vetrate del salone. Claudia si strinse nella calda vestaglia, rannicchiata sulla poltrona. Il fuoco crepitava nel camino, riflettendo una calda luce sui suoi capelli rosso rame, che mettevano in risalto il dolce viso pallido. Tuttavia il calore che emanava non riusciva a scaldarle l’anima.

L’enorme villa dove era andata ad abitare, dopo le nozze con Roberto, la metteva a disagio, facendo riemergere in lei strane sensazioni di inquietudine e tristezza. Poi c’erano i lamenti, quei pianti incessanti che, a volte, sentiva nel pieno della notte e che la svegliavano di soprassalto. Ne aveva parlato con il marito, durante una delle loro telefonate, ma lui l’aveva rassicurata spiegandole che poteva accadere, visto che la villa era molto vecchia e sull’isola batteva spesso un vento impetuoso che, soffiando sui battenti, provocava strani rumori. Non per niente l’isola si chiamava Malu Bentu, vento cattivo.

Dopo il viaggio di nozze Roberto era dovuto partire in Francia per lavoro, ma lei aveva deciso di restare a casa. Ripensandoci adesso avrebbe preferito andare con lui e affrontare il terrore di volare. Si consolò all’idea che il giorno dopo sarebbe arrivato suo fratello. Il battello privato lo avrebbe condotto sull’isola e lei sarebbe andato a prenderlo in auto, giù al molo. Avrebbero passato qualche giorno insieme. Erano anni che non si parlavano, avevano avuto un brutto litigio, ma ora non ne ricordava più il motivo. Che importanza poteva avere? Tutto era ormai passato.

Sorseggiò l’ultimo goccio di tè e posò la tazza sul tavolino accanto. Chiuse gli occhi lasciandosi andare ai ricordi di quando erano bambini, delle corse nei campi e dei pomeriggi sulla riva del lago Baratz dove speravano di vedere le testuggini scivolare via sul fondo. Poi il buio invase le immagini di quei bambini felici e si addormentò.

Un rumore improvvisò la fece sobbalzare. Era sicura di aver sentito la porta chiudersi.

«Chi c’è?».

Nessuno rispose. Si alzò dalla poltrona, aprì la porta affacciandosi sul corridoio.

«Greta sei tu?». Nessuno rispose.

Richiuse la porta. Avvicinandosi alla poltrona notò che la tazza non era più sul tavolino, al suo posto c’era un piccolo contenitore cilindrico di plastica trasparente. Forse era davvero entrata la governante, ma perché lo aveva lasciato lì?

Bighellonò per un attimo rigirandoselo tra le dita, era già la seconda volta che trovava un contenitore come quello, e ogni volta che vedeva Greta si dimenticava di chiedergliene la provenienza. Lo rimise sul tavolino e si sedette allo scrittoio, prese in mano il carboncino e riprese a lavorare al suo disegno, il primo piano di un neonato bellissimo. Chissà come sarebbe stato il suo, pensò accarezzandosi il ventre. Solo Roberto sapeva della sua gravidanza, l’indomani lo avrebbe detto anche a suo fratello.

Mentre sfumava col polpastrello le gote del viso nel ritratto, le parve di udire un vociare provenire dall’andito e rimase in ascolto. No, non veniva dalla porta, ma dalla stanza accanto. Si alzò e appoggiò l’orecchio alla parete.

«Voglio andar via di qui, voglio andar via di qui».

Continuava a ripetere la prima voce, quella di una donna. La seconda voce era quella di un uomo, ma non riusciva a capire ciò che diceva, avvertiva solo un borbottio cupo. Un forte colpo sulla parete la fece arretrare spaventata. Si premette la mano sulla bocca per trattenere l’urlo che premeva per uscirle dalla gola, sporcandosi di carboncino la guancia e le labbra.

Quello non era il vento! Sapeva bene di essere sola sull’isola, certo a parte Greta e suo marito Saverio, che aveva il compito di occuparsi del giardino, e quelle non erano le loro voci. Ma allora? Solo per un istante pensò ai fantasmi e rabbrividì. Diede uno sguardo al pendolo, le 22.00. Chiamò con l’interfono la governante, che a quell’ora doveva essersi già ritirata nella dependance.

«Greta, puoi portarmi il cordless per favore? Vorrei chiamare mio fratello» chiese evitando di dire che sentiva delle voci, non voleva allarmarla.

«Ma sono le 10.00 di notte, ne è sicura?».

«Assolutamente, per favore faccia presto, e mi scusi se la disturbo e la costringo ad uscire con questo tempo, ma è urgente».

Non aveva ben capito come mai avessero installato la linea telefonica, solo nella dependance. Che idiozia! Sapeva bene che non avrebbe potuto utilizzare neppure il cellulare, perché sull’isola non c’era campo e in più non riusciva più a trovarlo.

Accostò ancora l’orecchio alla parete, adesso si sentiva un leggero lamento, la donna nell’altra stanza stava piangendo. Prese coraggio e decise di andare a controllare, ma proprio mentre afferrava la maniglia e apriva la porta si trovò davanti la governante.

«Oh cielo!» esclamarono contemporaneamente per la sorpresa e poi risero.

«Ecco qua il telefono, ma dove stava andando?».

«Ho sentito dei rumori nella stanza accanto» disse, ora più serena per non dover affrontare la situazione da sola.

«Dei rumori? Faccia la sua chiamata, io intanto vado a dare un’occhiata».

Claudia rimase in attesa col telefono in mano, sentì i passi della governante allontanarsi e poi più nulla. Decise di digitare il numero del fratello e rimase in attesa, ma una voce registrata le comunicava che il numero era inesistente. Provò ancora, credendo di aver sbagliato a digitare, ma la voce meccanica ripeté il suo messaggio.

Greta rientrò nella stanza mentre lei frugava nei cassetti dello scrittoio, in cerca della rubrica.

«Nella stanza è tutto a posto, signora. Ha fatto la sua chiamata?».

«Come tutto a posto? Ne è sicura?».

«Certo stia tranquilla. Avrà sentito il vento. Guardi che ha il viso sporco di carboncino» l’avvertì sorridente.

Il vento un accidenti! Quelle erano voci! Pensò.

«Ha fatto la sua chiamata?».

«No, deve avere ancora un attimo di pazienza, Greta, ma non riesco a trovare il numero di mio fratello. Eppure lo sapevo a memoria, non capisco…».

«Dia pure a me signora, ho io tutti i numeri utili» disse la donna, togliendo dalla tasca del suo camice candido, una piccola agendina rossa.

Claudia la osservò digitare il numero sulla tastiera, domandandosi perché indossasse quella divisa che la faceva assomigliare tanto ad una vecchia dottoressa.

«Greta, dovresti trovare qualcosa di più allegro da indossare e buttare via questo camice» le disse prendendole il telefono dalla mano e portandoselo all’orecchio…

Attese qualche istante prima che dall’altro capo rispondesse una voce femminile, che la lasciò un attimo smarrita.

«Pronto, sono Claudia, posso parlare con Michele?».

La donna non disse nulla, si sentì un leggero fruscio e poi, finalmente, la voce del fratello.

«Pronto, Claudia?».

«Ciao fratellone! Chi mi ha risposto al telefono?  Non mi è sembrata Sara» chiese preoccupata.

«No, non era lei. Ti racconterò tutto domani, ma dimmi di te, come stai? Perché mi hai chiamato a quest’ora?».

Claudia decise di non parlargli delle voci, pensando di aver preso un abbaglio, visto che Greta aveva controllato…

«Volevo sapere a che ora pensi di arrivare».

«Non so ancora, ma stai tranquilla ti chiamerò, prima di partire da casa. D’accordo?».

«Va bene, non vedo l’ora! Ho una grande notizia da darti!» esclamò giovale.

«Anche io non vedo l’ora di abbracciarti. Adesso vai a dormire, ci vediamo domani».

Si salutarono e chiusero la comunicazione.

L’ombra dei fantasmi si era allontanata, ripensando alla notizia della sua gravidanza.

«Ma che bel sorriso radioso» le disse Greta. «Posso sapere anche io la bella notizia?».

Claudia ci pensò su un momento.

«E va bene, tanto domani lo sapranno tutti, le chiedo solo di mantenere il segreto per qualche ora».

«Stia tranquilla. Allora, questo segreto?» chiese avvicinandosi.

«Aspetto un bimbo» le rivelò raggiante.

Il sorriso sul viso di Greta morì all’istante, sostituito da un’espressione preoccupata e seria.

«Che succede Greta? Tutto bene? Non sei contenta per noi?».

Greta si riprese, sforzandosi di sorridere.

«Ma certo signora, perché non dovrei esserlo? Adesso devo andare, il mio turno è finito, ci vediamo domani».

“Turno?”, pensò dubbiosa Claudia.

Si sentiva stanca, i rumori al di là del muro erano cessati e decise di andare a letto.

Quando spegneva la lampada sul comodino e restava al buio, avvertiva la fastidiosa sensazione di stare in uno striminzito lettino, anziché nel suo grande e comodo letto matrimoniale. Decise di lasciare la luce accesa. Si sentiva leggermente stordita, chiuse gli occhi e si abbandonò al torpore, fino ad addormentarsi.

Fu svegliata all’improvviso da una voce che la chiamava, mentre una mano le scrollava delicatamente una spalla.

«Claudia, Claudia, svegliati. Devi prendere questa pillola, poi potrai rimetterti a dormire» disse la donna che aveva davanti.

Claudia si drizzò sul letto.

«Chi diavolo sei tu?» domandò spaventata, cercando di tirarsi su le striminzite lenzuola. La sensazione del letto singolo era tornata, nonostante la luce.

«Sono Maura, su coraggio, prenda questa» disse porgendole un piccolo contenitore di plastica, identico a quello che già le era capitato di trovare in giro.

«Che cos’è? Chi sei? Lasciami in pace, non prendo nessuna pastiglia!» esclamò e con una energica manata fece volare dalla mano dell’intrusa il bicchierino con la pillola.

«Su non fare così. Devi prenderla» insisté spazientita la donna, chinandosi a prendere il medicinale da terra.

Claudia urlò con quanto fiato aveva in gola, cercando di difendersi, mentre l’altra cercava di inserirle la pillola in bocca. La strinse forte per le braccia, rannicchiò le gambe e scalciò, con tutte le sue forze, sull’addome della sconosciuta, che rovinò sul pavimento, senza respiro.

Claudia si ritrasse su quello che avvertiva come uno striminzito lettino e iniziò a urlare. Chissà se Greta e Saverio l’avessero potuta sentire.

L’intrusa si alzò faticosamente e si diresse verso la porta, dandole l’illusione che stesse fuggendo, ma invece premette il pulsante dell’interfono. Dalla scatoletta metallica giunse la voce di Saverio. Claudia si ammutolì confusa, non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

«Che c’è?».

«Rifiuta di prenderla e mi ha scalciato, questa cavalla pazza! Ti avevo detto che era meglio mettergliela nel cibo, come abbiamo sempre fatto».

«Ok, stiamo arrivando» le comunicò Saverio.

La donna uscì e lei sentì lo scatto della serratura. L’aveva chiusa dentro!

Atterrita, non ebbe la forza di reagire quando piombarono nella stanza la donna, Saverio e il suo amato Roberto, che credeva lontano.

Mentre due la tenevano ferma, suo marito le inseriva un ago nel braccio. Il liquido non tardò a fare effetto, perse i sensi aggrappata al pensiero del piccolo che teneva in grembo.

2. Verità

«Buon giorno» salutò Michele entrando nello studio del medico.

«Finalmente è arrivato!» esclamò l’altro andandogli incontro per stringergli la mano.

«Quando è successo?» chiese Michele, speranzoso, mentre si accomodava.

«Ieri mattina» rispose con tono grave.

«Mi sembra preoccupato dottore. L’ottimismo che aveva quando mi ha chiamato, dove è finito?».

«Purtroppo il risveglio dallo stato catatonico nel quale era caduta dopo l’incidente, non è buono come speravo».

«Che significa?».

«Claudia è tornata, ma a trentacinque anni fa e per l’esattezza è tornata indietro ad undici mesi prima del fatidico incidente».

«Come è possibile?» chiese in un filo di voce accasciandosi, distrutto, sulla poltrona.

«È convinta di trovarsi alla villa, non vede il vero ambiente che la circonda, crede di essere a casa sua. Greta, l’infermiere che la segue durante il turno serale, mi ha riferito che dice di essere incinta. Si è svegliata dalla catatonia nel momento della sua vita in cui ha scoperto di portare in grembo il suo bambino».

«Mio Dio… cosa pensa di fare, dottore?».

«Riportarla alla realtà, per questo voglio che la incontri».

«Va bene, farò tutto quello che mi dice».

«Andiamo, il sedativo che le ho somministrato all’alba, ormai deve aver finito il suo effetto».

«Sedativo?» domandò Michele, seguendo il medico nel vasto corridoio della clinica psichiatrica, che portava alla corsia dove era tenuta in degenza Claudia dal 17 novembre di trentacinque anni prima.

«Non ha riconosciuto l’infermiera incaricata di darle il farmaco delle 5.00, scambiandola per un’intrusa, l’ha picchiata e siamo dovuti intervenire. Come le ho detto, vive in una realtà tutta sua. Una vita sospesa tra i ricordi di ciò che è stato. Crede che Greta sia la governante, l’infermiere suo marito e dulcis in fundo, crede che io sia Roberto».

«Cosa devo dirle?» chiese quando furono davanti alla porta della stanza della sorella.

«Deve riportarla alla realtà. L’aiuti a ricordare, ma con amore ed estrema pazienza. Lasci parlare lei, faccia in modo che sia lei a porle domande, si limiti a risponderle. Si aspetta un giovane fratello di trent’anni, non uno di sessantacinque». Il medico fece scattare la serratura passando la carta magnetica nel dispositivo sulla porta, che si aprì schiudendosi leggermente.

Michele trasse un profondo sospiro, la spinse ed entrò.

Claudia sedeva serena al piccolo tavolo, dove stava trafficando con un foglio e un carboncino. Li aveva chiesti a Greta, praticamente appena si fu risvegliata. Sollevò il viso verso l’uomo che era appena entrato.

«Oh mio Dio, papà! Come hai fatto ad arrivare fino a qui? Perché non mi hai avvisata, sarei venuta a prenderti» disse raggiante, andandogli incontro per abbracciarlo.

«Ciao Ravanello» la salutò Michele, commosso.

A quel punto lei si fermò, osservandolo con più intensità. Dischiuse la bocca per permettere all’aria di affluire meglio ai polmoni. Il suo sorriso aveva lasciato il posto ad un’espressione di incredulità. Solo suo fratello la chiamava così per via del colore dei suoi capelli.

«Michele… ma cosa ti è successo?» chiese in un filo di voce, mentre le sue gambe iniziavano a cedere.

«Vieni cara, sediamoci».

La condusse verso le due poltroncine in un angolo della stanza. Parve riprendersi.

«Sono contenta che tu sia qui. Vuoi che chieda a Greta di accendere il camino, io sento un po’ di freddo, tu no?» chiese al fratello indicando la parete vuota, dipinta in anonimo color verde chiaro.

«No, grazie. Sto bene così». Sorrise assecondandola.

«Va bene, ho tante cose da raccontarti» disse cercando di aggrapparsi disperatamente alla sua fantasia.

«Dimmi cara, sono qui per te».

Le prese affettuosamente la mano, ma a quel contatto lei si ritrasse e si alzò dalla poltrona. Guardò il suo disegno, sul tavolo e il sorriso le riaffiorò sulle labbra.

«Sì, ho una notizia grandiosa da darti», disse ritornando a sedersi. «Aspetto un bimbo!» esclamò felice.

«Ne sei sicura?» domandò dolcemente.

«Certo che ne sono sicura. Vuoi che non sia sicura di essere incinta per la prima volta? E poi il medico me lo ha confermato, sono in attesa da tre settimane»  gli disse rilassandosi sulla poltrona.

«Claudia, ma tu hai già avuto il bambino, non ricordi?» osò dirle, trattenendo il fiato in attesa della sua reazione.

Lo sguardo di lei si perse per un attimo nel panico, ma poi tornò a sorridere.

«E sentiamo dove sarebbe adesso? Che sciocchezza»  disse voltando il viso verso il caminetto immaginario.

«È morto…» disse tutto d’un fiato con un leggero tremore sul mento. Sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, ma si sforzò di non piangere.

Claudia lo fissò negli occhi. « È una bugia!».

«No tesoro, non lo è…».

«È una bugia!». Gli urlò in faccia.

«Non ricordi la barca?».

«Quale barca? No, non ricordo nessuna barca». Ma iniziava a stropicciarsi un lembo del leggero vestito che indossava. Il suo sguardo andava di qua e di là, ogni tanto incontrando lo sguardo di lui.

«Tesoro ascoltami. Ricordi la gita in barca che tu e Roberto avete fatto? Era una bella giornata e volevate fare un picnic in barca per la festa di Ogni Santi».

Il viso di Claudia parve rischiararsi.

«Sì, il picnic, lo abbiamo in programma. Per allora il bimbo sarà già nato, faremo una bellissima gita»  gli disse sorridente.

«Claudia, quella gita l’avete già fatta. Non ricordi?» insistette lui.

«Roberto sta male… devo aiutarlo…» disse triste.

«Sì tesoro, purtroppo ha avuto un infarto».

«Il bambino… ho appoggiato il bimbo sul sedile per soccorrere Roberto, poi mi sono voltata e il mio piccolo non c’era più…» disse, persa nei ricordi, ma senza più tristezza.

«Esatto cara, proprio così».

«Sì, è stato proprio un terribile incubo, ma ora è passato. Saranno gli ormoni in esubero a farmi avere questi incubi». Sorrise e si accarezzò il ventre.

«No, Claudia. È tutto vero. È tutto già successo trentacinque anni fa».

Claudia si portò le mani sulle orecchie e strinse forte, fissando il fratello.

«Adesso basta!» esclamò risoluta.

Michele trasse dalla tasca della giacca il porta sigarette in argento, lucido come uno specchio, e glielo mise davanti al viso.

«È tutto già successo, Claudia, tanto, tanto tempo fa. Roberto ha avuto un infarto e tu hai appoggiato il bambino sul sedile…».

Claudia guardava l’immagine riflessa sulla superficie a specchio. Non riconosceva quel viso, ma in fondo sapeva che le apparteneva. Passò piano le dita lungo le lievi rughe che si andavano ad insediare intorno agli occhi e sulla fronte. Non era più una giovane donna di ventidue anni. Guardò il fratello con un fremito del mento che accompagnò due lacrimoni che le traboccarono sulle guance.

«Il piccolo è scivolato nell’acqua… io non mi sono accorta…».

Su quelle parole il suo sguardo si fissò vuoto, negli occhi di Michele.

«Claudia? Tesoro?».

Ma lei continuava a fissarlo con occhi di vetro.

«No, no, no. Claudia! Non di nuovo! Devi combattere, ti prego, cerca di reagire!» la implorò strattonandola leggermente.

«Sono qui con te sorellina…».

Michele l’abbracciò forte, lei non rispose all’abbraccio, mentre un rivolo di bava le colava da un angolo della bocca.

La sua mente non poteva sopravvivere a quel ricordo lacerante. Aveva un’unica scelta…

Spegnersi di nuovo.

Annamaria Ferrarese