FAI LA TUA SCELTA

Premessa

Ispirato a Violante Carroz, detta la “sanguinaria”. Tale soprannome lo ebbe per il modo in cui fu costretta a governare per poter avere il rispetto dei suoi sudditi cagliaritani, che non vedevano di buon occhio il fatto che a regnare su di loro fosse una giovane donna. La sua vita fu segnata da molte tragedie, vide i suoi cari morire uno dopo l’altro, compresi i due figli. Nel 1508 Violante incontra e si innamora di un uomo, la passione è talmente travolgente che chiede al suo confessore, il parroco di Quirra Giovanni Castangia, di annullare il suo terzo matrimonio. Il parroco rifiuta di aiutarla e Violante si vendica. Ordina la sua cattura e dopo averlo fatto impiccare a tradimento, lascia il suo corpo appeso sulla torre del castello di San Michele di Cagliari, per due settimane, come monito per i cittadini irrispettosi.

FAI LA TUA SCELTA

Dopo una splendida carriera universitaria ed essersi laureata con 110 e lode in architettura, Anna aveva avuto la fortuna di essere stata assunta dal dipartimento di Archeologia Sarda per il restauro del Chiostro di San Francesco di Stampace, prossima alle nozze, sarebbe dovuta essere al settimo cielo. Invidiata da chi le stava intorno, soprattutto dalle amiche, che tanto amiche non erano, nascondeva il serpeggiare di un profondo tormento per quello che il suo avvenire le prospettava. Non si riferiva al suo lavoro, oh no, quello andava alla grande, anche se non riusciva a goderne fino in fondo, ma si sentiva prigioniera di una relazione per lei ormai stantia e vuota.

Aveva conosciuto Marcello quando era ancora una ragazzina, rimasta orfana, era andata a vivere con la zia, sorella della madre e per non soccombere alla tristezza si era buttata a capofitto negli studi; lo aveva conosciuto tra i banchi del liceo artistico ed era diventata la sua ragazza. Non aveva mai prestato tanta attenzione a quell’amore, era più un passatempo per staccare dalle fatiche quotidiane, ma il tempo era passato, e ora si ritrovava legata a un uomo per il quale non provava niente, anzi ne era infastidita.

Come era potuto accadere? Quando era stato il momento in cui si era parlato di convolare a nozze? Forse se non avesse conosciuto Sandro, si sarebbe lasciata trascinare in quel matrimonio, al quale  avrebbe continuato a non prestare tanta attenzione… ma Sandro era li, costantemente nei suoi pensieri, costantemente sulla sua pelle…

Pensava a lui mentre con lo specillo, rifiniva il gesso per il restauro di uno dei piccoli leoni dello stemma dei Carroz, al quale lavorava con un collega.

«Sapevi che una delle leggende su Violante Carroz, la vede tra queste mura a espiare l’omicidio del vescovo di Quirra, che non le aveva concesso l’annullamento del matrimonio? Pare si fosse innamorata di un altro uomo» la informò Stefano.

«Sì conosco la sua travagliata storia, mi fa pena» rispose lei, che adesso poteva ben immaginare la sofferenza della Contessa. Almeno lei adesso era in pace.

«Pausa pranzo?»

«Non ho tanta fame.»

«Almeno riposati.»

«Ok.»

Si sedette sul mattone di cemento che usava come scalino, per lavorare più comodamente allo stemma e sospirò.

«Che hai? Sembri stanca.»

«Non ho dormito bene.»

«Dovresti mangiare qualcosa.»

«Lo so, ma ho lo stomaco chiuso.»

«Ti va una mela?»

«Ok, la preferisco al panino che mi sono portata. Grazie. Era il suo frutto preferito, lo sapevi?»

«Della Contessa? A dire il vero, no.»

Si avvicinò un’altra collega, per consumare il pasto con loro, Anna ne fu sollevata, almeno non sarebbe stata costretta a parlare, proprio non ne aveva voglia.

Sentì vibrare il cellulare che teneva nella tasca dei jeans e controllò il messaggio.

Sandro.

“Mi manchi”.

Un tuffo al cuore. Non aveva mai osato scriverle per non metterla in situazioni imbarazzanti. Cancellò subito il messaggio.

Si alzò e finse di telefonare per allontanarsi, sentiva il respiro affannarsi e non voleva dare spiegazioni per l’evidente stato di agitazione che quelle parole le avevano suscitato.

Passeggiò piano, passandosi la mela da una mano all’altra, pensando al suo destino, al quale non riusciva a ribellarsi.

Perché? Stava impazzendo. L’assalì la forte smania di andare via, voleva rifugiarsi nel suo piccolo appartamento, lontano da tutto e da tutti. Nascondersi in un luogo tranquillo dove sentirsi libera di lasciarsi andare alle sue emozioni, ai suoi nuovi sentimenti; e piangere, urlare, se ne aveva voglia… e ne aveva tanta voglia…

Ingoiò il nodo che andava formandosi in gola e raggiunse gli altri.

«Ragazzi, io vado via, non sto tanto bene. Ci vediamo domani.»

«Tranquilla. Finisci la mela, magari è solo un calo di zuccheri.»

Anna guardò di sfuggita il frutto che teneva in mano e vide che era morso. Ne fu incuriosita e allo stesso tempo, preoccupata. Veramente l’aveva morso senza accorgersi e per giunta con la gomma da masticare in bocca?

Non aveva voglia di pensarci.

«La finirò, grazie.»

Si dileguò senza voltarsi, già il cuore le sembrava più leggero. Mangiò la mela in auto mentre rientrava, era dolce, buona. Dopo averla finita si sentì un po’ meglio, mise il torsolo in una bustina, che avrebbe buttato una volta a casa.

La penombra del suo appartamento la avvolse in un abbraccio sicuro, nascondendola al mondo. Il finto stato d’animo di tranquillità, che sembrava aver ritrovato, si sgretolò in un lampo e si lasciò cadere sul pavimento dell’ingresso, piangendo la sua frustrazione.

Quando si sollevò, col viso stravolto e l’anima svuotata, si diresse in camera da letto e si lasciò cadere sul morbido piumino, abbandonandosi al torpore che la stava portando via da quella realtà così struggente.

Quando si svegliò era ormai buio. Accese la lampada sul comodino. Si sentiva meglio. Si alzò e vedendo che tutte le sue cose erano ancora buttate in terra nell’ingresso le raccolse e le riordinò.

Fu sorpresa di vedere nella bustina, la mela intera. Mancava solo un morso.

«No, non è possibile, l’ho mangiata!»

Dirlo a voce altra intensificò il  ricordo di quando aveva riposto il torsolo.

La buttò nella spazzatura, la sua mente si rifiutò di analizzare l’arcano evento. L’orologio sulla parete della cucina segnava le 21.30.

Non si era ancora cambiata e la polvere di gesso iniziava a infastidirla.

Riempì la vasca, e vi si immerse, rilassandosi nell’acqua tiepida e profumata. Concluso il suo bagno si avvolse nel morbido accappatoio e con una mano cancellò il vapore che si era depositato sullo specchio sopra il lavandino.

«Cristo!»

Alle sue spalle una donna bellissima la scrutava con sguardo severo.

Si voltò sentendosi vulnerabile, ma pronta a difendersi, ma lì con lei non c’era nessuno. Riguardò l’immagine riflessa, al posto della figura ora vedeva solo le mattonelle della parete del bagno.

Guardò il suo viso pallido, stralunato.

«Sto impazzendo» mormorò.

Iniziò ad asciugarsi i capelli col phone, cercando di non pensare a ciò che aveva visto, ma uno strano scricchiolio la costrinse a riguardare verso lo specchio.

Nella parte alta, dove la sua mano non era arrivata, si poteva leggere una scritta sul vapore, che colava in piccoli rivoli d’acqua.

“SCEGLI”

Si sentì mancare. Uscì dal bagno tremante, cercò il cellulare e inviò una chiamata. Col cuore in tumulto, attese risposta.

«Anna? Ciao.»

La voce calda che le rispose la rincuorò.

«Ciao zia.»

«Dimmi pure, tesoro.»

«Niente, avevo solo voglia di sentirti, tutto bene?»

«Oh sì non mi posso lamentare, ma sto ancora aspettando che decidi quando andare a scegliere l’abito da sposa, sai quanto sia impaziente di vederti indossarne uno.»

Era chiaro che non stava nella pelle dall’emozione.

In quel momento un rumore di vetri infranti, proveniente dal bagno, la fece trasalire, mentre nel contempo, qualcuno bussava alla porta.

Grazie al cielo!

«Zia, ti devo lasciare. Bussano alla porta deve essere Marcello.»

Mise giù sul saluto della donna e corse ad aprire la porta. Era spaventata, non voleva stare da sola. Chiunque, ma non sola.

Rimase sorpresa di vedere la sua vicina di casa, sul pianerottolo.

Era una vecchina molto gentile, con cui aveva solo scambiato qualche parola in ascensore e adesso era lì davanti a lei.

«Buonasera signora Agata, tutto bene?»

«Buona sera cara, come stai?»

La donna continuava a passare, con lo sguardo, dai suoi occhi, alle sue spalle. Guardava un punto dietro di lei come se ci fosse qualcuno. Memore di quanto aveva visto nel bagno e del rumore, si girò pronta a rivedere la dama del riflesso, ma non vide nessuno.

«Io sto bene, grazie. Posso fare qualcosa?» Si sforzò di nascondere la paura.

«Non mi sembra che tu stia bene, Anna. Che ne dici di offrirmi un tè?»

Anna sospirò.

Chiunque, ma non sola.

«Certo Agata, si accomodi.»

L’anziana signora entrò. Continuava a fissare un punto della stanza e continuò a fissarlo  anche una volta seduta sul divano.

Anna la raggiunse con due tazze di tè fumante, che appoggiò sul moderno tavolino.

«Allora Agata, devo dire che questa sua visita mi sorprende. Quanto zucchero?»

«Uno, grazie. Ti dispiace la mia visita?»

«No, anzi, non poteva arrivare in un momento migliore.»

«Sembri spaventata, Anna.»

La ragazza si lasciò andare sul divano.

«Non so.  Lo stress di questo periodo mi sta giocando brutti scherzi.»

«Di che genere, cara?»

«Non voglio annoiarla e poi a ripensarci sono cose ridicole.»

«Vorrei che me ne parlassi, ti spiace?»

La sua presenza e la sua voce così rassicuranti la indussero ad aprirsi.

Dopo un altro sospiro iniziò a parlare dell’allucinazione in bagno, della mela  tornata quasi intatta e della scritta.

«Tutto questo è ridicolo, non trova?»

Agata appoggiò la tazza vuota sul tavolino.

«No.»

Anna si accigliò.

«Che vuol dire?»

«Sono venuta qui perché dovevo, tesoro.»

«Continuo a non capire, Agata.» Anna iniziava ad agitarsi. La paura ritornava a fare breccia nella sua mente.

L’ anziana signora le prese una mano tra le sue.

«Non spaventarti Anna, ma non sei sola in questo appartamento…». Su questa affermazione, guardò con insistenza qualcosa vicino alla porta chiusa del bagno.

Anna ritrasse la mano.

«Adesso basta, signora Agata, mi sta spaventando.»

L’ atmosfera era tesa e pesante, «Forse dovrebbe andare» concluse.

Agata sorrise.

«Mi dispiace, non era mia intenzione, credimi.»

Si alzò e si diresse verso la porta d’ingresso, prima di uscire guardò ancora vicino alla porta e se ne andò, lasciandola sola.

Anna, prese le tazze dal tavolino e le portò in cucina, cercò di non pensare a quegli strani eventi, che non potevano avere altra spiegazione se non il suo stress psico-fisico, forse avrebbe dovuto sentire la psichiatra che l’aveva seguita da ragazzina, quando aveva perso i genitori.

Lavò le tazze, l’appartamento era silenzioso, continuava a pensare all’anziana signora e a quello che le aveva detto, era vecchia e sola, probabilmente stava iniziando con, l’inevitabile, demenza senile.

Mentre rientrava nella sala guardò la porta del bagno e ripensò alla scritta. Prese coraggio ed entrò aspettandosi di trovare lo specchio infranto, ma tutto era in ordine. Il vapore ormai si era asciugato, restavano solo delle leggere striature del passaggio della sua mano, nient’altro.

Quando rientrò in salotto, la mela morsa, che aveva buttato, era in bella vista sul tavolino del salotto.

Doveva prendere una decisione e presto, la sua ragione non sopportava più la situazione emotiva che stava vivendo e la sua psiche iniziava a dividersi. Compiva gesti di cui poi si scordava. Doveva scegliere, avrebbe lasciato Sandro e sposato Marcello. Guardò il cellulare che aveva lanciato sulla poltrona, quando, trafelata, aveva aperto alla “neo demente” signora Agata, con l’intento di chiamare il suo amante e concludere quella “sordida” storia. Quando si alzò e allungò la mano, le luci iniziarono a vibrare,  il dispositivo si sollevò dalla poltrona come se una mano invisibile l’avesse afferrato e con violenza lo scagliò contro la parete distruggendolo.

La donna che aveva visto nel riflesso dello specchio si materializzò davanti a lei. Un urlo di terrore le si bloccò in gola, le gambe cedettero e cadde seduta sul pavimento.

La donna la fissava con sguardo severo, una dama bellissima dal portamento fiero, impettita nel suo abito quattrocentesco, in velluto damascato, verde smeraldo. I capelli, di un meraviglioso nero tendente al blu, erano raccolti in una sofisticata pettinatura di intrecci di perle.

La dama dischiuse le morbide labbra carnose e parlò.

«Scegli il tuo sposo!»

Ma la mente di Anna confusa e terrorizzata non fu in grado di capire il senso di quella frase, quasi non la udì.

La dama, fluttuando la raggiunse in una frazione di secondo e afferrò con la mano inanellata, l’esile collo della ragazza.

«Scegli il tuo sposo!» ripeté severa la dama.

Quel doloroso contatto fisico la riportò per un attimo alla ragione.

«Marcello…»

Il nome venne fuori dalla gola, come un gracchiare distorto, ma la dama lo aveva capito. Il suo sguardo diventò cattivo e il viso divenne orrendo in una smorfia di rabbia e sdegno. La sollevò da terra tenendola per il collo e  avvicinò il suo viso contorto a quello della ragazza.

Le urlò in faccia la sua disapprovazione con una voce profonda che sembrava arrivare dall’inferno e la scagliò sulla parete come già aveva fatto col cellulare.

Il colpo che avvertì fu così violento da sentire i polmoni spostarsi nella cassa toracica, li senti emettere fuori l’aria per inerzia, poi rovinò di faccia sul pavimento. Con la forza della disperazione, Anna cercò di raggiungere la porta, ma la dama le fu di nuovo addosso e, afferrandola per i capelli, la sollevò ancora.

«Scegli il tuo sposo!»

Fu in quel momento che la porta si spalancò. Agata entrò dirigendosi verso lo spirito inquieto della dama, le soffio addosso una polvere bianca sottilissima e le ordinò, con voce autoritaria, di lasciarla.

La dama urlò di dolore e sdegno poi sparì.

«Anna, tutto bene?» Agata le fu subito accanto per aiutarla ad alzarsi, ma la ragazza la fermò.

«Aspetta, mi fa male la faccia, mi fa male dappertutto» si giustificò con voce rauca poi tossì forte, altri lampi di dolore la costrinsero a trattenere l’istinto di liberare la gola dal senso di soffocamento. Il suo viso era gonfio e violaceo, dal naso le sgorgavano rivoli di sangue di un rosso acceso. Con gli occhi gonfi e colmi di lacrime quasi non riusciva a distinguere ciò che la circondava.

«Agata, come ha fatto a entrare?» chiese trattenendo altri colpi di tosse.

«Sapevo che eri in pericolo e quando sono andata via non ho chiuso la porta, l’ho solo appoggiata. Per fortuna non te ne sei accorta.»

«È andata via?» Il suono della sua voce si stava schiarendo lentamente, ma si avvertiva un tremito di terrore.

«No. Ora cerca di alzarti, dobbiamo prepararci.»

Lei ci provò ma non ci riuscì. Il fremito delle luci allarmò Agata.

Slacciò la rigonfia sacchetta che teneva al polso e iniziò a versare una sottile striscia di sale, tutt’intorno alla ragazza fino a chiuderla in un cerchiò, recitando un rito in latino. Quando ebbe finito il cerchio mandò un pallido bagliore, poi si spense.

Agata si accostò al viso della ragazza.

«Aiutami a capire come sia arrivata qui. Per mandarla via devo capire di chi si tratta.»

Anna piangeva.

«Non lo so, Agata.»

«Adesso basta piangere! Cerca di riprenderti o non potrò aiutarti! Pensa, pensa alla prima cosa strana che ti è successa. Deve essere un elemento costante, qualcosa che hai visto o sentito più volte.»

Anna si sforzò di riprendere il controllo e nella sua mente prese forma “l’elemento” costante.

«La mela…» disse indicando il tavolino.

Agata non perse tempo l’afferrò e la tenne tra le mani, chiudendo gli occhi.

«Dio aiutami, non sento niente…»

D’un tratto capì, sollevò il frutto alla bocca e le diede un morso. Il suo corpo parve irrigidirsi, la mela le rotolò dalla mano, cadendo sul pavimento, poi proseguì a rotolare fino al cerchio di sale e si fermò. Anna vide la polpa del frutto rigenerarsi fino a riprendere il solito aspetto, con un solo morso.

Agata era immobile, affannava come un animale, poi gli occhi le si velarono di bianco, smise di affannare e ritornando in se pronunciò il nome della dama:

«Violante!»

«Perché è qui, cosa vuole da me?»

«È uno spirito inquieto, soffre per amore. Ti ha chiesto di scegliere il tuo sposo, ma sta attenta è un inganno.»

«L’ho capito. La scelta l’avevo fatta, avevo scelto il mio fidanzato, Marcello. Ma non era quello che voleva lei…»

«Vuole che tu scelga “l’amante”, ma non farlo cerca di resistere, perché se lo sceglierai, ucciderà Marcello per liberarti dal senso di colpa per la tua scelta… non cedere, dammi il tempo di trovare il suo punto debole.»

Le luci ripresero a vibrare, alcune lampadine esplosero, poi la dama ricomparve e si scagliò sulla ragazza urtando, con dolore, il muro invisibile creatosi dal sale.

Violante, guardò con curiosità sul pavimento e sorrise. Con un impetuoso gesto della mano disperse il sale, spezzando il cerchio. Anna sentì ancora la sua gelida mano afferrarle il collo già indolenzito. Fu ancora sollevata da terra e ancora la dama le impose di scegliere.

Mentre Anna soffocava sotto quella stretta spettrale, Agata cercava un modo per allontanare per sempre Violante dalla ragazza.

«Perdonami Anna. Non riesco a fermarla. Il suo spirito è troppo forte per me…». Cadde in ginocchio, svuotata da ogni forza.

Anna guardò gli occhi della dama, chiusi in due strette fessure, la osservavano con disprezzo.

Le forze la stavano abbandonando. Ripensò a Marcello al fatto che potesse morire, scoprì che in cuor suo non le importava. Anche l’amore che credeva di aver provato per Sandro svanì. Era solo un ripiego per paura di restare sola, lasciando il suo fidanzato.

E intanto la mano di Violante, artigliata al suo collo, stringeva un po’ di più.

Un profondo egoismo, puro e istintivo la pervase. Non avevano importanza le altre persone, lei voleva vivere!

«Ho scelto…» gracchiò con fatica.

La morsa si allentò.

«Scelgo… me stessa…»

La dama parve colta di sorpresa schiudendo le morbide labbra in un’espressione di stupore.

La lasciò andare. Riprese la sua postura signorile e chinò appena il capo in cenno di assenso per la sua scelta. Sorrise, si voltò allontanandosi, mentre la sua figura perdeva consistenza fino a sparire.

Anna sul pavimento riprendeva fiato, scossa da violenti colpi di tosse e conati. Agata la raggiunse e la abbracciò. Videro la mela ferma sul pavimento ridursi  a un torsolo e annerire.

«Brava, Anna. È stata la scelta giusta, lei non tornerà più».

Annamaria Ferrarese