UN’ESTATE FANTASTICA PER EDIZIONI VOCIFUORISCENA

Le Edizioni Vocifuoriscena, sempre attente alla letteratura e alla saggistica dedicata ai paesi dell’area del nord Europa e del Sudamerica, ci propongono alcune uscite davvero interessanti sotto molti punti di vista.

Iniziamo dall’area germanica con la collana “Bifröst” che propone uno splendido lavoro del professor Francesco Sangriso: LE FONTI NORDICHE DEL RING – LA MITOLOGIA DI WAGNER (392 pagine; 24 euro), un volume che si muove fra mitologia, letteratura, filologia e musica.

Il ciclo dell’Anello del Nibelungo (Der Ring des Nibelungen) di Richard Wagner è un continuum narrativo costituito da quattro drammi musicali: L’oro del Reno, La valchiria, Siegfried e Il Crepuscolo degli dèi. Costruito secondo una rivoluzionaria idea del teatro, il Ring è comunemente considerato una delle più compiute e magniloquenti rappresentazioni dello spirito tedesco, e migliaia di studi critici non sono ancora riusciti a esaurire le possibili chiavi interpretative di quest’opera imponente, in cui si realizza la teoria wagneriana del dramma musicale, inteso come forma d’opera che deve sintetizzare tutti gli aspetti della rappresentazione drammatica in una profonda unità comprendente l’elemento testuale, musicale e scenico.

Ciò che ancora mancava era un’analisi che mettesse in relazione i libretti di Wagner con le fonti primarie che il musicista consultò per comporre il Ring. In una ricerca di questo genere, la competenza critico-musicologica deve necessariamente appoggiarsi a una dettagliata conoscenza dei monumenti letterari medievali dell’area nordica. Wagner, infatti, non attinge, se non in misura parziale, ai documenti letterari provenienti dall’area tedesca, ma rielabora direttamente il materiale mitologico originario quale viene tramandato nelle fonti scandinave, islandesi e norvegesi.

In questo libro, Francesco Sangriso analizza le trame e gli intrecci del ciclo del Ring con gli strumenti della mitologia comparata, mettendole attentamente a confronto con le fonti primarie in lingua norrena. I canti eroici dell’Edda poetica, il sunto delle vicende nibelungiche presente nella seconda parte dell’Edda di Snorri, la Völsunga saga e la sorprendente Þiðreks saga af Bern dal mondo scandinavo, nonché il Nibelungelied in medio alto tedesco, vengono confrontate sia tra loro sia con le quattro opere del Ring.

L’operazione mitopoietica eseguita da Wagner rivela una complessa stratificazione di interpretazioni ideologiche, sociali e filosofiche operate sulle leggende originali sulla scorta non solo dello spirito romantico tedesco del tempo, ma anche della concezione del mito che si andava elaborando nell’Ottocento. Ma ciò che inaspettatamente risulta agli occhi del filologo, è che Wagner – l’interprete per eccellenza dello spirito e dei valori tedeschi – era forse molto meno “tedesco” di quanto ci si aspettasse e assai più vicino ai temi e al sentire scandinavi.

Passiamo ora a parlarvi del romanzo sperimentale surreale DESERTE VISIONI (398 pagine; 24 euro) di Milan Nápravník, tradotto da Antonio Parente con prefazione di Ladislav Fanta, pubblicato nella collana “I ciottoli”.

Milan Nápravník (1931 – 2017), autore poliedrico la cui attività non ha abbracciato solamente la poesia e la prosa, ma anche le arti visive, in particolare la pittura, la scultura e la fotografia, negli anni Cinquanta aderì al gruppo dei Surrealisti cecoslovacchi e in seguito all’invasione sovietica del 1968 si rifugiò dapprima a Berlino ovest, poi a Parigi, città che ospitò molti intellettuali cechi che parimenti avevano aderito al surrealismo, per poi condurre la propria esistenza tra Praga e Colonia.

Ha scritto varie opere, attraverso le quali è possibile tracciare lo sviluppo della sua arte, a partire dagli esperimenti linguistici fino alla poetica plasmata dalla contemplazione, che registra il movimento della realtà interiore. Il suo opus magnum è Příznaky pouště (DESERTE VISIONI, 2001), una vasta parabola sul minaccioso stato della civiltà contemporanea.

Si tratta di un romanzo costituito da brevi prose che nella loro dislocazione non seguono una logica: i periodi non sono tra loro interconnessi, ciascuno costituisce un universo a sé stante, ogni frase un’immagine di criptica decifrazione. Non è lettura, ma pittura surrealista. L’intento dell’autore è quello di muovere una polemica contro la letteratura tradizionale che rifiuta il principio di casualità.

Viene messa in atto una decostruzione del romanzo tradizionale, sia dal punto di vista stilistico, sia tematico. Ricorrendo a una prosa sperimentale, Nápravník polemizza contro la contemporaneità, scagliandosi in primis contro gli automatismi che dominano la quotidianità. Il mondo onirico nápravníkiano viene enfatizzato dalle foto scattate dallo stesso autore, inserite nel volume: a essere ritratti sono elementi della natura (piante, rocce), immortalati secondo un peculiare principio simmetrico.

Chiudiamo questa carrellata delle Edizioni Vocifuoriscena con il romanzo LA QUENA – LEGGENDA PERUVIANA (134 pagine; 12,50 euro) di Juana Manuela Gorriti con la traduzione e la cura di A. Laura Perugini, opera a metà strada fra il feuilleton, il sentimentale e il fantasy.

Juana Manuela Gorriti (1818-  1892) fu una scrittrice argentina di nascita, ma che trascorse la maggior parte della propria esistenza in esilio, tra Bolivia e Perú. Giornalista, viaggiatrice, animatrice di importanti salotti, pioniera nella lotta per i diritti e l’istruzione femminile, è stata scrittrice di taglio romantico, nonché autrice di saggi, opere storiche e biografiche.

Il romanzo breve La quena – Leyenda peruana (LA QUENA – LEGGENDA PERUVIANA) venne pubblicato a puntate sul foglio “El Comercio” di Lima, tra il 29 gennaio e il 14 febbraio 1851. La prima uscita del romanzo suscitò un certo clamore: venne definito “produzione immorale”, ma come ebbe ad affermare Ricardo Palma, amico e collaboratore della Gorriti, si trattava in realtà del «romanzo più bello che sia stato scritto in America latina». Senza fare ricorso al verso, la Gorriti conferì al suo scritto un afflato sublimemente poetico.

LA QUENA narra la vicenda di un amore impossibile, quello tra Hernán, figlio di uno spagnolo e di un’india, e Rosa, ragazza dell’alta società peruviana. A essi si contrappone lo spregiudicato giudice Ramírez. Il triangolo così formatosi non è puramente sentimentale, ma anche socio-politico e con un taglio leggendario in puro stile fantasy. Con questa strategia narrativa la Gorriti ha voluto mettere in risalto l’analogia tra la situazione degli indios e la condizione femminile: entrambi sono esclusi dall’ambito decisionale e non vengono loro riconosciuti i diritti basilari.

«Nulla poteva apparire più gradevole e bello di quel quadretto: la donna vestita di bianco, come la vergine che avanza verso il letto nuziale, e l’uomo ai suoi piedi che, sollevando verso di lei i suoi occhi affascinanti e appassionati, sembrava dedicarle ogni nota di quella celeste armonia. Ma se un essere vivente avesse potuto accedere a quel luogo e osservare da vicino i due, avrebbe sentito i capelli drizzarglisi in capo e avrebbe urlato di spavento; perché la folta chioma della donna aveva una secchezza metallica; le sue mani, di forma così bella, erano scarnite; la sua candida tunica era un sudario; il viso che il giovane contemplava aveva ricevuto da lungo tempo l’orribile sigillo della morte, e lo stesso strumento, la cui voce aveva una così divina melodia, era un trofeo di tomba, era il femore di quello scheletro».

Buona lettura.

A cura della redazione