IV TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: IV CLASSIFICATO

CATASTROFE SULLO JONIO

di FILIPPO RADOGNA

Prologo

Golfo di Taranto, al largo di Metaponto. Anno imprecisato

Videro balzare quella creatura immonda dalle acque scure e profonde. I due pescatori, padre e figlio, intirizziti dalla notte fredda e dai marosi annichilirono. In pochi istanti la pioggia si fece scrosciante e il maestrale spirò impetuoso rumoreggiando cupamente. Fu un istante, un guizzo.

La testa del mostro con la folta chioma cinerea aveva sembianze umane. Il corpo squamoso lungo un paio di metri era quello di un grosso pesce con artigli allungati al posto delle pinne. Digrignò i grandi denti ricurvi e acuminati e ruttò un suono rabbioso. Poi la bocca spalancata ghermì uno dei due pescatori. La sorte malevola toccò al più anziano, rimasto paralizzato per l’orrore sul bordo della barca. Le zanne gli si conficcarono nella trachea. L’urlo strozzato fu come un vagito. E mentre un fulmine roboante squarciava il cielo, nel quale tra le nubi fosche troneggiava una luna piena, la fiera si inabissò in un vortice con la vittima ancora viva tra le fauci. 

Il giovane pescatore sopravvissuto fu rinvenuto all’alba. Vacillava  sulla spiaggia,  terrificato e con gli occhi allucinati. La barca era stata ingoiata dalle onde.

Fu  l’annuncio nefasto di quello che stava per succedere.

Matera. Circa un mese dopo

“..il superstite parla di una creatura anomala. Da quanto si è capito, in verità non molto, sembrerebbe un pescecane con la faccia umana, lunga capigliatura stopposa e grandi denti da vampiro. Tutto è assolutamente inverosimile e la polizia marittima brancola nel buio”. A dispetto dell’ ”inverosimile”, al telefono Tano Colla era molto serio. E, conoscendolo dai tempi dell’Università come appassionato del soprannaturale (si era laureato in Lettere con una tesi su Stephen King) il caso lo intrigava e tanto.

Tano Colla, da qualche giorno nuovo direttore responsabile di “Lucania Domani”,  quotidiano a rischio di chiusura, mi aveva telefonato di buon mattino.

La notizia era stata abbondantemente macinata dai mass media nazionali. Le ricerche del malcapitato in mare si trascinavano rade oramai senza speranze. L’altro pescatore, invece, proprio la sera prima -mi rivelò Colla- era stato dimesso dall’ospedale di Policoro. Secondo la versione ufficiale il padre sarebbe stato trascinato via dal mare grosso  annegando. Quanto a ciò che il più fortunato superstite raccontava sarebbe stato  frutto dello shock.

“Quindi Ennio vai a Metaponto– riprese con un irritante modo perentorio di colui che ti commissiona senza ascoltare– e rintraccia il sopravvissuto. Recuperami una storia misteriosa, inquietante ma credibile”.

Questo non la smetterà mai con il vizio di vedere ovunque l’arcano, pensai.

“Non ti sarà difficile imbastirla –continuò- in quell’ambientazione mitologica tra rovine, templi e necropoli greche. Come ti invidio!”.

Ma guarda dove portano le ambizioni frustrate da mancato scrittore horror, pensai ancora.

“Fammi un bel reportage. E’ necessario rilanciare il giornale. Siamo in caduta libera e se non recuperiamo lettori ce ne andiamo in malora e allora ..”, non lo feci finire di parlare.

“..allora meglio! Sarà l’occasione per cambiare mestiere Tano! Magari trovare un lavoro dove si intaschi qualcosa”, replicai astioso.

Erano mesi che non vedevo un euro e stavo seriamente meditando di mollare tutto.

Poi cambiando tono aggiunsi “…vabbé ci vado. Ma sappi che è l’ultimo servizio. Se il giornale non mi paga stavolta con me avete chiuso. Per sempre!”.

Riattaccai.

Ero veramente deciso! E al diavolo il giornalismo e quelle velleità che nella speranza dello scoop mi avevano fatto perdere anni preziosi.

Percezioni

Mi documentai. Due ore dopo ero sul posto.

L’immensa distesa del Mar Jonio quella mattina era un lago piatto e silenzioso. Una tavola perfettamente liscia e abbacinante sotto i raggi del sole meridiano.

Non c’era alito di vento. La giornata invernale era inaspettatamente calda e luminosa. C’era una percezione di esagerata quiete. Non si udiva alcun suono, non vi erano  gabbiani e la risacca inesistente non produceva effetti acustici.

Mai visto niente di simile, faceva impressione. Ebbi un presagio di sventura. 

Girai lo sguardo verso l’entroterra. Tra gli sterminati agrumeti e vigneti della piana, in lontananza, scorsi solenni le “Tavole Palatine”. Le colonne doriche del tempio di Hera sembravano sorvegliare benevole da oltre due millenni quel territorio.

Nel borgo di Metaponto chiesi a una vecchia vestita di nero, seduta con la testa china sull’uscio di casa, dove abitasse il giovane pescatore reduce. Alzò lentamente il capo. La faccia era scarna e sdentata. Sollevò il braccio e un dito lungo e avvizzito mi indicò la zona delle “paludi prosciugate”. Presi quella direzione, subito dopo, quando mi girai per ringraziarla non c’era più.

L’area era un posto isolato nei pressi del fiume Bradano, accanto alla necropoli greca. Sul luogo si narravano leggende ancestrali foriere di terribili sciagure.

Feci i dovuti scongiuri. “ Non si sa mai”, dissi tra me e me.

Mi addentrai tra i sentieri sconnessi della campagna piatta e sassosa. Attorno, sparse ovunque, vedevo le lastre in calcare delle tombe greche. Scrutavo quelle monadi enigmatiche. Avvertii un sibilo. Un serpente nero e lucido mi scivolò sui piedi. Ebbi un sussulto, poi rimasi inchiodato trattenendo il respiro. La cute zigrinata nerissima rifletteva i raggi solari. Tentò di mordermi, sottrassi con uno scatto la gamba, sgusciò veloce scomparendo nella crepa di una tomba. Tirai un sospiro per lo scampato pericolo. Ebbi un brivido tardivo. Un serpente d’inverno? Asciugai il sudore dalla fronte, mentre si faceva più intenso quello strano senso di fatalità.

Il pescatore viveva da solo in una casa colonica decrepita. Dopo la vicenda il tizio, già un po’ strampalato e solitario era divenuto ancora più introverso di prima. Dalle notizie che avevo lo si vedeva spesso girare nel cuore della notte.

Camminai ancora graffiandomi tra i cespugli. Un nugolo di cornacchie posato sulla carcassa di una bestia si dileguò gracchiando rumorosamente al mio passaggio. 

Trance

“C’è nessuno in casa? C’è nessuno??”, bussai più volte a quella porta vetusta. Poi provai ad aprirla forzando sulla maniglia. Cigolò con uno scricchiolio lungo. Spinsi dapprima piano, poi con tutta la forza che avevo poggiandomi a peso morto. Si spalancò. Le imposte erano chiuse e il contrasto tra luce e buio mi accecò. Entrai e  sentii un odore nauseabondo e un respiro affannoso. Nel buio qualcuno mi veniva incontro. Una mano pesante si poggiò sulla mia spalla, poi ci fu un rantolo. Sussultai pensando a quanto di peggio mi potesse capitare, ma immediatamente sentii un tonfo sordo. Un corpo che stramazzava sul pavimento. Rimasi qualche istante immobile con il fiato sospeso non sapendo cosa fare. C’era un silenzio cupo. Ristabilii la calma.

Dischiusi le finestre e il buio si dissolse. Vidi l’uomo per terra. Cominciò a contorcersi e lamentarsi. Aveva gli occhi sbarrati, le pupille dilatate e fissava il soffitto completamente slegato dalla realtà. Ebbe delle scosse e conati di vomito. Aveva una mimica  da invasato. Poi si interruppe di colpo. Notai, appeso al suo collo, un laccio in cuoio con un grosso medaglione in bronzo. Mi piegai su di lui. Pochi istanti dopo emise una voce cavernosa: “Il mare si ritira…si innalza altissimo…”, sollevava il bacino a scatti dal pavimento. Il viso era teso allo spasimo. “Un boato gigantesco ahhgg. La massa di acqua travolge la terraferma…ghh”, boccheggiava e tremava. “La catastrofe annunciata..gh. Il demone è tra noi…l’eclisse, il tempio in rovina. Stanotte…morte e devastazione. Ghh!!”.

La Profezia

“ E’ un’antica profezia!”. Una voce femminile parlò alle mie spalle.

La donna poggiata alla porta aveva alle spalle la luce tersa che giungeva da fuori. Si fece avanti e malgrado fossi preso dagli accadimenti sempre più angoscianti ne scorsi la bellezza e l’incedere elegante. Aveva capelli lisci, corvini, con ciocche fulve che cadevano sulle spalle. Mi era vicina. I lineamenti del volto pallido erano perfetti. Gli occhi bistrati di nero avevano un disegno geometrico a sfinire sui lati che mi rammentò il trucco delle regine egizie. Provai turbamento.

 “Mi chiamo Olga Sàbani sono un’archeologa”. Aveva la voce bassa e monocorde. “Mi trovo qui per alcuni scavi nella necropoli greca..”..

“ Ennio Bini, giornalista”, dissi senza specificare la testata per la quale scrivevo, non ne vale la pena, pensai.

Eravamo in piedi in quella casa scalcinata. Adesso l’uomo si era apparentemente placato dal delirio.   

La donna aveva un modo di muoversi altero e quando  si piegò e sfiorò la fronte del pescatore  egli sobbalzò facendo uscire filamenti di saliva dalla bocca.

“ Ma di quale profezia parlava prima? ”, chiesi incuriosito.

“Si tratta di una leggenda popolare che si perde nei secoli. Parla di Eram, lo spietato demone femmina.”, rispose.

“Eram… è l’anagramma di mare”, considerai, invero scettico su quanto mi stava dicendo.

Lo sguardo freddo delle sue pupille grigie mi trapassava come fossi diafano. Sembrava non avesse anima.

“ Sì, Eram il feroce demone del mare! Nei millenni ha causato tremende sciagure. La profezia narra che comparirà qui in una notte di luna piena con il mare in tempesta e si nutrirà di carne umana. Poi tornerà la quiete. E circa un mese dopo, alla luna piena seguente, in una notte di eclissi avrà luogo la più grande catastrofe naturale del secolo. Le terribili forze del mare e uno spaventoso cataclisma si scateneranno. Una massa di acqua alta come una montagna travolgerà Metaponto. Ma non solo! Seminerà morte e distruzione ovunque in tutto il Golfo di Taranto!”.

Parlava come se stesse leggendo la pagina di un libro immaginario.

Poi, a riprova della profezia, alzando il tono della voce e tendendosi verso il pescatore aggiunse “E’ tutto riportato qui sopra!”, indicava il medaglione al collo dell’uomo. Sull’antico monile di bronzo inciso, si distinguevano in alto a destra una luna piena e sotto una figura con le braccia aperte in segno di adorazione. Un mare burrascoso  travolgeva un tempio greco. Tra le acque in tempesta e la terra spaccata spiccava la figura di un grosso pesce deforme con le fauci aperte.

Tutto si accordava con la predizione del pescatore.

Il canto della sirena

Le  sue mani magre e curate  avevano unghie lunghe e lucide di un viola scuro. Si chinò e sfilò il medaglione al pescatore.

Fu un frangente, come  fosse l’inizio di un sortilegio. I suoi occhi si accesero. Mi guardò ipnotica e il respiro si fece profondo e veloce. Superava ogni mia barriera spingendosi sottile nelle mie cavità cerebrali. Cercavo di mantenere fermo il controllo della mente sul corpo e attive le mie capacità di discernimento. Ma ero irretito. Poi dalla gola emise una vibrazione indecifrabile che si fece via via cantilena.

Non distinguevo le parole ma sembrava una filastrocca al rovescio in una lingua antica, evocatrice di un passato ancestrale. Una nenia ammaliatrice irresistibile e sensuale  mi calamitava insidiosa verso lei.

Il tempo si dilatava. Una pressione diabolica e carnale si impadronì di me. Ero in stato confusionale e la desideravo. La tirai a me, la baciai avidamente e le scoprii le spalle ben tornite. La baciai ancora sul collo e poi sul seno fiorente, soffice e appuntito. Fu l’ultima cosa che feci prima di vedere tatuata sulla sua pelle una figura spettrale. Era la maschera del Male assoluto con il corpo di un essere marino che pareva attorcigliarsi agitato dal respiro sempre più concitato della donna. Tutto si fece indefinito. Il canto si era fatto cupo al modo di un pianto funebre. Lei era aggrappata a me e avvertii le unghie affilate che mi laceravano la schiena. La voce divenne agghiacciante, il lamento ossessivo. Tentai di divincolarmi. Una vertigine mi inghiottì precipitandomi nell’oscurità.

La sacerdotessa del  Male

Riaprii gli occhi nel buio. Era notte. Sentii un freddo pungente. Ero seminudo e disteso tra i sassi in uno spazio aperto. Pensieri elementari cominciarono a prendere forma. Mi guardai attorno frastornato. Riconobbi subito le imponenti colonne elleniche con le scanalature verticali del sacro tempio di Hera. Ero lì sotto a pochi metri. C’era una nebbia bassa e rada. 

Provai a muovermi ma ero paralizzato come quando in un incubo si tenta di fuggire da un pericolo e le gambe pesano come roccia. Mi dava le spalle vicina una figura con le braccia aperte. La testa era sollevata al cielo in adorazione verso la Luna piena che aveva una grandezza impressionante. Misi a fuoco, indossava una lunga tunica bianca da sacerdotessa. Riconobbi la fisionomia e i capelli  lunghi e lisci di Olga Sàbani.  Ricostruii mentalmente quello che era avvenuto nella casa del pescatore fino a quando avevo avuto coscienza. La donna fissava il corpo celeste che aveva un chiarore accecante. Muoveva lentamente  le braccia e le mani come per chiamare la Luna a sé. Tentavo di capire cosa stesse succedendo. Poi emise un lamento dando inizio a  un canto. Lo stesso che avevo ascoltato prima di perdere conoscenza. Dapprima fu lieve e con leggere movenze di danza e poi divenne più rapido. Il canto divenne acuto. I suoi movimenti grotteschi seguivano quel canto folle. Dondolava la testa in una mimica isterica. Un urlo sovrumano mise fine di colpo a quel rito infernale. La Luna che sembrava essersi ingrandita cominciò a offuscarsi. Iniziava l’eclissi. La profezia stava per compiersi! Ebbi l’impressione di vedere ombre tetre tra le colonne del Tempio e un vento cominciò a spirare verso il mare. Era il Mar Jonio che risucchiava l’aria. Da lontano sentivo il suo rombo, sembrava si stesse ritirando come per prendere una rincorsa infinita e poi scagliarsi contro la terraferma con la sua furia smisurata.

Il rombo aumentava e il risucchio si fece sempre più forte mentre la Luna era oramai coperta per metà da quella eclisse tenebrosa. Il fragore dello Jonio era divenuto un boato immenso.

La donna si voltò. Non era più umana. Aveva grandi denti sporgenti  uncinati.  I lineamenti mutevoli del viso davano forma a facce ripugnanti che emettevano modi di parlare spaventosi. Mosse sinistra verso me mentre la veste si sbrindellava  su quel corpo che si dilatava. Si  stava trasformando in un essere immondo. La pelle  lasciava il posto a squame, i capelli a una chioma arruffata e grigiastra e le braccia a grossi artigli.

Tentai di divincolarmi dal torpore ma le mie membra non reagivano. Sperai che quell’incubo finisse subito. La terra tremava, si aprivano fenditure nel suolo. Vidi le colonne del Tempio vacillare.

Il potere dell’antica lama

Furono istanti lunghissimi. Mi era addosso e mi stava sferrando un fendente con i vigorosi artigli che mi avrebbero squartato. Ci fu un grido, era il pescatore. Gesticolava in maniera concitata. Teneva in mano una grossa lama che brandiva nella direzione del mostro. La creatura orribile lo vide e ululò fiondandosi contro di lui. La terra tremò ancora spaccando il terreno che in un attimo inghiottì il pescatore. 

Il mostro si fermò e con uno scattò si girò.

Si apprestava a tornare nuovamente verso me quando un massiccio capitello, del Tempio,  eroso dai millenni si staccò travolgendolo.

Come si fosse annullata una stregoneria, mi sentii liberato dal dominio della creatura immonda. Potevo muovermi! Ascoltai, lontana ma non troppo, la potenza degli abissi marini che si stava scatenando e già avanzava devastante verso la costa.

Riudii la voce del pescatore. Era risalito dalla voragine che si stava richiudendo  rimanendo incastrato per metà fuori e metà dentro. Lo raggiunsi. Feci per aiutarlo prendendolo dalle braccia ma era intrappolato dalla vita in giù.

“ Non badare a me- mi urlò con  voce rotta- me la caverò! Prendi la lama e taglia la testa del mostro prima che si trasformi definitivamente nel demone del mare. Solo così si annullerà il maleficio!”, gridò ancora a squarciagola.

In quel frastuono a malapena compresi le sue parole. Esitavo, ma capii che era in gioco ben altro che le nostre vite e non me lo feci ripetere. Non c’era più tempo.

Raccolsi l’arma da terra. Era vecchia di secoli ma solida e ponderosa. Un flusso benefico e vigoroso di energia mi percorse. Mi precipitai. Il mostro sotto il capitello pesante che lo schiacciava si dimenava rabbioso sbavando dalla bocca disumana. Il cuore mi pulsava all’impazzata. Non ebbi alcun timore e lo afferrai dalla capigliatura stopposa. Gli tirai indietro la testa e affondai con tutta la forza la lama ruvida e arrugginita nella gola. Da destra verso sinistra. L’ululato fu raccapricciante. Un liquido ocra viscoso schizzò copioso da quel corpo bestiale. Era corrosivo come acido e mi ustionò la mano. Ma non provai dolore. Ruotai l’arma grezza in tutta la circonferenza del collo strattonando selvaggiamente la testa fino a quando non si staccò dal collo.

La gettai lontano. Con una vampata testa e corpo del mostro svanirono.

Le ombre si dileguarono. Tutto si acquietò.

Epilogo

Il reporter dell’occulto 

Pubblicai la storia a tutta pagina su “ Lucania Domani”.

Il  pescatore (che quella notte riuscì a tirarsi fuori dalla crepa e salvarsi) con un passato da tombarolo, mi spiegò che circa dieci anni prima aveva rinvenuto un’arcaica teca di pietra.

All’interno vi erano l’antica pergamena della profezia, il medaglione di bronzo  e la vecchia e prodigiosa lama.

Un noto archeologo romano aveva decifrato il documento raccontandogli anche cosa fare affinché il maleficio non si realizzasse. In seguito lo studioso era scomparso tra le onde dello Jonio e mai più ritrovato.

L’assistente dell’archeologo era l’ambigua e sensuale Olga Sàbani. La donna posseduta da Eram, il demone del mare, era stata prescelta per realizzare il rituale che avrebbe innescato la catastrofe.

Io sarei stato immolato al demone che si sarebbe nutrito delle mie carni  per dare corso al sortilegio. Ma non andò così. E ciò anche grazie al provvidenziale crollo di parte del Tempio ( non lo ritenni casuale) che dal VI secolo avanti Cristo sembrava custodire severo il prezioso lembo di terra.

 “ Lo stupendo santuario greco, luogo evocativo e simbolico del bene – scrissi con enfasi – aveva vinto lo scontro titanico contro il male”.

La trama, com’era ovvio, non convinse. Per non parlare di quello che scrissero di me i colleghi delle testate locali accusandomi di essere un visionario e un impostore. Ma li comprendo.

Fu così che il mio servizio non solo non aiutò a risollevare le sorti già segnate di “Lucania Domani”, ma contribuì a fare chiudere i battenti al giornale.

In compenso si risollevarono le mie di sorti!!

Dopo quanto mi è successo ritengo non ci sia più niente di impossibile: grazie al seguitissimo sito metapontowonderfulbeach.it  il mio articolo fu segnalato sulla rete Web. Il pezzo stranissimo piacque e ci fu un tam tam inarrestabile sui social network.  In poco tempo divenne un fenomeno di culto tra gli amatori del mistero, ripreso poi dai maggiori magazine mondiali di genere. Quando si dice che Internet fa i miracoli!

In Germania sono diventato un personaggio. Vado spesso in  tv e mi chiamano “Il reporter dell’occulto”. Una celebre rivista di avventura ed enigmi, che conta oltre un milione di lettori nel Paese natio di Goethe, mi ha offerto un contratto da favola come inviato speciale. Sono sempre in giro per il mondo.

Sembrerà assurdo ma la cosa che mi stupì veramente in tutta la vicenda, sicuramente più grande di me, fu il mio sangue freddo. La paura non mi sfiorò minimamente. Non ebbi pietà per quella donna mutante e soprattutto non ho avuto strascichi psicologici.

Da tempo ero nella febbrile attesa di una storia forte da poter scrivere. E quando mi capitò l’occasione di viverla, da incosciente interprete di primo piano, la seppi affrontare traendone giornalisticamente il meglio.

E’ così che la mia vita professionale (mi sembra chiaro, sino ad allora ero uno sfigàto totale!) ha avuto una svolta inimmaginabile.

Frattanto, stasera parto per l’America Latina. Pare che nella Terra del Fuoco sia improvvisamente sorto un gigantesco vulcano e secondo una remota leggenda degli indios si tratterebbe della tenebrosa Porta Segreta del Regno dei Morti.

Come quella volta a Metaponto faccio i dovuti scongiuri, “Non si sa mai”, e… SPERIAMO BENE!!