IV TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: I CLASSIFICATO

SLURP!

di ANDREA MARCHINI

Era una notte buia, non senza luna, ma rischiarata da una leggera falce, sottile come la carezza di uno spettro. Tra i vicoli stretti vapore caldo emergeva pigramente dai tombini, disperdendosi nella fredda oscurità malamente rischiarata da lampade intermittenti e malfunzionanti.

Una notte perfetta per cacciare.

Alain odiava scadere nel banale in qualsiasi aspetto della sua vita, specialmente nel modo di pensare e esprimersi, ma non poté fare a meno di riconoscere che la città per lui era davvero come una giungla: gli alti palazzi erano alberi con mille appigli, le strade fiumi da guadare e le persone ignare prede di cui cibarsi.

Alain si staccò dal palo a cui era appoggiato mentre la sua mente era persa in questi pensieri. Prese a camminare per la strada, osservando con occhi nuovi le insegne dei negozi, i cartelli pubblicitari, le auto, i pullman, tutta la fauna urbana che gli si dipanava davanti. Da umano, non aveva mai notato certi particolari comprensibili solo a chi possedeva l’istinto del cacciatore: una ragazza incrociò la strada con lui ed egli seppe che aveva appena fatto sesso con qualcuno, l’odore dei feromoni era fortissimo, e passeggiava felice e svagata, quasi a un metro da terra, mentre le endorfine le pompavano vigorose nel cervello. Un tassista fermo a un semaforo suonava il clacson e urlava come un ossesso a chi gli stava davanti di muoversi, ma Alain sapeva che in realtà quello che stava provando era paura, paura di concludere anche questa serata con pochi clienti e tornare a casa con i soldi appena necessari per ripagare la benzina e la manutenzione dell’auto.

Alain sorrise soddisfatto: era come osservare una tempesta da dentro una casetta calda e sicura: quelle ondate di emozioni sotto forma di sensazioni e profumi si abbattevano su di lui senza lasciare alcuna traccia: il cacciatore non compativa le prede, il cacciatore le annusava unicamente per capire chi tra esse sarebbe stata la più gustosa da catturare quella sera.

Entrò in un night club. Questa sera non aveva proprio per nulla voglia di impegnarsi: metà della clientela era in uno stato alterato già prima di uscir di casa, e l’altra metà lo sarebbe diventata in capo ad un paio di minuti. I suoi sensi ipersensibili gli dissero chi, all’interno del locale, era ubriaco, chi era fatto, chi entrambe le cose. Fiutando l’aria poteva riconoscere gli spacciatori da quel misto di sentore chimico e tensione, oltre che dal rumore che facevano le pasticche rotolando l’una sull’altra nelle loro tasche.

Con un branco di prede in quello stato sarebbe stato facile nutrirsi, perciò decise di arrischiarsi maggiormente, tentando alcune delle tecniche che gli aveva insegnato il suo mentore.

Si avvicinò a una giovane ragazza che si stava dimenando sulla pista da ballo, persa in un momento di selvaggia follia prima di tornare alla sua piatta vita di cassiera del supermercato o contabile. Vestita con il minimo indispensabile per coprire le sue pudenda, scuoteva il proprio corpo come in preda a spasmi e convulsioni, in un patetico tentativo di entrare in contatto con la sua parte più selvaggia e ferina, la sua parte più libera. Non fosse stato il predatore che era, Alain avrebbe compatito quella povera fanciulla, poiché lui non necessitava di queste patetiche sceneggiate – la paura, come una saporita spezia, restava l’odore più forte – per entrare in contatto con la sua bestia interiore.

Camminò in mezzo alla pista, con passo leggero ma deciso, senza fissare altri che la ragazza, mentre con la mente emetteva un richiamo psichico a cui nessuno avrebbe potuto opporsi. Gli altri ballerini della discoteca, pecore che inconsciamente riconoscevano il lupo tra loro, si facevano da parte al suo passaggio, nonostante alcuni di loro fossero nettamente più grossi e muscolosi di lui. Ancora una volta, una semplice questione di odori.

Le arrivò davanti, e lei aveva già da tempo smesso di dimenarsi, paralizzandosi come una statua di sale mentre fissava il suo predatore come un cerbiatto fissa i fari di un tir che lo sta per travolgere. Da qualche parte dentro di lei sapeva che lui era la sua morte, ma non poteva distogliersi da quello sguardo, come se fosse valsa la pena morire solo per poterlo rimirare un minuto di più.

La musica, un profondo dub che proveniva dallo stomaco più che dalle casse del night, suonava ritmata e profonda, ma per la ballerina non c’era altra musica che la sinfonia del suo sguardo, mentre per il cacciatore esisteva solo il battito cardiaco della sua preda.

Alain afferrò con ferma gentilezza la mano della ragazza, e scosse la testa in direzione della porta del locale. Lei, senza alcuna esitazione, iniziò a seguirlo, docile come un agnello al macello.

Uscirono nella fredda notte, nel retro del locale. Alla musica del night si sostituirono i rumori della notte, composti da sirene, auto in corsa e cani che abbaiavano. Da qualche parte, in uno dei vicoli, qualcuno stava scopando, gli ansiti quasi a tempo con il sordo battito ancora udibile dall’interno del locale. I refoli del vento settembrino avrebbero dovuto risvegliare la ragazza dall’incantesimo che le era stato lanciato, ma lei non sentiva nulla se non lo sguardo di Alain, che si guardò velocemente attorno per un attimo per poi tornare a fissare gli occhi su di lei.

Alain la strinse a sé con mani forti, falangi che avrebbero potuto stritolare una pietra, e le fece reclinare leggermente la testa di lato, in modo da scoprire il collo e le sue ricche arterie, piene di nutrimento. L’eccitazione della caccia stava sopraffacendo anche Alain, che snudò i canini da vampiro, pronto a banchettare con il sangue della ragazza.

“Shtanotte sharai la mia cena, shquisita mortale!”

Per un attimo calò il silenzio, rotto solo dall’ansimare della coppia nel vicolo, che a quanto pare stava per raggiungere la punta del climax.

La ragazza ebbe come un sussulto, poi scoppiò a ridere.

Alain la lasciò andare, mentre la sua pelle color alabastro veniva chiazzata dal rossore della vergogna, vene che non avevano mai dimenticato come far affiorare l’imbarazzo sul suo viso. Tentò di ricomporsi, di tornare a darsi un tono. La fissò e cercò di lanciare nuovamente il suo richiamo mentale, ma dal vicoletto uno stridulo grido di piacere degno dei peggiori film porno lo fece deconcentrare, mentre la sua preda si piegava in due dal ridere.

Imbarazzato e vergognoso, fuggì rapido quanto le sue gambe ammosciate dall’imbarazzo gli permisero. Mentre attraversava la strada finì addosso a numerosi pedoni, che lo ringraziarono con bestemmi e improperi, finendo per ultimo quasi travolto dal tassista che aveva notato prima, che a quanto pare riusciva molto bene a mascherare il suo terrore per la serata andata male con una sequela di insulti e colpi di clacson, mentre con il suo udito finissimo non poteva fare a meno di continuare a sentire la irriverente risata della ragazza, che ormai doveva essere prossima alle lacrime.

“Shtupidi canini!” commentò, dopodiché si dileguò definitivamente, inghiottito dalla notte.