IL MUSEO DELLE ANIME PERSE 03

QUESTA BAMBOLA HA LO STESSO NOME
DELLA DONNA CHE HO NELLA MIA MENTE

Da qualche parte negli anni ’80, in un paese come l’Italia, dove ci sono ancora tante storie che vengono taciute, sprofondate in una sorta di sortilegio tra poteri forti e terrorismo, tra morti senza pace e reticenza…

Il paese è cambiato, sta cambiando…

Alla generazione di giovani imbevuti di ideali politici e sociali è seguita una generazione disincantata, interessata al proprio privato, al proprio stile di vita, al fare i soldi il più velocemente possibile senza doversi spaccare la schiena come i padri operai…

Le nuove televisioni private di un imprenditore brianzolo diffondono immagini di ricchezza e spensieratezza, donne nude e arrivismo frenato, forse unico vero lascito di quel mondo anarchico e rivoluzionario di pochi anni prima…

Anche la troppa libertà sessuale ha stravolto vecchi equilibri del mondo maschile. In ogni angolo di città, di strada, di caseggiato, c’è una ragazzina minorenne a disposizione di tutti. Ai fuochi delle meretrici, agli amplessi nei prati di periferia è subentrata una sessualità illimitata, automatica, consumistica…

Il cambiamento è arrivato anche nelle periferie del Sud, nei quartieri periferici, nelle borgate in mano alla malavita organizzata, dove i nuovi ragazzi, capelli corti e brillantina in testa, sognano nelle prigioni dei loro quartieri sfasciati…

Lande dai toni smorti, sature di ciminiere, condomini ragnatela stagliati contro la brutale banda cenere dei cieli, in un mimetismo di cemento, vialetti ingombri di rifiuti e hotel senza più clienti…

In queste contrade di anime morte del Ventunesimo Secolo, in questo pomeriggio da Sud Italia, due bambine con le mantelline rosse giocano con le loro bamboline, immerse nella loro innocenza. Queste “Cappuccetto Rosso” pettinano i capelli dei loro fantocci e regalano sorrisi ingenui a chiunque si avvicini… Un gruppo di adulti, di anziani sempre vestiti in qualunque stagione con giacche di lana e pantaloni di fustagno, le osserva da poco lontano. Loro non sembrano distinguere il pericolo. Il mondo dei grandi non è cosa loro, forse nemmeno esiste, ma si può davvero diventare grandi in un posto così?

Le ore del meriggio formicolante trascorrono nella solitudine, in un lungomare di calcinacci, polvere e sterrati di amianto, nell’ombra calda di un’umidità tropicale…

In questo paese abitato da un medioevo popolare e troppa pace apparente, ecco spuntare la solita partitella di pigri ventenni dalle facce già smunte, con qualche anno di galera sulle spalle, gli occhi socchiusi come foglioline, i capelli sporchi di terra e le bocche affamate di sole…

Il branco ha la stessa faccia.

Dopo una rovesciata, fischi, spintoni e abbracci i ragazzi mangiati dalla noia s’accorgono delle bimbe, già le conoscono, già le hanno viste gironzolare loro attorno in altri mille pomeriggi…

Quel giorno però c’è qualcosa di diverso nei loro occhi, una pupilla ingiallita d’odio, piena di macabra pornografia…

Scende il rosso del tramonto sulle torri dei palazzi e il terrore corre subito negli occhi di due madri che non hanno ancora visto tornare le loro bambine…

Due mantelline rosse vengono ritrovate negli sterrati dei campi, insozzate dal fango…

Qualcuno dice subito di aver visto la 500 bianca di quei ragazzi caricare le bimbe…

La paura contamina il borgo, accendendo le ossessioni popolari, le voci di una paura antica…

Le ritrovano nel letto asciutto di un rigagnolo, legate col fil di ferro l’una sopra l’altra, nella posizione detta “del lottatore”. Qualcuno le ha bruciate, fino a distruggerne completamente le parti intime. Prima di bruciarle però le ha seviziate con una lama, forse un punteruolo, abusando dei loro corpicini…

I carabinieri salvano i tre balordi da un linciaggio di massa, coi contadini già pronti ad imbracciare i forconi e le torce e andarli a prendere nei loro palazzoni sfasciati…

Mentre le indagini proseguono, una donna del luogo, una sedicente medium si presenta alla caserma dei carabinieri per rilasciare delle dichiarazioni spontanee: la donna afferma di essere caduta in trance e di aver disegnato una tela che raffigura il momento dell’omicidio. La medium vuole mostrare il dipinto automatico ai gendarmi, sostenendo che nella sua visione ad uccidere le bambine è stato un uomo adulto, non tre ragazzi del luogo. I carabinieri ringraziano e la mettono alla porta in malo modo (poi vengono pure a sapere che la donna, anni prima, in un momento di difficoltà s’era data per un breve periodo alla prostituzione in un appartamento della città vecchia), dimenticandosi per un po’ della cosa…

Le indagini intanto si concentrano sui tre balordi: interrogatori serrati e perquisizioni li costringono a cedere. Uno di loro, forse malmenato, confessa. Un amico del gruppo, un altro balordo tossicodipendente senza una gamba, dice che i tre frequentavano da tempo le bambine e che anche le vittime avevano atteggiamenti poco consoni alla loro età. Qualcuno ipotizza che fossero state avviate alla prostituzione dai familiari…

In pochi mesi si arriva al processo.

Lo si farà nel capoluogo, poco distante da dove si è consumato l’atroce mattanza. I tre accusati restano in carcere, in isolamento dagli altri detenuti. Al processo, da dietro le gabbie, continuano a professarsi innocenti. In loro difesa verrà sentita pure la medium. Gli avvocati difensori la fanno deporre. Davanti alla giuria la donna ripercorre la sua vita di stenti e il modo in cui, fin da bambina, ha manifestato una sensibilità particolare e doti di chiaroveggenza. Viene mostrato anche il dipinto naif, una tecnica mista di colori e forme che alludono al martirio delle bimbe. Nel dipinto medianico si distinguono le mantelline rosso sangue e l’auto del maniaco, una 500 di colore blu e non bianco come quella degli accusati…

La donna insiste nella sua versione, lei ha visto un uomo sui cinquant’anni, coi baffi e dall’occhio maligno, un’anima dannata condannata a ripetere all’infinito il suo crimine…

A sostegno della medium la difesa chiama anche a deporre un illustre studioso di parapsicologia dell’università di Friburgo, il prof. Franc, un ometto dai lunghi capelli argentati, occhiali dalla montatura sottile e una barba curata. Franc si agita, respingendo gli sguardi ironici della corte e gli insulti che volano dal pubblico. Per lui la parapsicologia e la medianità sono dei feed back della nostra vita psichica, relais mnestici dei nostri bisogni e desideri…

Nell’aula scoppia la bufera quando la medium, prima di essere invitata a tornare la suo posto, sostiene di aver evocato lo spirito delle bambine e di aver chiesto loro il nome dell’assassino. La gente la copre di insulti e anche i genitori delle vittime devono essere calmati a fatica, tanto che il giudice deve far sgombrare l’aula per alcuni minuti…

La medium venderà le sue confidenze a un settimanale di cronaca nera che pubblicherà ampi stralci della seduta medianica…

- Dove si trova l’assassino?

- Qui.

- Cosa fa ora?

- È con una donna che lo tiene nascosto e gli procura delle iniezioni!

- Lo conoscevate?

- Sì, ci aveva regalato delle bambole, era gentile.

- Ritornerà?

- Sì, verrà per prendere altre bambine…

Il processo subirà un forte ritardo, anche perché, in quel medesimo periodo si svolge un altro processo ben più importante che bloccherà il regolare svolgimento del Tribunale. Si tratta del processo per una grossa strage avvenuta a Milano, dove un ordigno ad alto potenziale ha provocato una carneficina alla fine degli anni ‘60. A peggiorare la situazione l’alto numero di disoccupati nella zona, un’epidemia di tifo e la presenza invisibile dell’ndrangheta a manovrare tutto…

Alla fine, per la strage si arriverà ad una condanna per dei terroristi neri del padovano; anche per le bambine verranno condannati all’ergastolo i tre ragazzotti del luogo. Tuttavia molti dubbi rimarranno in chi ha seguito il processo e in certa stampa. Alcuni anni dopo, durante una trasmissione televisiva in prima serata che ripercorrerà la vicenda, il presentatore inviterà la medium e mostrerà il suo quadro, chiedendo agli ascoltatori di telefonare in studio nel caso riconoscano l’auto e la descrizione fatta dalla donna del presunto assassino, l’uomo coi baffi e gli occhi maligni…

Una donna dalla voce incerta e dal forte accento meridionale, una voce che vuole restare anonima, dice di averlo conosciuto. Aveva una 500 blu. Era tornato a vivere da quelle parti dopo anni in giro per l’Italia. Ne fa pure il nome. Si trattava di un nobile della dolce vita che aveva lavorato come giornalista; durante gli anni ’70 scriveva per una piccola casa editrice che pubblicava romanzetti dell’orrore a poche lire sotto pseudonimi stranieri. Il conduttore, vivamente interessato, chiede all’ascoltatrice nuovi particolari, ma la donna dice che ormai non c’è più nulla da fare, che l’uomo è deceduto…

Altri giornalisti di nera si interessano alla faccenda e cercano un riscontro: si trattava di un conte decaduto, un genio sregolato che ha avuto molte vite, ha viaggiato moltissimo usufruendo e consumando il patrimonio di famiglia. Negli anni ’60 ha bazzicato ai margini del mondo dello spettacolo, poi si è arruolato in Marina, ha bruciato tutto in alcool e donne. Nel 1977, stanco di tutto, si è ritirato. Ha continuato a bere, annegando i suoi demoni, finché un’emorragia cerebrale l’ha ucciso pochi anni dopo il terribile delitto delle bambine. Sui suoi romanzetti usava molti pseudonimi: Max Sturgen, Oliver Preston, Doug Sidney, Jack Small, Carter Hopelius…

Nessuno è mai andato a perquisire la sua vecchia casa, una villa fatiscente ormai decadente, a frugare tra le sue carte, tra i manoscritti inediti, gli appunti di romanzi mai scritti e solo immaginati o appena abbozzati sulla pagina bianca…

Così come nessuno ha mai potuto sapere se si trattava dello stesso uomo intravisto in un paio di occasioni nel vecchio cimitero di campagna dove riposano le due bimbe, sepolte l’una accanto all’altra…

Una figura che, nei pressi del Giorno dei Morti, aveva cercato con un cacciavite di rimuovere la fotografia funeraria delle bimbe dalla tomba, forse per placare i propri fantasmi…

Davide Rosso