I RACCONTI DI VIBORG 03 – ÁINUN

L’Aiutante di Sala del Duca depositò nell’Anticamera di Mardùk una sedia a rotelle con un Allaghèn quasi del tutto immobilizzato in angolo della stanza e mi lasciò gli ordini del giorno. Era un Cavaliere dalla stazza massiccia e con una voce così cavernosa da ricordare ogni volta che parlava un giro di basso. Il soggetto paralizzato invece non l’avevo mai visto nell’Anticamera di Mardùk. Non chiedo mai cosa accada ai Cavalieri, vista la loro reticenza nello spiegarsi. Mi limito a obbedire alle direttive dell’Aiutante di Sala e del Duca.

“Signor Bang, oggi questi Allaghèn devono muoversi, non vogliamo che s’ingrassino a letto. Li porti nel giardino e stia attento che nessuno di loro ne approfitti per sgattaiolare fuori dal recinto.”

Era successo. Quelle creature sono così leste da farti uscire matto, ogni qualvolta devi controllare i loro movimenti. Riescono a infilarsi in un lampo in un’apertura piccola come una feritoia, fuggendoti. Non vanno lontani. Oltre il recinto c’è il parco del Castello dove si allenano i Cavalieri, ma è una seccatura per me, perché devo organizzare vere e proprie battute di caccia per riprenderli.

“Il Duca si raccomanda di portare a passeggio anche quello lì.” Indicò il soggetto paralitico.

“È  disabile, tetraplegico?”

L’Aiutante di Sala mi mise addosso uno sguardo gelato.

Non chiesi altro, limitandomi a un usuale: “Sì, signore.”

“Assicurati che stia all’aria aperta per un’ora almeno. Il Duca tiene molto a questo ‘signore’. Come vedi, non può darti problemi. A metà mattinata deve bere il suo succo di frutta. Trattalo con riguardo.” Si rassicurò.  Poi si allontanò nel suo mantello svolazzante.

Ormai conoscevo tutti e dieci gli Allaghèn usati da Mardùk. Non avevano nomi, ma sigle. Era facile ricordarsele perché venivano loro imposte in modo progressivo al momento della cattura. Il più anziano era M01 e, come ovvio, il più nuovo era M10.  Fra loro solo il Paralitico mi era estraneo. Mi avvicinai al suo viso. “ Sei il tesoro del Duca, dunque.” Ironizzai. Mi accorsi che il suo corpo non era irrigidito e amorfo come quello di chi ha perso le terminazioni nervose. Era muscoloso, seppure un po’ pallido. Venni attirato  dalle dita delle sua mani, quasi artigliavano a scatti i braccioli della sedia, con movimenti rabbiosi. Ero incuriosito da quella creatura. Cercai di capire chi fosse e quale scopo avesse per il Duca, vista l’ importanza con la quale mi venne raccomandata la sua cura. Portava solo una medaglietta d’oro al collo con un’incisione. Si trattava di una lingua runica che non avevo mai visto durante i miei studi di filologia antica, né il Duca mi accennò prima a qualcosa di simile. Quel pendente attrasse il mio istinto in modo feroce. In breve la mia mente volteggiò su ogni tipo di scrittura simile avessi studiato nella mia vita precedente. All’improvviso un dolore pazzesco mi strinse la testa, come un cacciavite che s’infila nel cervello, stringendolo. Udii qualcosa emergere da quella sofferenza, all’interno della mia mente :

“Namelor Ahinan Likomonyaor

Rassadaegaran iperakenn

Ramaniril elargissanir

Athiperassan peadararpim

Elabianaran”

Cercai di capire cosa mi stesse succedendo.

“Lascia perdere, è meglio credimi”.

Mi contorsi dal dolore. Poi intuii quale fosse la fonte di quel mio dolore. Alzai gli occhi sull’Allaghèn paralitico.

“Sei tu?  Cosa diavolo vuoi e perché mi ha fatto così male?”

“ Hai voluto sapere cosa fossero queste incisioni, no? Non sono crudele e non voglio ucciderti, ma se continui ti farai male da solo.”  Continuò a tarlarmi il pensiero quella voce.

Ora il dolore era scemato, ma rimaneva una pesantezza quasi insostenibile fra le mie idee. L’istinto di filologo però riemerse, incurante del mio sforzo: “Cosa, cosa diavolo significano queste parole?”

Quell’Allagghèn non muoveva la bocca, il suo sguardo era vuoto, ma lo sentivo inserirsi nella mia testa, connettendosi alle cellule nervose del cervello:

“Potenza di Nam Corona di Anhin Vessillo di Lukomon

Per il dominio della luce

Che regna sulle creature

Le Potenze proteggono il Regno di Dio.”

Sentii un respiro dolente e poi sia il dolore che la pesantezza nella mia mente cessarono, ma  continuò a parlarmi : “Non dovresti portarmi a spasso? Ti prego, andiamo fuori, vorrei sentire com’è l’aria fresca, è da tanto che non sto un po’ sotto il cielo.”

“Certo, certo. Adesso andiamo, il tempo di preparare tutti gli altri.” Gli risposi, atterrito dalla faccenda.

Feci vestire i miei assistiti, i sedativi appesantivano le loro menti, ma rimanevano creature vivaci, in grado di scattare fuori dalla porta in un baleno. Perciò mi assicurai di farli uscire uno per uno, attento che non si dileguassero oltre il recinto, approfittando di un attimo di mia distrazione.

Quando fui certo che tutti erano al sicuro nel giardino protetto, presi le maniglie della carrozzella con lo strano Allaghèn e la spinsi davanti. A guardarlo bene era molto più emaciato rispetto ai suoi simili. Con la scusa di coprirlo meglio lo osservai con più attenzione. La pelle delle braccia era tumefatta. I polsi portavano pesanti segni di catene. Le vene dovevano essere state perforate da cannule grosse come bambù. Le labbra erano screpolate e  quasi cianotiche, con del sangue incrostato agli angoli della bocca. Tuttavia i suoi muscoli erano ancora solidi. La violenza con la quale le sue mani arraffavano in modo spastico i braccioli mi rendeva inquieto. Era una contrazione feroce e non sapevo se la controllava oppure era una specie di spasmo nervoso. I suoi occhi erano sempre corrugati in un piglio tenebroso. Tutto in lui mi dava l’idea di una persona che stesse rimuginando su un torto tremendo ai suoi danni.

Scattai dritto quando dalla porta apparve il Duca. “Vostra Altezza.” Chinai il capo con reverenza.

“Sei curioso del tuo nuovo ospite, Peter?” mi disse, avendo notato il mio interesse per la creatura immobilizzata. Quest’ultima si accorse del suo arrivo, vidi le sue labbra serrarsi, e le dita afferrare i braccioli tanto da entrare nella stoffa dei cuscini. Gettò gli occhi sul suolo, quasi a  non voler vedere il viso del Duca.

Sentii il dolore di prima assalirmi di nuovo.

“Non ti azzardare neppure!” urlò il Duca all’Allaghèn sulla sedia a rotelle.

Questi deglutì e mosse gli occhi sempre abbassati, come a volergli fuggire dalla vista. La voce simile al ruggito di una belva mi lasciò senza fiato. Non avevo idea di quanto potesse essere profonda quella voce. Immaginai il suo nemico scosso dal suo urlo di guerra.

“Non devi respirare se non te lo dico io!” continuò.

Non osavo chiedere spiegazioni. Se non era per il terrificante mal di testa impiantato dall’Allaghèn, era per la reazione del Duca, in quel luogo avrei di certo sofferto, se avessi fatto delle domande. Ma fu il Duca a dissipare qualche nebbia in quell’irreale situazione: “Quest’animale è il primo degli Allaghèn Selvatici catturati.” mi spiegò “Si chiama Áinun” .  Áinun, ‘primo’ nella lingua del Duca.

Cominciai a farmi coraggio: “Perché è su una sedie a rotelle?”

“E’ una fonte inesauribile. Un tesoro inestimabile per il Progetto. Mardùk vorrebbe metterci le zampe tutti i giorni. Ma lui non è mio, né del Vecchio. Lui appartiene all’Altare Maggiore di Alath. Le Potenze del  Rango Nero e io ci occupiamo di tirargli fuori l’energia che serve alla nostra tecnologia. Alath mi ha affidato la sua ‘educazione’ e la preparazione al Rito di Assunzione.”

Il Rito di Assunzione è quello che Mardùk impone ai poveri Allaghèn della sua anticamera. Immaginai che vi fossero diverse ritualità per estrarre da quei disgraziati la loro energia.

“E’ un soggetto molto potente. L’unico del suo genere. Va tenuto sotto costante controllo, altrimenti può ridurre una mente non esperta in una poltiglia amorfa. Le sue energie sono estratte  in modo costante e quotidiano, sicché non gli rimane molta forza in corpo per potersi muovere. Inoltre è meglio che non abbia tanta smania di correre, altrimenti non potresti neppure avvicinarti. La sua forza è smisurata. Quello che riusciamo a ottenere dalla sua energia è incredibile. Da solo potrebbe far funzionare un’intera flotta di astronavi nello spazio profondo.”

“Non mi avete chiesto di lasciarvela usare.” Udii nell’aria.

Il Duca stavolta non urlò. Gli si fece vicino e sollevandogli il volto lo costrinse a guardarlo negli occhi. Per lui sembrava una sofferenza inaudita, il suo respiro si fece rapido e sottile. L’Uomo gli sfiorò la guancia con una carezza sinistra: “Calmati, Áinun, non c’è convenienza nell’ostilità, ricordi quanto ci siamo detti?”

L’Allaghèn annuì tacendo.

“Sei stato premiato, oggi, perché in questi ultimi giorni non ci hai dato problemi. Vedi che se non t’arrabbi c’è solo guadagno per te? Non siamo tanto cattivi, vero?”

Si sparse un sospiro dalla mente dell’Allaghè: “Vero…”  

“Peter, ti lascio un incarico e comprenderai di certo come sia primario per me. Occupati di Áinun quest’oggi, voglio che si godi questa giornata di libertà. Se dovesse crearti problemi, chiama Gundir, lui lo riporterà in camera.”

“Sì, Vostra Altezza. Ho solo una domanda.”

Il Duca mi lasciò parlare

“Volevo sapere se c’è un modo di comportarsi particolare con lui.”

“ Certo, c’è.” Sospirò “Non gli dare troppa confidenza. Non gli dire nulla di te, non scambiare opinioni private o personali. Limitati a trattarlo come un tuo assistito speciale e null’altro.”

Come sempre nel tono del Duca riconobbi un’intenzione nascosta. Occuparmi dei “diamanti di Mardùk” come chiamavamo i dieci Allaghèn della sua Anticamera non fu un incarico affidatomi a caso. Il Duca vuole condurmi da qualche parte della ragione, ma non riesco a capire dove. Ora mi aveva affidato la sua gemma migliore. Il pezzo più prezioso della loro collezione.

“Duca, posso osare di chiederle cos’è quel pendente al collo di Áinun?”

Il Duca oscurò lo sguardo: “Non ora, Peter.” Ringhiò. Poi mi lasciò solo.

La giornata era fresca, ma in questa dimensione avulsa dal resto del tempo e dello spazio terrestre, tutto sembra ‘nuovo’, come appena iniziato. L’aria che si respira, il cielo, le nuvole, sembrano comparsi appena il giorno prima nell’universo. Cerco di sentirmi parte della natura del luogo, ma sono sicuro che neppure gli alberi del Giardino hanno radici, ma sono stati appoggiati da un architetto invisibile. Non riesci a entrare in sintonia con la natura di questo luogo, forse perché non c’è una natura con la quale sintonizzarsi.

Mi avviai verso una panchina avvicinandomi con la sedia a rotelle dell’Allaghèn.

Ero attratto dalla sua storia, in qualche modo nel suo vissuto rispecchiavo il mio.

“Sei bravo a farti accarezzare dal Capo.” Mi sussurrò nella mente.

Mi voltai, accigliandomi, offeso.

“E neppure sai perché io sia qui con te.” Continuò

“Non hai il diritto di parlarmi in questo modo.”

“No, non ce l’ho. Tu non hai il diritto di mentire a quei poveri disgraziati ogni giorno. Dì loro che tanto moriranno tutti, spolpati dalle zanne di Mardùk.”

“Anche se lo facessi il loro destino non cambierebbe.”

“Ma il tuo sì.”

“Che cosa vuoi dire?”

“Sei qui perché hanno bisogno di renderti docile, di avvezzarti alla loro violenza. Devono lavorarti, togliendoti quanto di umano ti rimane.”

“Non ho scelta!” scattai in piedi “E tu non puoi dirmi queste cose!”

“Scelta? Prova a disubbidire al Duca.”

“Non sopravvivrei.”

“Io sono sopravissuto. Ma capisco che rimanere attaccato alla proboscide di un dio che ti succhia il sangue per quattordici ore al giorno, non è un’aspettativa degna di essere chiamata vita.”

“Cosa vuoi dire per ‘ mi stanno lavorando’?”

“Loro sono pazienti. Sanno che prima o poi la tua mente smetterà di interpretare, limitandosi a registrare gli eventi.”

“E tu, tu hai disobbedito.” Replicai.

“Sì, ma ahimè, sono anche il tesoro del loro dio: con la mia ribellione non ho fatto altro che fornirgli ancora più energia. Così lui mi tormenta, cerca di portarmi sempre al limite della distruzione.”

La sagoma massiccia di Gundir comparve nel giardino. Il tempo della ricreazione per i miei assistenti terminò. Mi sollevai e presi la sedia a rotelle. L’Aiutante di Sala mi aiutò a radunare i pazienti e a rimetterli a letto.

Era quasi l’ora di cena e stavo preparando gli Allaghèn per il pasto, quando Gundir mi chiamò: “Signor Bang, per questa sera ci penserò io. Lei deve recarsi da Vostra Altezza, al Tempio.”

“Ho capito bene, Signore? Al Tempio?” farfugliai, impietrito per la sorpresa.

“Cos’ ha le vertigini per l’emozione, Signor Bang? Ha capito benissimo.” Ridacchiò il Cavaliere.

Il Tempio era la parte del Castello più oscura e a me interdetta con un veto mortifero.

“Ma io…io non sono puro, non ho eseguito i sacramenti…” balbettai.

“Lo sappiamo, Signor Bang, stia tranquillo.” La sua aria era beffarda e questo mi seccò  “Vostra Altezza le detterà ogni istruzione necessaria per non offendere Nostro Signore, il Misericorde Alath. Vada sereno.” Aggiunse “Deve portare con sé il nostro pupillo.” Fece, indicando la sedia a rotelle.

Obbedii con un’ansia pazzesca. Sapevo come si arrivava al Tempio. Ero sempre giunto sino ai suoi neri portoni, arcigni confini per me inviolabili. Spingendo l’Allaghèn percorsi il tunnel  sino  ai battenti sacri.  “Eccoci a casa.” Fece la creatura.

Non sapevo cosa fare. Non avrei potuto varcare il soglio sacro di quel luogo, altrimenti la mia testa sarebbe rotolata a terra,  decollata dalla spada di un Cavaliere di guardia. Ma l’ordine era di raggiungere il Duca. Il sudore cominciò a impregnarmi le mani. “Sta’ calmo, uomo.” Sentii dirmi dall’Allaghèn. “Se il Capo ha detto di volerti lì, una ragione ci sarà, no?”

Il portone si aprì e un  guardiano del Rango Nero mi venne incontro: “Signor Bang, mi segua con l’Allaghèn.” Fece. Presi a spingere la sedia a rotelle entrando nella Zona proibita. Il tempio è immenso. Una selva di colonne disorienta la tua attenzione, per destabilizzarti del tutto quando arrivi all’abside centrale, l’Altare Maggiore, uno spazio vuoto, con un anello di pietra sospeso in aria attraverso una diavoleria antigravitazionale insita nella sua struttura. “Non attraversare l’Altare maggiore, Bang.” Mi avvertì l’Allaghèn. Infatti la guardia: “Lei non può calpestare l’abside.” Mi intimò “Passeremo sul perimetro” lo seguì, attento a dove mettessi i piedi. Mai come da alcun’altra parte percepii tutta la tradizione e l’esistenza del Dio del Duca. Il respiro della sua essenza di luce sembrava impregnare ogni cosa. Non riuscivo a farmi un’idea sul tipo di Rito che seguissero in quel luogo dall’architettura così caotica.

La sagoma del Duca era imponente in un’ala appena oltre il Perimetro inviolabile. Aveva indosso un abito cerimoniale bianco e d’oro, un mantello con uno strascico pesante: “Bene, Peter, avvicinati.” Mi fece. Lascai le manopole della carrozzina e mi approssimai. “Spogliati.” Mi ordinò. Rimasi impietrito. Non sapevo a che tipo di vestito alludesse che mi togliessi. Mi sfilai la casacca.

“Tutto, Peter, devi toglierti tutto.”  Continuò. Voleva che rimanessi nudo. Ero impietrito dalla paura. Sapevo cosa i loro Riti comportassero. Sacrifici e sangue. Ma non potevo mostrarmi debole. Mi svestii.  Avvertii un senso d’umiliazione, con gli occhi dei neri sacerdoti addosso. “Inginocchiati.” Mi fece il Duca “E non avere paura, da oggi rinascerai senza la colpa di tuo padre, Caino.” Intanto due sacerdoti  del Rango Nero, creature che sospettavo essere umane, vista la stazza e la figura delineata dai loro sai neri, si avvicinarono all’Allaghèn, il quale s’innervosì, cercando di voltare il viso. Lo presero di peso e quasi lo sbatterono su un tavolo di marmo bianco, intarsiato con cura artistica, dall’aspetto antico. Lo assicurarono con delle cinghie. La scena era terrificante. I due si accostarono al Duca e gli bisbigliarono qualcosa nell’orecchio. Lui assentì. Gli incappucciati si misero dietro il tavolo di marmo e aspettarono. “Peter Bang, prostrati.” Mi ordinò con una voce talmente profonda che sentii il cuore scendere nello stomaco. Mi mise una mano sulla testa e fece pressione, sospingendomi a terra.  Ero in balia delle loro emozioni. Un’aria greve, solenne, s’ abbatté sulla mia mente. La voce del Duca:“Peter Bang, accetti il comando di Adamo, unico Re della Terra e di ogni creatura vivente che l’abiti?  “Dì ‘ sì lo accetto ’  oppure ‘non accetto il comando di Adamo’ assumendoti piena responsabilità della tua risposta e delle conseguenze che questa comporterà.”

Ma di che parlava? Le conseguenze se avessi scelto la seconda possibilità? Che la mia testa avrebbe rimbalzato attraverso il Tempio!

“Sì, accetto.” Dissi.  Il Duca si abbassò perché la sua mano non poteva raggiungere la mia testa. Mise un ginocchio a terra e : “Ascolta il tuo servo più leale Adam, oh Dio di tutti gli Dei, nato dalla Luce Bianca, Signore dei Mondi. Ti presento questo figlio purificato dalla colpa di suo padre Caino, perché entri nella Tua Casa come un uomo nuovo, protetto dalla mia mano. Benedici il Nome che il tuo servo Janas Erik Matthia Duca di Kargaard ha scelto per questo nuovo figlio, e fa che non ceda alla tentazione di Azyrath.” Uno degli esseri vestiti con il saio nero, senza preavviso mi stese una pesante coltre color neve su tutto il corpo. Non vidi più nulla, sepolto da quel tessuto così opprimente. Il Duca: “Giurando lealtà ad Adam accetti la tua rinascita, uomo nuovo. Il Sangue Reale ti proteggerà e darà asilo dal resto del mondo. Ti difenderà qualora i tuoi nemici ti assalgano, renderà onore al tuo nuovo nome agli occhi di Dio Onnipotente. Per la gloria di Adam tu rinascerai e vivrai.” Sentii la sua voce farsi ancor più possente: “Io ti chiamerò in nome di Dio, Dakousaepek Tanagoudenal.” Intuii il senso di quel nome come ‘sapiente di lingue’. Dunque adesso cosa sarebbe cambiato in me? Non ero più Peter Bang, avevano soffocato con quella coperta bianca la mia vecchia identità?  Due creature del Rango Nero  mi tolsero di dosso la tremenda coltre. Il Duca mi fece alzare in piedi. Mi pose la sua spada davanti: “Dakousaepek Tanagoudenal accetti il mio potere sulla tua vita?”

Risposi con un sì sussurrato. Poi d’istinto baciai la lama dell’arma. Era la richiesta di fedeltà alla mia nuova identità. Il Duca mi mise la mano sulla testa: “Dakousaepek Tanagoudenal ascoltami: Tu sei un uomo di Adam, adesso, rinato come Dakousaepek Tanagoudenal, e darai la tua vita, il tuo corpo e la tua anima al Sangue Reale per volontà di Dio Onnipotente Alath.”   Quindi gli esseri con il  saio m’indossarano una camicia bianca dal tessuto ricamato. Poi m’avvolsero un pezzo di tessuto bianco attorno alla vita che scendeva fino alle caviglie.  Terminata la vestizione i due si scostarono facendo posto al Duca, il quale mi allacciò sulla vita un cordino rosso, proferendo: “Il Sangue Reale è la tua patria, la tua anima, la tua vita.” Il Rito era concluso.  Mi ritrovai vestito come uno strano manichino, con stoffe preziose e immacolate. Ero un uomo nuovo, un uomo di Adam. Mi chiesi cosa sarebbe cambiato per me, adesso. L’emozione mi tagliava il respiro. Ora potevo accedere alle aree perimetrali del Tempio e pregare insieme ai Cavalieri. Il Duca si voltò verso le creature incappucciate che incombevano su Áinun: “Procediamo.” Disse.

Poi mi fece: “ Vieni con noi e qualunque cosa accadrà, non fiatare.” Entrai nell’ala del Tempio dove era sistemato il grande tavolo di marmo. “È l’Altare dell’Assunzione.” Mi spiegò “ Viene usato per il Rito più importante che serve alla nostra Tecnologia.”

“È qualcosa di simile al Rito di Mardùk?” chiesi

“ E’  un atto sacro gestito direttamente da Alath. Non ci sarà sangue. Ora taci.”

L’atmosfera si fece pesante. Un  odore improvviso di incenso bruciato mi prese lo stomaco. Vidi l’Allaghèn contorcersi, per la prima volta sentii la sua voce dalle labbra: “Pietà, abbi pietà!”

Poi come se un dolore mortale gli avesse reciso i sensi, tacque e il suo corpo si afflosciò. Una luce abbacinante si accese come una piccola aurora nell’anello di pietra sospeso sulla zona sacra. La luce s’irradiò in un fascio potente. “Alath” sentii dire all’Allaghen, aveva ricominciato a parlare con la mente “Alath sei un povero stupido. Prendimi pure ogni goccia del mio sangue, bevi tutta la mia vita, per quanto ancora pensi che la tua civiltà si possa nutrire della carne di innocenti?”

Guardai il Duca, i suoi occhi si incendiarono. La voce divenne un tuono: “Maledetto demone, non osare pronunciare il Suo nome!” parve scuotere le colonne del tempio, inorridii a quel ruggito inumano.  L’Allaghèn trovò il coraggio di rispondere: “Servo di un padrone idiota, dimostra almeno tu la tua saggezza. Potresti uccidermi, lo so,  e come me molti altri.. Mi chiedo quando tornerà Adam!”

“Ti ordino di smetterla, lurido demonio!” l’ira del Duca travolse l’Allaghèn, che si contorse spasimando. Intanto la luce bianca era nel Tempio. Il Duca le si rivolse con una reverenza quasi commossa: “Nostro Signore, perdonami perché non tengo a freno la lingua forcuta di questo diavolo.” Un fragore di tempesta avvolse tutto, e divenne la sua risposta: “Adam, non è stato forse detto: ‘l’Uomo non segua la voce degli Allaghèn, perché essa conduce alla follia?’.”

Il Duca chinò il capo, in segno di comprensione. “Allor dunque il Tuo Signore ti dice: ‘lascia che questo demone  parli, perché il Signore Dio Tuo non teme la follia.’.”

“Chiedo perdono se ho parlato come un mortale.”

La Luce passò sul corpo dell’Allaghèn, da questo parve evaporare una specie di aura blu intenso, che andò a fondersi nell’anello di pietra, ingigantendo la stella bianca al suo interno. Fu la cosa più violenta a cui assistetti. Il corpo sembrava sfaldarsi , mentre quella luce l’abbandonava. La pelle era quasi avulsa, come fosse un serpente nella muta. Vidi le sue arterie che pulsavano in modo convulso, quasi stessero per esplodere. Le cinghie a stento contenevano gli spasmi della braccia. I due esseri incappucciati si avvicinarono, entrarono in quel bagliore orribile e infilarono nelle vene della creatura degli aghi grossi come pistoni. Da una flebo del liquido trasparente s’introdusse nel suo corpo.  Poi, l’Allaghèn travolto da una sofferenza infinita perse i sensi. La luce bianca si ritirò rientrando nella stella, ora gonfia e pulsante. Poi scomparve tutto. Il Duca si fece vicino all’Allaghèn, gli diede dei lievi colpi sulla faccia, perché si riprendesse. Mi resi conto che il mio volto ardeva, come se fossi stato ore sotto una lampada a  raggi ultravioletti. Presero a dolermi tutte le ossa. La pelle mi tirava ovunque.  Sentii una sete mai provata prima. Gli Incappucciati prestarono alcune cure all’Allaghèn assieme al Duca. Poi questi si rivolse a me: “Dakousapek, non fare l’errore di bere adesso.” Mi avvertì. Poi ordinò a uno del Rango Nero di accompagnarmi fuori. Prendemmo una porta laterale, una specie di sagrestia.

Mentre mi riposavo da quell’inferno, su un divano,  il Duca mi raggiunse. L’essere dal saio nero lo aiutò a dismettersi la pesante tonaca e il mantello cerimoniale. Quindi si versò del whisky in un bicchiere e venne a sedersi accanto a me. “Non ti offro da bere, uomo, perché tu non devi toccare nulla di liquido sino all’ora di cena.”

Non capii il motivo di quella proibizione: “Dobbiamo rispettare qualche tradizione legata al mio battesimo, Duca?”

“Non è per questo. Il tuo organismo non è adatto alla Luce di Alath, hai assorbito radiazioni in quantità sufficiente per uccidere all’istante uno della tua famiglia. Ma essendo stato battezzato, hai goduto della nostra protezione e non sei morto. Però attieniti alla prassi di sicurezza se vuoi continuare a vivere. I Nuovi Uomini  non devono  bere dopo il Rito dell’Assunzione. Con il tempo gli isotopi scemeranno, grazie al trattamento e alla medicine che fra poco ti somministrerò. L’idrogeno dell’acqua adesso potrebbe ucciderti.”

“Vostra Altezza, non s’adiri se lo chiedo. Ma in che modo posso esservi utile in quel Rito?”

Il Duca mi scrutò con occhi di ghiaccio. Mi sentii colpito sin nelle viscere da quel suo sguardo feroce. Mi rispose: “Se ho scelto la tua presenza nel Tempio è perché mi ritorni utile. Il vizio delle domande futili non ti passerà mai.” Sospirò bevendo un sorso di liquore “Oggi non hai compiuto il tuo incarico, perché eri stato appena battezzato. Presto comincerò ad addestrarti. Per buona parte delle lezioni avrai il piacere di allenarti con Mardùk.” Ebbi un fremito orrendo. Solo una volta vidi nella penombra il corpo di quella mostruosa entità. Conoscevo la cattiveria con cui trattava le vittime dei suoi Riti. “Se non lo fai infuriare, Mardùk può persino mostrarsi ospitale. E sotto di me me, è l’unica autorità in grado di introdurti nel Rito dell’Assunzione. Delegherò a lui quindi molte cose che riguarderanno la tua formazione. Non ci deluderai. Sei un bravo soggetto.”

“Vostra Altezza, perché quella creatura ha gridato ‘mi chiedo quando tornerà Adam’?”

Il Duca assunse un’aria ironica e al tempo stesso sadica. “Ascolta la tua Prima lezione da Uomo Nuovo, mio caro Dakous.” abbreviò il mio nome “Quelli del tuo infimo livello d’iniziazione non possono porre interrogativi in forma diretta ai superiori. Ti consiglio di attenerti in modo severo alle regole che ti verranno dettate lungo il cammino della tua iniziazione. Non tollero chi si dimostra inadempiente. Ora sei un Uomo Nuovo, appartieni ad Adam, a me; non puoi tornare indietro, non c’è un contratto. Se non obbedisci, imparerai a farlo. E Mardùk è bravo nell’insegnare la disciplina.”

Che Adam dal momento in cui mi trascinò nel suo mondo, avesse divorato la via del mio ritorno, mi era chiaro sin dall’inizio di questa storia.

Appunti ritrovati di Peter Bank: La Tradizione del Rango Nero

Il Combattimento di Adam

Il panorama sul lavoro di Peter Bang si fa sempre più completo con l’andare avanti della mia ricerca. Altri fogli del lavoro di Peter Bang sono stati ritrovati nei pressi dell’Anticamera di Mardùk. Il documento che abbiamo sotto gli occhi lo recuperai in tre parti divise. Sulle prime, pensai si trattasse di un gruppo di tre fogli a sé stanti. Ma poi lavorandoci con l’interpretazione mi sono accorto che si trattava di un’unica carta frammentata. I bordi erano ben recisi, quasi fossero tagliati da una lama: perciò ho pensato che Bang avesse, di proposito, suddiviso in tre parti un unico foglio. Non avevo idea del motivo per cui lo fece.  Poi un altro pezzo del foglio, ritrovato nel suo quaderno degli appunti,  mi diede la risposta all’enigma: un deliro, forse un incubo nel quale era entrato Peter Bang, negli ultimi giorni del suo servizio, presso l’Anticamera di Mardùk.

Il documento che vi lascio tratta di uno studio sui primi tre paragrafi del Timaràsarir Adamou (Il Combattimento di Adam), appartenenti alla Tradizione del Rango Nero, una casta sacerdotale segreta che svolge il suo ministero all’interno del Tempio Occulto, nel Castello. Il Rango Nero è un ceppo  umano parallelo alla Famiglia di Adam, creato da Alath per il preciso e unico scopo di servire nel Tempio Occulto.  Avrò modo di raccontarvi di questa genia maledetta in avvenire.

Il Testo studiato da Peter Bang è  nella sua forma originale in Adamurik, un’antica lingua della mia famiglia, ormai  usata solo dal Rango Nero. Avevo lasciato all’uomo la possibilità di studiare la Tradizione di Ayurta, l’epopea della Guerra Civile fra gli Dei.  In particolare il capitolo dal quale sono stati estrapolati questi tre paragrafi narra le gesta del Luogotenente di Alath, durante la sua lotta contro i Ribelli del Regno d’Aurora, per riportare pace nelle terre del Dio. Ayurta infatti è il campo di battaglia dell’ultimo combattimento della Guerra Civile. Un mondo che Adam ha dovuto conquistare in nome di Alath, una guerra costata innumerevoli vite.

Ma Adam ebbe la sua vittoria. E questi paragrafi narrano l’ultimo  duello.

Peter Bang annotò un’iscrizione in latino, una specie di traduzione del primo paragrafo. Non è la prima volta che il Latino compare in uno dei suoi documenti. Mi chiedo se questa lingua non fosse lo specchio della sua identità umana ormai perduta. Perché il Latino e non il Danese, sua lingua madre , o l’Inglese?  L’uomo non parlava quasi più il Danese. Coi suoi superiori e con me interloquiva con il Kitosirawan . Credo che negli ultimi tempi, al servizio del Rettile Mardùk, i suoi ricordi  si siano logorati in modo irrimediabile e perciò pensasse di recuperarli con il Latino.

Janhas Erik Matthia Duca di Kargaard

[Traduzione del testo]

1- [testo in Kitosirawan]

Circa le Tradizioni del Rango Nero.

Il Rango Nero racconta il combattimento presso Ayurta e tramanda il duello  di Adam contro le milizie dei ribelli di Azyrath.

La Lingua del Rango Nero è l’Adamurik: questo vecchio idioma è utilizzato per la Tradizione Sacra.

2 – [testo in Adamurik]

1 – La Regina d’Aurora, Azyrath, raduna nel deserto di Ayurta gli ultimi capitani delle milizie ribelli per opporre una barriera all’avanzata (alla marcia) di Adam e dei suoi alleati.

2 – L’Esercito degli Empirei si scontrò con i Ribelli nella Pianura di Ayurta

3- Adam attaccò i ribelli con l’Armata dei Draghi.

3 – [testi in Kitosirawan, Adamurik e in Latino]

La Regina d’Aurora, Azyrath, raduna nel deserto di Ayurta gli ultimi capitani delle milizie ribelli per opporre una barriera alla marcia di Adam e dei suoi alleati.

4- Annotazione ritrovata [testo in Kitosirawan]

Spezzo questo foglio perché i morti non ritornino.

Alessandra Biagini Scalambra