ADAMARAN 05 – GLI ABISSI DELLE VANDÀM: PARTE III

TRAILER 09

Oscure Evocazioni

I)

Non era ancora sorto il pallido sole del Grande Freddo, e la sagoma avvolta dal pesante mantello del marinaio, aspettava al molo. Le barbe dei due Uomini erano intirizzite dalla gelida condensa del vapor acqueo.

“Ti ringrazio per il tuo interesse e il tuo tempo, Adam.” Fece il coriaceo navigatore  “Vieni a bere  del the, così ci scalderemo.” Entrarono nella Madrilang. Fecero colazione. Ragùl offrì dei dolci portati da Jagbad, dopo un lungo viaggio nei mari del Sud. Adam ne prese un bel po’, convinto che sarebbero stati una gradevole sorpresa per il  giovane Allaghèn. Per non abusare dell’ospitalità di Ragùl,  Adam gli lasciò delle erbe molto rare, adatte a curare febbri e nausea.

“Hai scoperto qualcosa di quel pezzo di carta?” chiese Ragùl.

“Prima dimmi una cosa, amico mio. Oltre questo, c’erano altri fogli?”

“Mankaas prima che partissi, mi parlò di un posto insolito, avvistato durante una traversata. Mi descrisse la sua insolita conformazione; non distava molto da dove abbiamo raccolto questo foglio.”

“Cos’è che aveva visto con esattezza Mankaas?” chiese Adam.

Ragùl scosse il volto, innervosito:“Di preciso non lo saprei. Parlò di un’isola. La cosa mi suonò strana, perché sulla rotta che abbiamo preso non c’è alcun’isola. Lasciammo a dopo le spiegazioni, Mankaas mi disse che ne avremmo riparlato con te, qui.”

“Non mi hai detto nulla di quest’isola, prima.”

“Non l’ho fatto, Adam, perché ero in ansia per il ritardo di Mankaas, e tutt’ora, ho i brividi. Più passa tempo, più temo che abbia fatto una sciocchezza, quel dannato cocciuto impulsivo!” fece, sbattendo il pugno sul tavolo.

“Pensi sia andato su quell’isola senza aspettarci?”

“Temo che lo abbia fatto. Mankaas ha il fuoco nel sangue, ma credo che il sale gli mangiato il cervello se ha fatto una cosa simile!”

“Sicuro che fosse realmente un’isola, ciò che ha visto?” Continuò, Adam  pervaso da un dubbio.

“Che altro poteva essere? Un marinaio non si sbaglia su certe cose.”

“Ma potrebbe avere delle allucinazioni.” Suggerì il Primo Uomo

“Miraggi?” schioccò le labbra, come se la cosa non potesse sfiorare lui né il suo amico.

Adam si spinse in avanti sul tavolo: “Ascoltami, Ragùl, questo papiro proviene dalla Prima Era e si tratta di un’Evocazione.”

L’Uomo rimase impietrito davanti ad Adam: “Prima Era? Ma di cosa stai parlando, Primo Uomo?”

Il volto di Adam rimase scuro. Ragùl comprese che la cosa si stava facendo davvero complicata: “Cosa pensi sia accaduto a Mankaas?”

“Non ne ho idea. Un’Evocazione serviva al popolo che le scriveva per richiamare l’attenzione dei propri capi. Ma non funziona se viene letta da bocche umane. Inoltre non penso che Mankaas  conosca questa lingua.”

“No, Adam, non la conosce affatto. Come non ne ho conoscenza io stesso.” Replicò

“Il fatto del delirio te l’ho chiesto, perché ho temuto che il nostro amico avesse potuto commettere qualche sciocchezza, giocando con queste parole, ma dal momento che nessuno ha mai visto questi geroglifici, Mankaas non avrebbe potuto leggerli.”

Ma Adam presagiva un’altra realtà oltre le sue parole. Ragùl riconobbe l’aria tesa del Primo Uomo come un oscuro presagio. I due rimasero a discutere sul papiro, quando un Uomo, giovane e piuttosto tarchiato quasi buttò  dentro la Marilangan.

“Adam! Adam!” gridò trafelato.

L’Uomo si alzò per andargli incontro, colpito da quella fretta.

“Al molo, vieni!”

Adam, insieme a Ragùl e agli altri, sopraggiunti alle grida, seguirono il giovane sconvolto.

“Mi venisse un accidente! È Mankaas!” sbottò Ragùl, chinandosi per soccorrerlo.

“La sua barca l’ho recuperata questa mattina, il mare era congelato e la stava stritolando. Per fortuna era già molto vicina alla costa e l’ho potuta vedere.” Disse il giovane.

L’uomo era stravolto, senza sensi, con il viso bruciato. Le sue vesti erano ridotte a brandelli, come fossero state dilaniate. Adam si abbassò per capire cosa gli fosse accaduto.

“È ferito.” Notò.

“Portiamolo nella mia barca!” gridò Ragùl.

Gli Uomini misero il ferito su una lettiga e lo portarono nella Marilangan.

Adam si prese cura di lui: “Adesso non è in pericolo di vita, ma deve riposare. Chiamatemi quando si sveglia. Io vedo di cercare qualche spiegazione per  questa storia. Mi trovate nella mia tenda.” Fece, indossando il mantello.

Nella tenda l’Allaghèn ascoltò il racconto di Adam su quanto era accaduto a Maankas.

“Che si fosse accesa da sola, l’Evocazione?” avanzò .

L’Uomo lo guardò con interesse, ripetendo: “Da sola?”

“Hai detto che quell’Uomo, il marinaio ferito, aveva il viso bruciato. Forse leggendo una volta di troppo quel foglio ha sollecitato le sue forze misteriose.”

“Da quanto parli in questo modo?” si drizzò Adam, sorpreso.

L’Allaghèn invece rimase stupito dalle  parole di Adam: “In che modo devo parlare?” 

“Con tutta questa logica. Stai usando l’Esperienza, giovane?” domandò l’Uomo intuendo qualcosa nel suo amico.

Questi gli rispose quasi intimidito: “Mi viene naturale, certe volte.” L’Allaghèn stava imparando a muoversi nella sua dimensione. Stava crescendo.

“Va’ avanti, m’interessa quello che dici riguardo all’Evocazione.” Disse Adam.

Pieno di quella stima, non si fece pregare : “Forse, pur non sapendo leggere i geroglifici, il solo volervi  trascinare fuori un significato, è stato sufficiente per scatenare  qualche strana forza occulta; chissà,  magari questa strana energia si celava proprio nella sua rotta di navigazione.”

“Ma come fa un pezzo di carta a capire che lo stai leggendo?” S’accigliò Adam.

“Se è un ricettatore di emozioni, magari.” Rispose, e la sicurezza del suo amico sembrava crescere, maturando insieme a una nuova consapevolezza.

“Dunque questo foglio sarebbe un amuleto, secondo te?” gli chiese ancora.

“Non idea di cosa sia un amuleto, ma se ha a che fare con le emozioni, direi di sì.” Rispose l’Allaghèn.

Adam sorrise: “Non ti preoccupare, ragazzo, te lo spiegherò, ma tu continua ad aiutarmi, le tue idee sono molto argute.”

Nulla lo riempiva come il consenso di Adam. Il Primo Uomo che chiede aiuto a qualcuno è davvero una cosa sensazionale! E non lo stava  chiedendo  a un vecchio saggio o a un’ altra entità antica e sapiente, ma una creatura giovane, dalla mente leggera e veloce come la sua. La cosa lo inorgoglì,  inondandolo di vivacità.  E le sue emozioni ebbero la meglio sulla sua nuova consapevolezza: “Ho fame!” gli disse “Mi si chiude il cervello se non mangio!” lagnò, esagerando in maniera mostruosa il suo disagio.

Adam prese i dolcetti, l’Allaghèn afferrò la borsa come se non avesse mangiato da ere.

“Calmo ragazzo, va bene essere, golosi ma tu sei compulsivo!” esclamò l’Uomo.

Con la bocca piena e sporca di miele, l’Allaghèn continuò a interessarsi: “Cos’è un amuleto?”

Adam rispose: “Oggetti che servivano agli Oscuri per difendersi dalle emozioni, e per catturarle. Odiavano ogni tipo di rapporto con gli altri esseri viventi. Si reputavano superiori, evoluti. Di conseguenza tutto ciò che li connettesse al resto del mondo, della materia, veniva considerato come impuro. Il sangue, la carne, lo stesso cibo, era per loro contaminante.”

“Questa è bella! E come facevano a vivere?”

“Con gli amuleti dicevano di poter gestire ‘la contaminazione’ degli impuri. Gli amuleti poi implicavano dei rituali complessi per mondare ciò che era immondo. Lo facevano anche con il cibo: i Sacerdoti Guardiani erano soliti compilare liste interminabili di cibi puri e impuri e poi per volere degli Oscuri, eseguivano particolari cerimonie per ogni cosa che dovevano mangiare durante il giorno. Creavano amuleti perché ritenevano che gli Oscuri avessero dato a questi il potere di catturare le emozioni impure.”

“E la casta più bassa, ce li aveva questi cosi?”

“Secondo te, una famiglia di esseri così disgraziati, avrebbe potuto possedere dei gioielli tanto sacri?”

L’Allaghèn sbuffò: “No, non penso. Ma allora come facevano a mangiare, se per loro il cibo era considerato immondo?”

“Erano i Sacerdoti che lo purificavano, all’interno dei Palazzi Templari. A seconda delle stagioni, decidevano cosa fosse buono o no, da mangiare. Il resto della plebe non poteva prendere iniziative, altrimenti  sarebbe caduto in un’accusa di blasfemia. Una volta condannato sarebbe divenuto un impuro, e per un membro impuro della casta più infima, c’era la segregazione sociale. Una nera miseria vissuta in solitudine,  dalla quale nessuno l’avrebbe consolato.”

“Dunque nessuno di loro avrebbe potuto vivere fuori dalle città.”

Adam scosse il capo negando: “Nessuno, dagli Oscuri al più miserabile degli ultimi, tutti dipendevano dalla città e dai templi.”

L’Essere di Luce trasse un pensiero dalla storia:“ Se tu volessi rendere schiava una persona gli metteresti delle catene, giusto?  La forza di uno di quei cosi gelatinosi, i superiori, doveva essere in grado di controllare la mente dei Guardiani, no? Credo che questo gingillo davvero possegga una qualche forza, un’emanazione.”

Adam annuì: “In effetti, amico mio,  potrebbe essere anche andata così. Un amuleto d’Evocazione si sarebbe comportato come una catena nella mente del possessore.”

“Allora Mankaas potrebbe essere stato travolto da quella forma a lui sconosciuta di forza.” Aggiunse trillante l’Allaghèn.

“Questo lo vedremo. Sentiremo cosa ci dice, una volta che si sarà ristabilito”

Nonostante fosse compiaciuto per l’agilità mentale del suo giovane amico, Adam nel guardarlo,  era tormentato  da una malinconia crescente. Percepiva tempesta sul futuro della sua specie.

II)

Mankaas  si svegliò nella Marilang, passandosi una mano sulla capigliatura bruna, increspata dalla salsedine, si toccò poi il viso,  e , sentendosi bruciare la pelle : “Cosa è accaduto?” Chiese, rivolgendosi a Ragùl.

In coperta c’erano anche Adam e Garaegor.

Fu Adam a rispondergli: “Bentornato, Mankaas. Sei nella barca di Ragùl e ti abbiamo soccorso mentre eri intrappolato nel ghiaccio, poco distante dalla coste.”

L’Uomo alzò con fatica una mano verso Adam: “Quanto ho dormito?”

“Due giorni e due notti, avevi la febbre molto alta quando sei arrivato, deliravi. Ma è andata bene,ora non hai più temperatura.” Gli rispose, amichevole.

Frastornato: “Tu, tu sei Adam, vero?”

“Certo, Mankaas, non mi riconosci?” si avvicinò al suo viso.

“Mi sento come se qualcuno mi avesse sollevato per i piedi e frullato in aria per ore, scusami.”

“Non ti scusare, siamo contenti di averti trovato prima che fosse troppo tardi.” Replicò “Dimmi, cosa ti è accaduto?”

Mankaas, sbiascicò alcune parole che nessuno comprese. Ragùl gli chiese di ripetere con calma. E lui: “Guardate il Tempio, custodite il Cuore della Regola, abbiate cura della Costruzione.  Urno Satral lo dice al Maestro dei Guardiani, Satrop,  la fine arriverà presto, siate vigili perché potrebbe essere ogni mattina che vi svegliate, in un immondo cielo rosso.”

Gli Uomini rimasero attoniti, udendo quelle parole. Solo Adam non ne parve scosso.

“Cosa sta dicendo? È la febbre, starà ancora delirando?” chiese Ragùl al Primo Uomo.

Adam: “Nessun delirio, ma un pensiero con una logica perfetta. E neppure prima credo vaneggiasse.” L’Uomo si rivolse a Mankaas: “Amico mio,  raccontaci cos’ hai visto in mare, durante la tua deriva. Ti ascoltiamo”

“Urno Sàtral dice che la fine arriverà.” Rispose “Erano le voci, chiare come una notte d’estate, ossessive come la fame e la sete. Mi ridondavano senza fermarsi: “L’immondo cielo rosso. La Regola. Il Tempio. Il Maestro dei Guardiani.”

“E tu sai chi siano Urno Sàtral e Sàtrop? Amico, non ti sforzare, se non ricordi.” La voce di Adam era calma e calda.

Mankaas si premette le tempie con le mani, dolorante: “è stato quel maledetto foglio!”

Ragùl era angosciato, e la sua tensione era palpabile nell’aria. Più Mankaas riacquistava la memoria, più la  mente del suo amico sembrava cadere in un’ansia profonda. D’improvviso, Ragùl gridò: “No, no!” Le sue mani annasparono sul tavolo e buttarono giù il the e alcune tazze. Poi, in un modo rapido, quasi demoniaco, con un balzo scese a terra e scappò. Adam lo seguì, corsero, poi il Primo Uomo riuscì a bloccarlo, caddero per terra. Ragùl annaspava, affamato d’aria.

“Sta’ calmo, amico! Sei con noi, non sei con loro, sei con noi!” fece Adam, intuendo il suo incubo.

“No, no, non possono uscire, non devono! Le porte del Tempio si spalancano! Il cielo rosso, l’empietà della luce!” Urlò.

“Calmati e cerca di svegliarti, sei con noi, sei un Uomo, non uno di loro!”

“La luce è una bestemmia per Urno Sàtral, gli altri Antichi e  il Maestro protegge gli Antichi! La fine è adesso, non si può rinviare.” Continuò a sbraitare.

“Dove sei, Ragùl, dimmi dove sei adesso!” Adam lo tratteneva per evitare che rantolando urtasse il ghiaccio tagliente della riva.

L’uomo era fuori di sé: “La città, tremo all’idea che le nevi travolgano i nostri edifici. L’interno del Tempio, il fuoco ardente, al luce non deve penetrarlo!”

“Chi c’è nel tempio e cosa sta accadendo?”

“Gli Antichi lasceranno il mondo e i Maestri devono sopprimere gli operai e distruggere il Tempio e gli Palazzi, per non cedere la città alla Luce!” continuò, dimenandosi come un ossesso.

“Cos’è la Luce che temono?” Chiese Adam con il corpo di Ragùl che scalciava sotto di sé.

“L’hanno già vista, molto lontano, in altri mondi. L’eresia ha voltato il suo occhio famelico su di noi. Avanza, divorando i regni, assoggettando gli imperatori. Non c’è fuga, né compromesso con quel demone!”

“Cos’è che vedono gli Antichi e i Sacerdoti?” cercava di capire Adam.

“Un guerriero che viene da altrove. È seguito da legioni di demoni eretici. Non c’è scampo. La fine è ora!” Strillò, spezzandosi la voce in gola.

Poi all’improvviso Ragùl su azzittì, i suoi occhi tornarono limpidi. Si passò la mano nodosa sul volto, guardando Adam su di sé: “Mi venisse un colpo, ma cosa mi è successo? Cosa ci stiamo a fare qui fuori?”

Adam, rialzandosi: “Non ricordi?” Scrollò il mantello dalla neve.

E aiutò Ragùl a tirarsi in piedi e a togliersi di dosso il ghiaccio, mentre questi: “Il trambusto, e le voci. Mi prenda un accidente, Adam! È successo quando Mankaas ha parlato in quello strano modo.”  La sua voce era grave, come sotto un pesante senso di colpa.

Adam gli la mano sulla spalla: “Non hai fatto nulla di male, Ragùl, amico mio. È ora che vi dica una cosa  sul papiro che avete rinvenuto. Voi, prima,  dovrete spiegarmi nei dettagli, come ne siete venuti in possesso.”

I due entrarono nella tenda, Adam aiutò Ragùl a sedersi, era ancora scosso. Fu lui a spiegargli come fosse giunto in possesso del papiro.

“I Lacerta del Nord avevano delle cose interessanti da farci vedere, sapevano che saremmo venuti qui per il Raduno. Così ci affidarono delle cose perché le scambiassimo in loro nome  con dei mantelli e delle erbe mediche. Venni chiamato da Re Asamoad  di per un incarico urgente e delicato. Mi confidò l’assoluta necessità di recapitarti qualcosa di molto importante. Si fidava degli Uomini, perciò affidò a me e a Mankaas la consegna del papiro, sicuro che ti avrebbe interessato. Nella fretta mi sono dimenticato di consegnarti la sua lettera per lo scambio. Se frughi nel mio zaino la troverai. Ci teneva molto. Stava cercando delle mappe, mi chiese se avessi qualcosa circa le terre dell’Est della Prima Era, ma gli dissi che non ne sapevo più di lui. Ricordo la sua domanda perché era insolita. Un Lacerta che chiede della Prima Era mi incuriosì molto, perciò gli consigliai di sentire il tuo parere. Mi diede quella carta da scambiare per te, ma non conosco i termini dello scambio: devono essere scritti nella lettera.”

“Posso leggerla io?” squillò l’Allaghè, impicciandosi fra il braccio e il corpo di Adam, che tentava di studiare la lettera di Asamoad.

Sconfitto dalla candida insistenza dell’Essere di Luce, sospirò: “Vediamo cosa ne ricavi.”. Un Allaghèn era molto veloce, l’entità più veloce della Creazione. Se Adam avesse dovuto far recapitare un messaggio con la massima urgenza, senza usare la Percezione, lo avrebbe sicuro, chiesto a quella creatura, pervadendola di fierezza. Perciò fu utile che leggesse quella lettera.

“È Amargall,  la scrittura dei Lacerta, vero?” Chiese il suo amico.

Adam annuì in silenzio.

L’Allaghèn, inorgoglito dal compito, cominciò a leggere: “Amico mio, ti mando, per mano degli amici Ragùl e Mankaas, ciò che è stato rinvenuto da un gruppo di cacciatori del mio clan, durante una battuta presso gli altipiani di Fharadam, a Ovest delle terre dove ci siamo sistemati.  Tu conosci i territori di Fharadam, perciò sai quanto oscuri siano quei passaggi in mezzo alle faglie. Vi sono abissi che sprofondano troppo, inghiottendo la luce e rendendo impossibile sapere quanto in basso si trovi il loro suolo. I cacciatori udirono un battito dal ventre di quello sprofondo. Sulle prime, decisero di oltrepassare la faglia, senza dar peso a quel suono. Mano, mano che procedevano verso il pianoro,  quello scotimento diventava sempre più forte, ossessivo. Un ritmo mortale, di un cuore sotterraneo in affanno. Dovettero fermarsi, storditi. Presi da una smania incontrollabile, andarono a cercare l’origine del suono. Penetrarono uno degli abissi più tetri e oscuri di cui un Lacerta, durante i suoi viaggi nello spazio, abbia memoria. Ma si spinsero troppo all’interno della grotta, laddove gli occhi non poterono scorgere più alcuna forma, sicché procedettero accendendo dei fuochi. Mostruosa fu la loro sorpresa quando si trovarono innanzi a una città sotterranea. Colonne che formavano foreste e palazzi che sostenevano il ventre stesso della roccia. Gli Uomini non costruiscono simili abomini e un Lacerta non avrebbe mai osato scavare la terra della Creazione, ferendola in quel modo:   i cacciatori, quindi, rimasero terrificati dallo spettacolo. Cercarono prove delle mani che edificarono un simile insulto alla natura. Trovarono alcune carte disseccate. T’invio questo foglio come prova di ciò che ti sto raccontando, nella speranza di vederti presto e narrartelo di persona, insieme  ai testimoni di quella scoperta.

Visto che ai miei amici Uomini ho chiesto di portarti questo pezzo di carta per uno scambio, per non dar loro un’inutile angoscia durante il viaggio, sarei onorato di ricevere dalle tue mani,  alcune tue preziose bende per le ferite di caccia (tu sai quanto ci servono!). Non oso chiederti la quantità, sarai tu a stabilirla, in base all’interesse che ti ha suscitato  questo foglio.

Ti abbraccio in modo fraterno, Amico mio e con me t’abbraccia tutto il mio Clan.

Asamoad.”

Adam sorrise, soddisfatto: “Sei stato bravo, neppure un errore o un’incertezza. E l’Amargall è una delle lingue più ardue da imparare a leggere, sono davvero orgoglioso di te!”

L’Allaghèn sospirò, guardando la lettera: “C’è molta ansia nelle sue parole.”

L’Uomo la prese con delicatezza  dalle sue mani: “Percepisco anch’io quest’angoscia. E credo a ogni rigo che ha scritto.”

“Ma cos’è che hanno trovato i suoi cacciatori?”

“Ho un sospetto, e credo di non sbagliarmi. A ovest dei territori di caccia del suo Clan, si trovano le faglie degli Altipiani di Fharadamath.”

“Fharadamath significa ‘terra spaccata’, ‘aperta’, nella lingua delle canzoni umani.” Lo interruppe il suo amico.

“Infatti quei territori sono percorsi da crepacci e abissi profondi non si sa quanto. Si tratta di una delle zone più primordiali del pianeta. Lì la roccia può raccontarti molto” Gli ridisse Adam.

“Qualcuno però ci abitava, prima del Grande Freddo, si capisce dalla loro scoperta.” Replicò l’Allaghèn.

Rispose al suo amico: “Durante la Prima Era gli Oscuri costruirono sventrando le montagne, e ardendo le loro foreste. Per una sorta di nemesi naturale, ora le montagne hanno divorato le loro città, oscurandole alla memoria di chi venne dopo.”

“Dunque ciò che hanno descritto è una città di quei cosi gelatinosi e dei loro schiavi?”

“Suppongo di sì.”

“Ne hai mai vista una, in quei crepacci?”

“Certo. Ne ho perlustrate molte nell’abisso di Fharadamath.” S’interruppe puntando con lo sguardo alcuni ricordi “Ho visto quelle cose quando ancora erano alla luce del sole. Nell’oscurità di quegli anfratti, adesso respiri la disperazione delle loro ultime ore.”

“Non ne hai mai fatta parola, però.”

“In realtà gli Uomini più anziani ricorderanno alcune mie canzoni, nelle quali descrivevo la mia discesa in quegli sprofondi. Ma oggi no, non canto più di una simile realtà.”

“Non potresti cantarmi qualche cosa su quelle città sepolte?”

“Non ne cantavo più perché provavo orrore, nel ricordare come quelle cose vennero erette. Non saresti contento di sentire una simile rievocazione.” Fece Adam rabbuiandosi.

“Allora non cantare, raccontami solo.” Insisté roso dalla curiosità.

Adam si alzò, scansando con dolcezza il suo amico, gli disse: “Forse è meglio che prenda una cosa.” Si diresse verso un baule e ne tirò fuori alcuni canovacci. “Questi sono i racconti che ho cantato su quelle città.” Non negò la memoria al suo amico, perché intuì che, un giorno, sapere di quella realtà sotterranea, lo avrebbe aiutato. E se la memoria stava riemergendo in modo così caotico,  Adam doveva affrontarla.

Alessandra Biagini Scalambra