ADAMARAN 04 – GLI ABISSI DELLE VANDÀM: PARTE II

TRAILER 08

I

Il Raduno

Gli Uomini si erano riuniti per dividere carne e pesce fra loro, il Raduno era divenuto un evento vitale nelle terre inferocite dal Grande Freddo. Chi migrava sui mari e attraverso i fiumi, per le strade di ghiaccio sui laghi, era diventato abile nell’infilare gli ami attraverso fori sulle calotte congelate. Gli Uomini che camminavano nell’entroterra avevano della carne di selvaggina. Se solo le terre si fossero scaldate, coloro che seguirono Adam sarebbero tornati anche alla raccolta di tuberi e  orzo selvatici, ma per ora la carne dominava le loro cene. In quell’epoca crescevano più branchi di Ghřenne che piante commestibili. La penuria di vegetazione obbligava a uccidere almeno una preda ogni due o tre mesi, seccarla e barattarla con formaggio, uova o carne di altro genere. Adam non cercava cibo, ne aveva una scorta a sufficienza, se mai cercava di scaricare l’eccedenza. Un Oponandro, un gigantesco nomade anfibio, grande più di qualsiasi altro carnivoro acquatico,  aveva sfidato i Myarmar mentre questi si erano abbeverati in un estuario, tenendo loro l’imboscata. Adam e il grande maschio si batterono per salvare la mandria. Ebbero la meglio, lo fecero fuggire, ma l’Oponandro tornò alla carica e,  nella foga della caccia, si avvicinò troppo a una spiaggia di pietre.  L’urto con gli scogli acuminati gli aprì una ferita sul ventre che lo uccise nel giro di pochi istanti, prima che Adam potesse dargli aiuto. Una volta morto, tutta quella carne sarebbe bastata per nutrire un centinaio di Uomini. E le carni di Oponandro erano le migliori in un clima simile. Se affumicate con il loro grasso duravano quasi più di un anno. Erano essenziali  per le traversate dei deserti di ghiaccio.

“Salute, Primo Uomo!” sentì una voce squillante e familiare giungergli da dietro, seguita da una poderosa pacca sulla spalla.

“Ragùl!” disse quasi strozzandosi con il boccone Adam “Mi sembrava di riconoscere il lieve tocco della tua mano” ironizzò.

“Suvvia, Adam, sembra che ti abbia colpito la coda di una balena.”

“Le tue mani assomigliano alle pinne di una balena!”

“Ti sfido a remare con questo clima infausto, poi mi dici come ti diventano mani e braccia. Come te la passi?” Ridacchiò, sedendosi accanto “The fermentato?”  gli fece, avvicinandogli una tazza. Adam accettò.

E rispose: “Sto bene, e tu, vecchio mio?”  la potenza del the lo fece rabbrividire: “Ma che ci metti qui dentro, Ragùl?”

“È una mia ricetta: aghi di abete cotti con la resina  e le bacche  lasciati fermentare per mesi.  Me la passo anch’io bene. Le balene quest’anno si sono decise a sfornare cuccioli in un numero impressionante. Hanno sovrappopolato le zone pescose, e credo che per anni non ci sarà più bisogno di migrare per i mari del sud.”

“Almeno quest’altro inverno non sarà  difficile.” Sospirò Adam.

“No, c’è abbondanza per tutti i popoli costieri. I Lacerta hanno già pescato e sono a riposo; per quel che riguarda gli Uomini, abbiamo già preso quello che ci serve. Tutto sommato quest’anno è andata bene a tutti!”

Ragùl era un maestro di navigazione, conosceva le rotte marine di ogni luogo, e sapeva decifrare i messaggi del vento in un istante. La sua chioma e la pelle rugosa pervase dal sale, gli donavano un aspetto coriaceo. I due si sedettero assieme, presero a discutere del loro argomento preferito, il comportamento delle balene e dei grossi predatori marini.

“Dannato schizzo blu!” l’accento roboante di Laert, un pastore nomade,  attirò gli occhi di Adam e del suo amico .

Una saetta azzurro intenso si dileguò dal piccolo recinto del vecchio Uomo.

Adam: “Scusami, Ragùl, devo placare l’animo del  buon Laert.”

Il Primo Uomo gli si avvicinò: “Calmati, amico mio.”

“Ma, dico! Lo hai visto, vero? Quel ladruncolo d’un Allaghèn! Adesso si son fatti furbi, non passa volta che non mi prendano qualche cosa dalla mia tenda!”

“Uhm, e questa volta cos’hanno rubato?”

L’uomo si chetò e sbuffando rispose: “Solo  un pupazzetto, per altro usato. Lo tenevo per bellezza, bastava che me lo chiedesse! Me lo aveva dato un bimbo di Rettile, in cambio di un dolce al formaggio. Non avrei mai accettato da un bambino Lacerta uno scambio,  ma quel piccolo era così convinto, che mi parve un’offesa non accettarglielo.” Raccontò.

“D’accordo. Mi aspetti un istante?”

“Certo, Adam, cosa c’è?”

“Ti riporto il maltolto.”

Laert si raddolcì: “Non ce n’è bisogno. Sembrano dei bambini anche loro ai nostri occhi.” cercò di trattenere il suo amico.

Adam sapeva che non si trattava di un Allaghèn qualsiasi. Il ladro era il suo giovane amico, attirato, come tutti i suoi simili, non era ancora riuscito a fargli capire un concetto fondamentale e cioè che certe volte, chiedendo, si ottiene la stessa cosa e in modo più facile che rubandola. Un Allaghèn  non era un ladro; nella sua mente non sembrava trovare spazio neppure l’idea di possedere qualcosa.

Trovandolo oltre lo steccato, nel suo stato corporeo, lo raggiunse. Fra le mani aveva il pupazzetto di Laert.

“Se vuoi una cosa, devi chiederla.” Gli fece con la faccia seria e la voce ferma.

Lui si voltò, sapeva di aver agito in modo riprovevole, ma non riusciva a capire perché, Adam e gli Uomini trovassero i suoi modi così sbagliati.

“Amico mio” si sedette accanto a lui “Gli Esseri della Materia sono diversi dagli Esseri della Luce. Nella Creazione tutto ciò che nutre, diverte, deve essere prodotto, inseguito, costruito. La materia richiede uno sforzo diverso dalla luce. Plasmare significa fatica. Abbiamo lavorato molto per creare il tuo mantello insieme, ricordi?”

Gli piacquero subito i vestiti di Adam, fatti sulle sue misure, perché  i vestiti come il mantello del Primo Uomo, erano giganteschi. Ma  spesso per trasformarsi, si spogliava, non volendo appesantire i suoi atomi con la memoria delle stoffe.  Rimase  nudo e scalzo, mentre il suo calore residuo della trasformazione stava scemando. Cominciò a tremare.  Adam lo sollevò e lo coprì con un lembo del suo mantello e s’incamminò verso la tenda. L’Allaghèn  stava dentro la cappa come in un sacco a pelo, godendo anche del calore del corpo di Adam.

“Io non voglio essere disonesto.” Piagnucolò.

“Certe volte sei irriflessivo, non di certo sleale.” Disse Adam, addolcendosi “ Il vecchio Laert è un grand’Uomo, non ha alcuna intenzione di riprendersi quel pupazzetto, però se tu gli chiedessi scusa, sono sicuro che lo ripagheresti della tua azione.”

E lui con un candore disarmante: “Se gli chiedo scusa lui penserà che non sono sleale, vero?”

“Laert  sa che non lo sei affatto.”

Il suo amico mostrò uno strano barlume di dolore nei suoi occhi, era preoccupato, Adam capì l’origine di quell’ansia. Gli Allaghèn sentivano agitarsi nell’Esperienza collettiva un demone alieno alla loro natura.  Lo percepivano ormai da diverse generazioni. Alcuni di loro caduti nelle mani degli Dei, funzionavano da riserve energetiche per i bisogni dell’Empireo, oppure erano schiavi, costretti a rilasciare una certa scarica di emozioni ai loro signori, usati come una sorta di droga vivente. Un Allaghèn non sopravvive a più di tre “richieste”. Una volta munto a dovere, la sua riserva energetica è tanto indebolita che non riuscirà più a trasformarsi in materia, svanendo per sempre. Morendo.  Alath, nonostante la sua tecnologia, non ancora riuscito a mantenerli in vita per una più lunga richiesta.

La realtà improvvisamente spezzata in bene e male, giustizia e colpa, di un Allaghèn  prigioniero, si era insinuata nell’Esperienza. Il Primo Uomo comprese la sofferenza di quel suo: “Non sono sleale”. Il suo amico parlava dei due estremi “bene” e “male”, come avrebbe detto di luce e buio o di altri contrasti, senza sapere cosa davvero significassero per gli Uomini o per gli Dei.

Una volta tornato da Laert, questi lanciò una risata gorgogliante: “Sicché quello schizzetto bluastro è tuo amico, Adam? Almeno non dovrai accendere il fuoco della sera!” scostandosi il cappuccio dai lunghi capelli ispidi e gialli come le spighe di grano maturo, ben intrecciati con cordini dai riflessi policromi.

“Adam ha sempre avuto amicizie insolite, altrimenti come le racconta le sue storie?” infierì l’ironia di Ragùl.

“Almeno adesso ho chi mi ascolta!” ribadì con un ghigno il Primo Uomo.

La compagnia all’improvviso si fece seria. Altri Uomini erano giunti al tavolo, sedendosi accanto ad Adam. Uomini irrobustiti dalla Migrazione e dall’epoca del ghiaccio. Uno di loro, di aspetto simile a una volpe rossa, Lankaster, si fece avanti: “Adam, ci siamo accorti di quanto sia difficile oggi incrociare una Donna, durante le migrazioni. Durante il mio viaggio, non ho neppure percepito il suo canto nel vento. Mi sono chiesto cosa avessi fatto di sbagliato con Kolen, l’ultima Donna con la quale mi sono unito nelle Gole di Ankhaim. Forse Alva ha deciso di punirmi, per qualche nostro gesto sgradevole nei suoi confronti? Ma giuro, non ho idea di quale errore abbia commesso.”

Adam corrugandosi rispose: “Se anche fosse stato commesso un errore, Alva avrebbe preso le sue decisioni, senza curarsi di riferirmele. Ma ho la sensazione che le Donne e Alva siano coinvolte con qualcosa di più terribile di una tua semplice scortesia, Lankaster.”

“Qualcosa che ha che fare con noi, Adam?” chiese l’uomo dai capelli rosso scuro.

“Dovrei cercare la Prima Donna per venire a capo di quest’enigma, ma, Amici miei, sapete quant’è rischioso accostarsi ai suoi segreti, anche per me.” Alle sue parole seguì un caotico vociare.

Con aria  misteriosa,  Ragùl chiamò da parte Adam e gli parlò: “Speravo che fosse qui oggi, ma è evidente che con il mare ghiacciato, non ha fatto in tempo. E io non posso aspettare.” Fece. Poi gli tirò da un lembo del mantello, dicendo: “Vieni con me, debbo mostrarti una cosa.”

“Di chi stai parlando, Ragùl?” chiese Adam, incuriosito da quel tono oscuro.

L’Uomo: “ Mankàas, è un navigatore, come me; una volta siamo andati a caccia sulle banchise polari, e lì abbiamo trovato una cosa  insolita per quei luoghi.”

L’interesse di Adam aumentava:“D’accordo ti seguo, ma fammi chiamare l’Allaghè o chissà cosa potrebbe combinare senza la mia attenzione.”

“Dovremmo restare da soli” Replicò il Marinaio.

“Non posso lasciarlo qui, senza di me, abbi pazienza.”

Il coriaceo navigatore cedette: “D’accordo, basta che non ci dia problemi.”

“Mi stai inquietando, Ragùl.” Ironizzò Adam.

“Scusa il mio atteggiamento sfrontato, ma devo essere prudente, capirai anche tu una volta che avrai visto.”

Adam richiamò il giovane Allaghèn  e gli chiese di seguirlo; il suo amico accettò entusiasta, con la promessa che non avrebbe creato confusione .

Andarono poco lontano dall’agglomerato di tende e tavoli, sul luogo dove erano state tirate in secca le barche dei marinai e dei pescatori.

“La Marilangan, la tua barca. È ancora in forma nonostante le onde e gli anni.” Notò Adam, carezzando la prua nerastra a forma di narvalo.

“È una gran donna, anche se è vecchia, il suo legno regge ancora le tempeste peggiori.”

“L’hai costruita con un’arte unica, Ragùl, ti invidio per quest’opera, sai?”

“Non costruiresti  mai barche; sono troppo impegnative per un nomade tutto d’un pezzo come te, Primo Uomo!” sbuffò.

“È  vero, ma mi piace molto l’intarsio che corre lungo la chiglia,  e il narvalo di legno lo trovo fenomenale.” Replicò Adam.

“Cos’è un narvalo?” Trillò l’Allaghèn.

“Una specie di delfino con un corno sul muso.” Spiegò Ragùl, anticipando il Primo Uomo.

Il legnoso navigatore aprendo un baule nella  stiva dell’imbarcazione, si confidò: “Sono preoccupato per Mankaas, Adam. Sarebbe dovuto essere qui già da tre giorni.”

“Ma hai detto che forse è bloccato dal ghiaccio.” Rispose il Primo Uomo.

“No, l’ho detto per non pensare al peggio. Mankaas è un esperto di mari ghiacciati. Conosce tutte le rotte per evitare i banchi di ghiaccio.”

“Ma forse il freddo eccezionale di quest’inverno ha chiuso anche gli accessi che siete soliti navigare per arrivare sino qui.”

“No, no Adam, c’è sempre una via d’uscita dal ghiaccio, e uno come me o come Mankaas, non rimane intrappolato, credimi.” Una volta estratto qualcosa dal baule fece accomodare Adam. I due si sedettero nella barca. La mano secca e nodosa  passò al Primo Uomo uno strano foglio ingiallito.

Adam fece un balzo, sorpreso: “Mi venisse un colpo, vecchio, è un Papiro!”

“Sapevo che mi avresti illuminato in proposito. Perché sia io che Mankaas, non ne venivamo a capo. Non sembrava cartapecora, neppure cartastraccia, tantomeno pellame di Ghřenna.” Rispose Ragùl.

“No, amico mio, questa roba non la trovi più  nel nostro mondo.” Disse Adam.

“Non ho idea di cosa siano i segni che contiene.” Continuò il marinaio.

Il Primo Uomo  la scrutò come  un prezioso pezzo del mondo andato perso: “Si tratta di una scrittura.” Disse a Ragùl.

Ragùl  si passò il palmo sulla guancia irsuta “Mai vista una roba del genere. E ho navigato tutti i mari di questo globo.”

Adam replicò, quasi sovrappensiero: “Non puoi averla vista, infatti. Si tratta di qualcosa di primordiale, tu non eri neppure nella mente dell’Asse Motorio.”

“E cosa c’è scritto?”

“Devo studiarla. Ti fidi di me?”

“Certo, te l’ho mostrata.” Rispose il marinaio

“Allora lasciamela per stanotte.”

“Pensi che questa roba possa avere a che fare con il ritardo di Mankaas?”

“Forse, ma devo capirci di più.”

“E se fosse in pericolo per quest’affare?”

“Allora lo tireremo fuori, te lo prometto. Nessuno rimarrà da solo.”  Concluse Adam, sollevandosi: “Sta montando il vento dal mare, Ragùl, dovresti coprire la Marilangan.”

“C’è odore di tempesta, sì.” Replicò il marinaio.

II

La memoria perduta degli Oscuri

Neve e vento presero presto a infierire. Nella tenda, la tinozza fumava d’acqua calda profumata dalle erbe del bosco di Hamerall, uno dei regni degli alberi sempreverdi, al di là della tundra. Adam e il giovane Essere di Luce,  si stavano riposando, scaldandosi sui tappeti della tenda, quando l’Allaghèn venne attirato dallo strano foglio che il Primo Uomo stava studiando.

“Cos’è?” gli chiese, appoggiandosi  a lui.

“Un Papiro.” Gli rispose “ È un foglio ottenuto con delle piante che crescono in un clima molto caldo e molto umido.”

“E dove sarebbe un posto come quello?”

“Un tempo non era molto lontano da qui.”

“Ma non c’è di simile da queste parti!”esclamò il suo amico, agitato per quelle esternazioni.

“Infatti adesso non c’è più la regione dove crescevano queste piante. Ma tempo prima del Grande Freddo, qui c’erano zone con acqua e sole in abbondanza, calde.”

L’Allaghèn era ancora molto giovane per poter scrutare in profondità nell’Esperienza collettiva della sua razza, altrimenti avrebbe visto il mondo che stava abitando com’era prima.

Adam lo aiutò, spiegandogli: “Non c’erano gli altri Uomini, ancora. C’eravamo solo io, Alva, la Prima Donna, e gli Antichi Oscuri.”

L’Allaghè si corrugò, quasi preoccupato: “Cosa vuoi dire, che non c’erano gli altri? Non c’erano forse Ragùl o Laert, o Garaegor?”

“No, ragazzo. Loro arrivarono all’inizio di quest’era.”

“E chi erano gli Antichi?” squillò curioso.

“Altra gente.”disse Adam e quel ricordo sembrava affliggerlo: “Avevano bisogno di costruire edifici di pietra per vivere, perché non viaggiavano.”

“E come facevano a vivere?”

Sospirò in modo profondo e cupo: “Non era un gran problema con quel clima. Toglievano terra alle foreste, abbattendo gli alberi, aprivano delle radure nelle quali seminavano cereali. I raccolti erano abbondanti e potevano stiparli in torri molto alte.”

“Per farne cosa?”

“Distribuirli a chi aveva coltivato la terra, durante la stagione secca.”

“Non capisco, chi li coltivava non teneva per sé il raccolto?” chiese l’Allaghèn frastornato.

Adam proseguì, velando la sua voce: “è difficile da spigare a chi non lo ha mai vissuto. Gli Antichi Oscuri erano dei “capi” religiosi che custodivano le Torri dei cereali, e loro compito era la distribuzione.”

“Capi religiosi?”

Uomini e Allaghèn non avevano mai visto un sacerdote né contemplato l’idea religiosa. Quella realtà era molto ardua da spiegare, anche per Adam.

Ci provò: “Si chiamato Sacerdoti. Detengono le chiavi dei magazzini del cibo e quelle delle chiuse che irrigano i campi. Gestivano la produzione di cibo e l’acqua dei villaggi. E qualcos’altro.” Agitò il papiro.

Il magazzino della carne dove gli Uomini depositavano le loro prede di caccia per scambiarle con altre cose, non era chiuso con le chiavi, tantomeno era sorvegliato da custodi.

Crucciato dai ricordi, Adam cercò di farsi capire: “Gli Oscuri erano molto diversi dagli Uomini.”

 Un Uomo doveva  viaggiare, non avrebbe sopportato di stare per tutta la vita davanti a una porta

“E non avrebbe paura degli altri Uomini.” continuò.

“Cosa c’è scritto su questo coso?” trillò vivace l’Allaghè.

“Guarda tu stesso.” Fece Adam, gli passò il manoscritto.

Questi curiosò su quei segni così strani, gli tornarono familiari. Il Primo Uomo sorrise, soddisfatto. L’Allaghè aveva una mente diversa, leggera e veloce come la luce, ma non inconsistente. In lui avevano attecchito i germogli della sapienza, trasmessa nelle lunghe notti al riparo della tenda.

Il Primo Uomo carezzò la nuca della creatura e disse: “Sì, li abbiamo studiati, sono i geroglifici di Anlhur. Ma quello che non ti ho mai spiegato è da dove provengano. Nessuno oltre te li potrebbe riconoscere, perché sono il linguaggio degli Oscuri della Tempio di Anlhur. Sapresti leggerlo?”

L’Allaghè inorgoglito dell’unicità di quel sapere, prese a sillabare le strane lettere. S’interruppe: “Non riesco a leggere alcune parole.” Disse, rattristandosi.

Adam  curò il suo orgoglio ferito: “Non le sai leggere solo perché non le abbiamo mai studiate, ma sei molto bravo, sono felice di averti insegnato. Senti cosa dice: ‘Per An Lug Ahl il maestro Satop dei sacerdoti guardiani della città divina ha costruito questo palazzo, dove dimora Urno Stral il dio custode’.” Poi si fermò, guardando con aria malinconica l’Allaghèn.

Questi gli chiese: “Cosa c’è, perché ti sei fermato?”.

Adam  con un sospiro d’ amarezza riprese : “Nella dimora il dio custode Urno Satral, il maestro guardiano Satop ha detto ai discepoli che nel deserto ci sono dei Geni e che il dio Urno Satral può trattenerli nel palazzo che gli costruito e sottometterli al volere dei Sacerdoti Guardiani.”

L’Allaghèn lo seguiva con attenzione: “Cosa significa?” domandò.

Adam: “Gli Allaghèn venivano chiamati Geni dagli Oscuri. Sai cosa significa questo papiro? È un maledetto sigillo templare. È probabile che il palazzo del quale parla e il maestro che lo ha fatto erigere, tale Satop Quarto, sia stato una specie di laboratorio degli Oscuri, nel quale hanno fatto i primi esperimenti per catturare gli Allaghèn.”

La creatura non emise un fiato, scosso dalla rivelazione.

“Mankaas potrebbe essere finito in un serio pericolo per questa roba.” Riprese Adam.

“Ma nessuno, oltre te, sa leggere questi segni.” Replicò l’Essere di Luce.

“Appunto, chi ha interesse a recuperare i documenti della Prima Era, non si fa scrupoli, perché desidera che non arrivino in mano mia.”

“Ma a quale scopo? Questa gente non esiste più, hai detto.” Ridisse l’Allaghèn.

“Su questo mondo non esiste più. Nessuno degli abitanti tollerò a un certo punto, il loro modo di fare. Erano diventati aggressivi, prepotenti e con una famelica voglia di spazio per le loro città. Gli Oscuri e i Sacerdoti Guardiani erano la casta dominante del popolo che invece lavorava senza tregua per sostenerli. Quando la loro prepotenza si fece davvero insopportabile, accadde qualcosa nella struttura del loro corpo.  Gli Oscuri, il vertice della loro società non furono più capaci di vivere nella Creazione, nessuno conosce il motivo;  fu come un malessere, una specie di influenza, cominciarono a spengersi, uno dopo l’altro. Furono costretti ad abbandonare il mondo, per vivere in luoghi asettici. I Sacerdoti s’infettarono  non molto tempo dopo i loro superiori. Poi fu la volta della casta più infima, già spenta per l’inedia causata dall’assenza dei suoi capi.  Forse l’incombere del Grande Freddo causò dei dissesti nella loro biologia, oppure si sviluppò un virus che la loro enorme tecnologia non fu in grado di controllare. Non sappiamo altro.” Spiegò Adam.

 “Cosa ne fu di quella gente? Dove si rifugiarono?”

“Andarono via da questo mondo. Non cercarono un’altra terra dove piantare radici, ma vissero a bordo di città volanti, astronavi all’eterna deriva del cosmo.”

“Astronavi? Cosa sono?” trillò.

Adam: “Una tecnologia che gli i Signori della Luce all’inizio di un’era antica e dimenticata cedettero come sigillo a un’alleanza con alcune specie viventi della Materia. Per comprarsi l’amicizia di alcuni popoli, insegnarono a questi come costruire vere e proprie città in grado di volare attraverso le stelle.”

“Città che volano? È stupido, non riuscirei neppure a immaginarle!” un Allaghèn respira negli spazi siderali allo stesso modo di come respira in un mondo della Creazione, perciò non ha bisogno di ingombranti veicoli. Perciò Adam comprese la sua meravigliata reazione.

L’Essere di Luce continuò: “Però questo significa che la loro storia ha un’origine molto antica. Chi era questo popolo, come viveva? Com’erano fatti i suoi membri?”

Il Primo Uomo fece un respiro profondo e proseguì: “La storia degli Oscuri inizia con un patto d’amicizia con i Signori della Luce. E mi sono sempre chiesto come sia andato a finire quest’alleanza, oggi. Mi ero fatto una promessa. Fintanto non sarebbe stato necessario, non avrei raccontato di loro a nessuno. Ma i tempi cambiano in fretta e forse questo papiro mi sta suggerendo di come sia necessario riaprire questo capitolo.   Amico mio, sei il primo, dopo un’era, ad ascoltare una simile storia.”

L’Allaghèn annuì, suggestionato dall’atmosfera di solennità nelle parole di Adam.

Il Primo Uomo : “Questa gente era divisa in caste e gli individui,  a seconda del proprio rango sociale, avevano una certa costituzione corporea. La parte più infima del loro popolo erano i lavoratori, coloro che coltivavano terreni e costruivano edifici. Erano simili agli Uomini, più piccoli, quasi quanto un Allaghè, ma meno aggraziati. Avevano una pelle liscia, scura o pallida, dipendeva dalla latitudine in cui vivevano. Avevano arti più corti di quelli di un Uomo, e questa sproporzioni li rendeva simile a dei vermi eretti su due piccole zampette.  Poi c’erano i Sacerdoti Guardiani, più alti di poco, massicci, e senza un pelo. Anche questi avevano sproporzioni del corpo notevoli,  ma le braccia erano così molto lunghe e sottili, da sembrare tentacoli. La loro pelle sembrava dorata. E infine, gli Oscuri: la suprema vetta del loro popolo. Erano amorfi, simili a giganteschi esseri unicellulari. Alcuni Maestri Cantori li descrissero con un corpo gelatinoso, altri simili a funghi.”

L’Allaghèn prese il braccio  del Primo Uomo, e s’infilò con la testa fra questo e il petto, poi chiese: “Adam, tu dici di essere qui da prima del Grande Freddo. Da quanto tempo cammini per la Creazione?”

L’innocenza della sua domanda intenerì il Nomade: “Il mio Viaggio, come quello di Alva, la Prima Donna,  è cominciato ben prima che si creasse il tempo.”

“E prima degli Allaghèn?”

“Senza tempo significa che non esisteva ancora un ‘prima di’ e un ‘dopo di’. Tu e i tuoi simili, io, Alva e gli Dei, siamo qui da sempre” Sorrise ironicamente “E per quel che riguarda me e la Prima Donna, da quando abbiamo deciso di essere materia, siamo sempre stati così, come ci vedi.”

Dopo quelle parole, l’Allaghè dapprima un po’ confuso su sé stesso,  mise a fuoco la questione e si rincuorò.  Parlò ancora più incuriosito: “Perché ti sei ripromesso di non parlare mai più degli Oscuri?”

Adam: “Perché erano esseri disgustosi, avvizziti nell’ossessiva ricerca di costruire le loro città. Persero la capacità di vivere da soli e presero a modificare la natura per costringerla ai loro bisogni. Dove mettevano piede, distruggevano l’ordine delle cose; costruendo le città costringevano all’esilio le creature che abitavano quei luoghi prima di loro. E più si espandevano, più prolificavano, fino a divenire uno sciame incontrollato che divorava tutto sul suo cammino. Il pensiero di quei giorni mi da ancora pena. Non so quante creature dei boschi e dei mari ho dovuto soccorrere, per la loro inconsulta fame di spazio e tecnologia. Si erano  abbrutiti, industriandosi con armi oscene, usate sia per cacciare prede che mantenere l’ordine nelle città. Chi non poteva migrare via, doveva subire la loro dominazione all’interno di orrende prigioni di catrame. Non so come sarebbe andata a finire, se non fosse giunto il Grande Freddo e con esso la loro fine nella Creazione.” Concluse con una tremenda tristezza.

“Prima non mi hai risposto. Perché pensi che Mankaas sia in pericolo per questo foglio?” Chiese ancora l’Allaghèn.

Adam rispose: “È una sensazione. Gli Oscuri comunicavano con i Sacerdoti attraverso precisi rituali. Questo loro linguaggio era l’Evocazione. Attraverso le formule dell’Evocazione la casta inferiore poteva interloquire con quella più alta. E non vorrei che Mankaas avesse trovato altro materiale oltre questo papiro.”

“Tipo un’evocazione scritta?”

La domanda strappò un sorriso alla malinconia del Primo Uomo: “Sì, sei perspicace. Infatti le Evocazioni scritte per quel popolo avevano una potenza incredibile. Anche questo era un dettaglio che li rendeva unici e allo stesso tempo molto lontani dalla Creazione, loro scrivevano, mentre il resto degli abitanti non lo ha mai fatto, né lo fa tutt’oggi.”

“Perché gli Uomini non scrivono? Tu sai scrivere.”

“Perché non ne abbiamo bisogno. Ricordiamo le nostre storie cantandole.  Cantando, componiamo  le nostre musiche nell’ anima. La scrittura rallenta il propagarsi del suono e in questo modo frena anche le nostre creazioni.”

“Ragùl quindi non sa cosa ci sia scritto?”

“Gli Uomini sanno leggere alcune scritture, ma non tutte. E soprattutto non possono conoscere ciò che esisteva prima di loro e del Grande Freddo.”

“Ma tu racconti spesso della Prima Era.”

“Certo, ma ascoltare la memoria non significa aver visto.” Adam si interruppe, lo sguardo interrogativo dell’Allaghè gli fece capire che si era dimenticato un dettaglio. Un Allaghèn, infatti, “vive” la memoria di un suo simile, grazie all’Esperienza.

“La vostra mente funziona in modo diverso.” Aggiunse “Per questo adesso trovi difficile quanto sto spiegando.”

Il bagno caldo e la cena stavano sortendo un delizioso effetto soporifero. I giorni di Viaggio erano stati pesanti, vessati dal vento del Nord Est. Il Primo Uomo e il giovane Essere di Luce si abbandonarono alla notte.

Alessandra Biagini Scalambra