SMITH’S DREAM

Quasi sconosciuto al di fuori della sua patria, Christian Karlson Stead è uno dei più rinomati poeti e narratori della Nuova Zelanda. Nato nel 1932, insegnò inglese all’Università di Auckland dal 1959 al 1986, esordì nella narrativa con la novella “A Race Apart” (1961) e la sua prima raccolta di poesie fu “Whether the Will Is Free” (1964). Il primo dei suoi romanzi è SMITH’S DREAM (1971), per il quale l’autore prese spunto dalla guerra del Vietnam, e più precisamente dalla controversa partecipazione a quella guerra delle forze armate neozelandosi, che durò dal 1964 al 1972. Come molti connazionali, Stead manifestò per il ritiro delle truppe neozelandesi e nel suo romanzo immagina una specie di “vietnamizzazione” della sua nazione.

In SMITH’S DREAM (“Il sogno di Smith”), Smith è un bibliotecario di Auckland che viene lasciato dalla moglie per il migliore amico di lui, Bullen. Smith ne approfitta per realizzare il sogno di tutta la sua vita (menzionato nel titolo): si ritira in un’isoletta al largo della città di Coromandel, si dedica all’agricoltura e si isola in un deliberato eremitaggio, violato solo dalla frequentazione di Cousins, un anziano pescatore che diventa il suo unico amico. Dopo un anno, consolidato questo stile di vita, nel quale è bandito ogni strumento d’informazione, in seguito all’acquisizione di una radio rice-trasmittente (atto illegale), Smith viene arrestato e scopre così che, nel frattempo, la Nuova Zelanda si è ritrovata retta dal regime totalitario guidato da Volkner, un politico arrivato al potere dopo un colpo di Stato poi rinsaldato da un referendum popolare, vinto a larga maggioranza grazie al disagio causato nella popolazione da crisi economica e disordini sociali. Volkner ha istituito un sistema poliziesco affidato a un corpo detto Special X. La dittatura ha spinto alla nascita di una guerriglia antigovernativa di stampo comunista (di cui Cousins faceva parte), che ha trovato rifugio nelle immense foreste neozelandesi. Per fronteggiare la guerriglia, gli Stati Uniti, sostenitori di Volkner, hanno inviato un contingente di “consiglieri” militari trasformatisi presto in una forza d’occupazione. Smith è considerato un guerrigliero, ma Volkner in persona gli prospetta una via d’uscita: “pentirsi” in pubblico e partecipare a una campagna propagandistica. Smith riesce a fuggire, e dopo aver trovato un momentaneo rifugio in un albergo posseduto da suo suocero, capirà che la sua unica via d’uscita è arruolarsi nella guerriglia… e a reclutarlo sarà proprio il suo ex-amico Bullen. Ma questa scelta non basterà a proteggerlo da pericoli ed eventi sanguinosi.

Nel suo primo romanzo Stead gioca su livelli stilistici diversi, passando dall’intimismo all’azione, dal cronachismo alla satira, alternando con sapienza toni drammatici e ironici. Di quando in quando, poi, il narratore in terza persona si palesa come una specie di “coscienza nazionale” che commenta le vicende fanta-storiche da un’ipotetica retrospettiva, dando a intendere che scrive in un’epoca in cui la dittatura di Volkner e l’occupazione americana sono lontane, usando uno stile parodisticamente retorico e pomposo. Come è tipico della narrativa “degli antipodi”, il senso del paesaggio è molto marcato, al punto che la natura diventa più di uno sfondo o un ambiente, ma un vero co-protagonista, a tutti gli effetti partecipe delle vicende e delle azioni dei personaggi.

Il nucleo del romanzo è comunque il personaggio di Smith, scandagliato a fondo nel suo tentativo di auto-realizzazione, che vede nelle vicende private e nazionali (fine del matrimonio, dittatura, guerriglia, occupazione) di volta in volta opportunità od ostacoli a quella pace interiore tanto agognata e tanto contrastata. Allo stesso tempo, l’autore costruisce attorno a Smith una rete di personaggi di contorno sempre ben sbalzati e caratterizzati con grande umanità, benché siano sempre rappresentati nel loro legame con Smith, e appaiono in scena sempre e solo in relazione con lui.

Felice dal punto di vista stilistico e psicologico, il romanzo trova qualche intoppo e inverosimiglianza nello svolgimento della trama (vedi la fuga di Smith dalla casa di Volkner, decisamente puerile, o la trovata del rifugio nell’albergo).

Anche il finale del romanzo ha suscitato diverse perplessità fra lettori e critici, giudicato da molti troppo allusivo e sfuggente, poco coerente con il resto del libro. Si può discutere se si tratti di una preziosità dai valori simbolici variamente interpretabili, o di un espediente nato dall’incapacità di trovare una soluzione valida all’intreccio, ma personalmente l’ho trovato suggestivo e persino poetico, e non così immotivato se si considera che Smith è una persona che cerca solo la tranquillità.

Dal punto di vista politico, il romanzo trova una sorprendente attualità proprio nel personaggio di Volkner. La sua capacità di conquistare il favore popolare, le sue corde propagandistiche, suonano sinistramente simile a quelle di diversi movimenti attuali che promettono ordine e pacificazione sociale, anche a prezzo delle garanzie democratiche.

SMITH’S DREAM è inedito in Italia, come tutta la produzione di C.K. Stead, e come del resto la quasi totalità della letteratura neozelandese. Il romanzo ha una particolarità: le donne vengono menzionate solo con il nome di battesimo, mentre gli uomini (incluso Smith e Volkner) solo con il cognome. Unica eccezione è Arthur Buckman, il protettivo e paterno suocero di Smith.

Mario Luca Moretti