LA CACCIATRICE DI SPIRITI 05: LA FINE DEI BRUSAPORTI

All’interno della bolla in cui Shamandala ci aveva messo per proteggermi io avrei dovuto sviluppare i miei poteri, quelli della cacciatrice della profezia, solo che non sapevo da dove cominciare. Nessuno mi dava una mano, un’indicazione: semplicemente, tutti erano tornati ad affaccendarsi delle loro cose ed io dovevo arrangiarmi e ragionare. Riflettevo su cosa avrei avrei dovuto sviluppare e, pensando alla famiglia della mamma, ritenni probabile la possibilità di avere gli stessi poteri dei nonni.  Magari saltavano le generazioni, come l’avere gli occhi azzurri o le allergie.  Che storia sarebbe stata poter confondere le idee a tutto il clan dei Brusaporti, convincerli che fra di loro c’era qualcuno che complottava con gli Stregoni o con gli altri Vegliardi per ucciderli tutti… già immaginavo di avere delle forze fisiche al di là di ogni aspettativa che mi avrebbe permesso di rimettere tutti al loro posto. Preparavo lo spazzolino per lavarmi i denti e intanto pensavo che la mamma non poteva influenzare il pensiero delle persone come Vlore e non sapeva leggere il fututo nei fondali dei fiumi come Olaf. Era solo in grado di muovere le persone in caso di pericolo e aveva  sviluppato un potere legato al fuoco, di cui però non sapevo niente. Erano questi gli elementi da cui potevo partire e contavo di rivolgermi alla mamma, dato che Shamandala, dopo la sera in cui l’avevo vista per l’ultima volta e mi aveva rivolto quella strana allusione al carcere duro, era scomparsa come al suo solito.

Mentre mi fregavo i premolari, ad un tratto lo specchio diventò tutto nero. Era come sporco di grasso, non si vedeva niente e si sentiva come un brontolio lontano. La stanza da bagno si faceva tutta buia e, ad un certo punto, all’interno dello specchio si aprì un varco nello sporco, che mi permetteva di guardare dentro come si guarda un programma alla televisione. Si vedeva una sala buia, la stessa sala buia del cascinale al Serio Morto, dove gli Stregoni avevano collocato i loro troni. Sentivo dei lamenti: dentro una gabbia appesa al soffitto se ne stava mia madre, senza capelli e sanguinante, che sputava denti e sangue, sbavando. Continuavo a guardare, ero spaventatissima e non riuscivo a capire se tutto questo era frutto della mia immaginazione, se era un incantesimo degli Stregoni, se era una visione del mio futuro. Sentivo ridere, una risata forte, possente, che mi faceva tremare le carni addosso. La visione si stava nuovamente oscurando quando, ad un certo punto, dallo specchio uscì una mano enorme, callosa, ricoperta di peli, che mi afferrò il polso. Provava a tirarmi dentro lo specchio, ma io cercavo in tutti i modi di oppormi, aggrappandomi con la forza rimasta al lavandino. Chi voleva trascinarmi in quella sorta di universo alternativo era Olaf, era uscito dall’ombra e in parte dallo specchio,  il suo viso era una sorta di smorfia. Digrignava i denti, sicuramente imprecava in quel suo linguaggio sconosciuto e tirava, tirava talmente forte che io stavo quasi cedendo. Mi sentivo scivolare dentro lo specchio, quando vidi un pugnale di ghiaccio conficcarsi nella mano di Olaf, che iniziò a sanguinare. Lo stregone mollò la presa ed io caddi nella vasca dietro di me, battendo la testa.

Mi risvegliai in una sorta di androne: tutto intorno a me era bianco e gelido, io ero sdraiata sul pavimento, avvolta da pellicce bianche molto calde. Accanto vi erano dei cristalli trasparenti e dentro queste bruciavano delle fiammelle blu. Tutti intorno a me, seduti, si trovavano Shamandala e i suoi quattro fratelli stregoni. Pensai di essere in uno dei suoi nascondigli. Anche i fratelli di Shamandala dovevano avere la sua stessa origine: dovevano essere stati scolpiti nei ghiacci dell’Artico e dovevano essere eterni. Provai a sedermi, ma la mia strega mi fece stendere di nuovo. Uno dei suoi fratelli, un uomo biondissimo con occhi algidi, prese uno dei cristalli e lo mise al di sopra della mia testa. Recitò una delle sue litanie e subito mi passò quel mal di testa che avevo avvertito appena ripresa dal torpore della caduta. Sentii sussurrare Shamandala che mi chiedeva scusa perché non era riuscita a proteggermi dagli Stregoni. Aveva rafforzato la bolla di protezione sopra casa mia per proteggere i miei cari ma per quanto riguardava me non poteva più correre il rischio che gli Stregoni provassero a prendermi. Aveva deciso allora di portarmi nel palazzo in cui lei era “nata”. Eravamo in un anfratto dell’Artico sconosciuto agli esseri umani, dove i suoi avi avevano costruito un palazzo, con blocchi e lastroni di ghiaccio. Era il posto più sicuro che Shamandala conosceva. Le raccontai quanto avevo visto e lei mi disse di non preoccuparmi. Mi spiegò che era molto probabile che Olaf avesse influenzato la mia visione, farmi credere che quanto vedevo nello specchio sarebbe stato il futuro mio e di mia madre. Voleva farmi perdere fiducia, di modo che non avrei avuto la volontà di potenziare le mie capacità per sfruttarle contro di loro. Mi misi a sedere e guardai Shamandala dritta negli occhi: se Olaf non voleva  che io potenziassi i miei poteri era perché sapeva che io avevo ereditato i suoi e quelli di Vlore! La strega era d’accordo, sembrava una spiegazione piuttosto convincente. Avevo almeno un punto d’inizio, ora.

Il palazzo di Shamandala aveva pareti trasparenti: potevo tranquillamente osservare gli orsi polari cacciare senza recare loro il minino disturbo, senza che neanche percepissero la mia presenza. Era proprio bello, ma sentivo la necessità di uscire dalla mia prigione dorata, un po’ per sentire sulla pelle il freddo del Polo Nord e un po’ per vedere da vicino i ghiacci artici. D’altronde quando sarebbe capitata nuovamente un’occasione del genere? Shamandala però non me lo permetteva, poiché sicuramente gli Stregoni erano sulle mie tracce. Nonostante i muri trasparenti, i miei parenti non avrebbero potuto trovarmi là dentro, ma la strega mi faceva costantemente seguire da due dei suoi fratelli, due tipi piuttosto silenziosi. Non si sapeva mai, diceva, d’altronde gli Stregoni erano già riusciti un’altra volta a bucare la mia protezione. Rimasi nel palazzo artico per diversi giorni. Non che mi annoiassi, anzi, però cominciavo a sentire la mancanza della mia solita vita. Un giorno, mentre camminavo in uno dei tanti saloni lastricati di marmo nero, riuscii a scorgere nel riflesso della luce sul pavimento il Vegliardo dei Brusaporti, piuttosto incollerito, che si lamentava con i suoi familiari del comportamento degli Stregoni.  Riteneva di essere usato da questi ultimi, di essere una pedina in mano loro e che se avessero continuato in questo modo lui e il suo clan non sarebbero mai diventati i più potenti di tutti… Alzai lo sguardo, Shamandala se ne stava davanti a me sorridendo. Non solo potevo vedere il futuro, ma potevo vedere anche il presente! Molto interessante: appena capito come fare, avrei potuto aizzare i Brusaporti contro gli Stregoni, sarebbe stato fantastico, i secondi sarebbero stati eliminati dai primi senza grandi spargimenti di sangue, senza che si scatenasse chissà quale guerra apocalittica. Dovevo trovare il punto debole del giovane Vegliardo, così, nei giorni successivi alla mia scoperta, cominciai a concentrarmi su di lui. Se avessi osservato i suoi comportamenti, avrei capito come colpirlo. Lo seguivo mentre faceva la spesa, mentre andava a lavorare, mentre guardava la televisione. L’osservazione durò per diverso tempo, quando, ad un certo punto,decisi di velocizzare la situazione utilizzando il trucchetto che Olaf aveva giocato a me. Era anche il modo giusto per  verificare se potevo condizionarlo. Mentre il Vegliardo si stava lavando i denti, il suo specchio si oscurò tutto: sentiva le sue urla e vide, disseminati sul pavimento del suo salotto, resti dei corpi dei suoi parenti, mentre lui era imprigionato in una botte. Urlava tanto perché Olaf lo stava per infilzare con delle spade sottili e affilate, urlandogli che aveva svolto ottimamente i suoi doveri, pertanto non era più necessario che rimanesse in vita. Il Vegliardo osservava spaventatissimo nello specchio, tanto che piantò tutto lì e corse dai suoi familiari per raccontare quanto visto. Continuai a controllare quanto accadeva: nella casa dei Brusaporti c’era molta confusione ed erano tutti d’accordo che dovevano ribellarsi agli Stregoni, se non volevano morire tutti. Si recarono allora tutti alla cascina al Serio Morto, ma io non potevo vedere quanto accadeva lì dentro. Quella casa era troppo impregnata del potere stregonesco di Vlore ed Olaf per permettermi di vedere quanto succedeva.

Quando la visione finì, corsi a raccontare quanto avevo visto a Shamandala. Decidemmo insieme che sarebbe stata un’ottima mossa avvicinarsi alla cascina degli Stregoni, dovevamo vedere quanto accadeva e se, in caso, era necessario intervenire. Shamandala era però convinta che avremmo avuto bisogno di aiuto, se si fossero accorti di noi. Ci avrebbero accompagnate i suoi quattro fratelli: con loro sì che saremmo state al sicuro. Quando arrivammo nei pressi del cascinale, ci accorgemmo che i Brusaporti erano già arrivati. Diverse macchine erano parcheggiate nel cortile e noi ci mettemmo a sbirciare da una finestra. Grüne, uno dei fratelli di Shamandala, ci fece un incantesimo: se fossimo state in pericolo, tramite una fessura spazio­temporale,saremmo potute scivolare nel palazzo artico, luogo vietato agli Stregoni. Riuscimmo ad entrare nello stanzone: la situazione era piuttosto tesa, Vlore ed Olaf seduti sui loro troni che pretendevano gli omaggi dei Brusaporti e questi ultimi che invece volevano spiegare il motivo per cui preferivano muoversi da soli. Non volevano più essere solamente alla mercé degli Stregoni, ma volevano sovvertire da soli l’ordine dei Vegliardi dell’Ultima Notte. Il Vegliardo non fece nemmeno in tempo a finire il suo discorso che venne colpito da un fulmine lanciatogli addosso da Vlore. Lei rideva e si fregava le mani, poi provvide ad uccidere tutti i Brusaporti. Avevano evidentemente peccato di superbia, come osavano pensare di potersi sottrarre alla loro forza e ai loro ordini? E poi cosa pensavano? Di potersi tirarsi indietro senza subire delle ritorsioni? In seguito confabularono, ma non riuscivo a capire cosa dicevano. Certo era necessario neutralizzarli in fretta, poiché, benché confinati in quella cascina, potevano controllare le sorti dei Cacciatori. La nostra visita si concluse così: sarei dovuta stare in guardia, era possibile che gli Stregoni si sarebbero mossi in prima persona, senza servirsi di altri.

Mi risvegliai a casa mia,  circondata dai miei parenti. Raccontai loro quanto era successo e il nonno mi fece vedere, nel campo davanti casa, un falò che era stato acceso non si sa da chi e quando. L’unica cosa che si sapeva era che aveva a che fare con  gli Stregoni: vi bruciavano dentro i resti dei Brusaporti e si sentiva, nel crepitio delle fiamme, parole che preannunciavano una guerra.

Roberta Lilliu