I MAGI DI GUARDIAGRELE

E’ noto che i saggi che, secondo il Nuovo Testamento, fecero visita a Gesù Bambino, erano i cosiddetti re Magi. Si narra, infatti, che questi uomini, avendo visto una stella apparsa ad oriente nel giorno della nascita di Cristo, la seguirono.

Essi dopo essere partiti dai loro paesi d’origine, seguirono il cammino dell’astro che li guidò in Giudea, ove si rivolsero al re Erode, il quale non sapendo di cosa si stesse parlando, si documentò in proposito. Lasciato Erode alle sue ricerche, i Magi videro riapparire in cielo la stella che lì condusse a Betlemme in una grotta dove videro Maria, Giuseppe e Gesù e, dopo averli omaggiati con ricche offerte, furono avvertiti da un angelo di non fermarsi dal re Erode durante il viaggio di ritorno.

Si racconta che nella cattedrale teutonica di Colonia vi siano custodite tre teste appartenenti ai re Magi. Essi sono conosciuti nella tradizione come: Gaspare, il bianco; Melchiorre, re della luce; e Baldassarre, signore della ricchezza. In un monastero dell’Egitto copto, vi sono le immagini di costoro a cui sono appaiati i nomi di: Melechior, il più vecchio dei tre, il cui nome in aramaico significa signore o re; Baldassarre che deriva, forse, dal nome del re babilonese Balthazar, che corrisponderebbe anche alla possibile regione di provenienza del sovrano stesso; e infine Gaspar, che potrebbe essere il signore e padrone di Saba.

Nel Nuovo Testamento, però, non vi è menzione né del numero né del nome dei re Magi. I tre doni che essi recavano erano: oro, simbolo della regalità; incenso, simbolo della divinità; e mirra, simbolo della morte di Gesù. Alcune fonti sostengono che essi fossero in realtà Sem, Cam e Iafet del Vecchio Testamento svegliatisi dal loro sonno eterno per celebrare la nascita del Redentore.

Secondo una suggestiva teoria, suffragata anche da uno stemma nobiliare, pare che Baldassarre abbia dato vita a un ramo delle famiglie del Graal, le quali, alcune erano semplici custodi della sacra reliquia altre erano, invece, il lignaggio di sangue del San Real, che si trasmetteva attraverso il DNA mitocondriale.

Lo stemma araldico antico della famiglia dei Des Baux italianizzato poi in Del Balzo, è costituito, infatti, da una stella in argento con sedici punte in campo rosso che sembrerebbe essere l’elemento distintivo della discendenza dei re Magi e più precisamente di Baldassarre.

Anche la gens Balt o Balsha, nobile famiglia di origine albanese, ha nel suo stemma una stella a sette punte e pare che questi Re Balti siano venuti più volte in Europa come soldati di ventura e potrebbero essersi stanziati in Provenza patria dei Des Baux e aver dato origine a questa casata.

Secondo un’altra leggenda l’urna d’oro che conserva i resti di Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno, è fregiata da una stella a sedici punte simbolo della stirpe di Alessandro Magno.

A tal proposito si narra, in una favola medievale, che Olimpiade, moglie di Filippo il Macedone e madre di Alessandro Magno, abbia generato suo figlio durante un rito dedicato al dio Bacco di cui era una seguace, unendosi a un sacerdote di nome Balthazzar e sembra che, in Macedonia, i magi o maghi persiani portassero tutti questo nome.

La famiglia dei Des Baux è originaria della Provenza dove poteva contare su diversi possedimenti. Essi vennero in Italia al seguito di Carlo I d’Angiò nella prima metà del 1200. Pare che tale stirpe, come molte altre del sud della Francia, avesse legami strettissimi con i Templari e quindi, durante la battaglia di Benevento, sembra che non fosse la prima volta che questa casata venisse a contatto con i monaci guerrieri.

I Des Baux si unirono sia ai d’Angiò che ad altre casate nobili come: i D’Orange, gli Orsini e gli Altamura, mentre consolidavano sempre più il loro potere nell’Italia Meridionale attraverso i propri feudi. Questo consolidamento portò anche alla trasformazione del cognome da Des Baux in Del Balzo, che divennero, nel Sud Italia, dopo la scomparsa dei Templari a causa della loro feroce persecuzione da parte di Filippo il Bello, i custodi di molti beni di quest’Ordine. Infatti uno dei tanti stemmi di questo nobile casato consta di un cimiero con una “croce patente” tipica dei cavalieri dell’Ordine del Tempio, che potrebbe essere un chiaro richiamo ai loro antichi compagni d’armi e custodi dei loro possedimenti avendone incamerato i beni. Tra queste ricchezze appartenute ai Templari forse poteva essere presente anche la reliquia più ambita della cristianità, cioè il Santo Graal in quanto sappiamo che i Del Balzo sono annoverati tra le famiglie del Graal.

Come si è visto la stirpe dei Del Balzo si unisce a quella degli Orsini nel XIII secolo dando vita a una casata chiamata Orsini Del Balzo. Essa nasce dal matrimonio di Roberto Orsini, figlio di Romanello, e Sveva Del Balzo, figlia di Ugo. La famiglia Orsini ha annoverato tra i suoi possedimenti anche Guardiagrele.

Le origini di questo meraviglioso paesino, definito da D’Annunzio nel Trionfo della morte “nobile città di pietra”, si perdono nelle pieghe del tempo.

Le tracce antropologiche, supportate anche da ritrovamenti archeologici, rinvenute nella tradizione di questo paese, ne attribuiscono la sua fondazione a genti preromane.

Il suo primo agglomerato urbano sembra prendere le mosse da rocca posta in posizione predominate, di probabili origini longobarde, conosciuta nella tradizione come Torre Orsini o il Torrione.

Questa rocca, le cui tracce antropologiche la individuano, come il castrum Guardia Graelis o Guardia Grele, aveva il compito, secondo la tradizione, di difendere il borgo.

Alcune leggende nate intorno al suo nome dicono che esso era chiamata Aelion, dalla radice greca Helios, cioè sole, ed era conosciuta, anche, come Città del Sole. In seguito essa fu chiamata Grelio, dal nome di un condottiero greco, e da qui il nome Graelium, Graelle, Graeli e infine Grele.

Tutto questo ci riporta, almeno per assonanza, alla parola Graal, quindi se si uniscono le due parole di cui è composto il nome viene fuori Guardia Graal!

Ma qui ci troviamo nel campo delle ipotesi, non suffragate da alcuni elementi ben precisi!

Essa fu feudo dei Palearia, con la contessa Tomasa, ramo cadetto della potente famiglia dei Di Sangro; successivamente passò nelle mani degli Orsini che ne detennero il possesso, tra alterne fortune, per circa duecento anni.

Sotto il dominio degli Orsini essa divenne una roccaforte del Regno di Napoli e le fu dato il privilegio di battere moneta.

Durante il secolo dei Lumi, Guardiagrele fu pesantemente penalizzata da terremoti, insurrezioni e repressioni dell’esercito francese che si abbandonò ad ogni tipo di violenza.

In questo paese, rinomato anche per l’arte di lavorare i metalli, vi sono chiare tracce di elementi pagani inglobati, poi, dal sincretismo cristiano in tre splendide chiese: quella di Santa Maria Maggiore che nasce sul tempio pagano dedicato alla Grande Madre Majella; la chiesa di San Nicola di Bari, che è la più antica sorge su un antico tempio dedicato a Giove; e infine, quella di San Silvestro sul tempio della dea Diana.

Sulla facciata della chiesa di Santa Maria Maggiore vi è dipinto San Cristoforo, patrono dei Paladini o Palladini nella loro accezione abruzzese. Inoltre essa annovera nel suo territorio anche la Chiesa di San Pietro di cui oggi si trovano solo dei ruderi incorporati all’interno di Porta San Pietro, edificata secondo la tradizione da Pietro da Morrone medesimo, che come è risaputo, fu, secondo alcune fonti, legata alla sacra reliquia del Calice Santo.

Infine a Guardiagrele vi è un luogo chiamato Piazza Cavalieri, ma… a quali cavalieri è stato dedicato? Forse proprio ai Templari!

Nicoletta Travaglini

Fonti

- A.A.V.V., “L’enciclopedia dei misteri”, Arnaldo Mondadori Editori S.p.A., Milano, 1993

- A.A.V.V., in rivista “Graal” n.0, novembre/dicembre 2002

- CHEVALIER, Jean; GHEERBRANDT Alain; “Dizionario dei Simboli”, Biblioteca Universale Rizzoli, quarta edizione, luglio 2001

- MERCATANTE, Antony S., “Dizionario Universale dei miti e delle leggende”, Newton & Compton Editori S.r.l, Roma, 2001

- PANSA, Giovanni, “Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo”, Arnaldo Forni Editore, Sulmona, 1924