I RACCONTI DI VIBORG 02 – LE GEMME DI MARDUK

TRAILER 05

“Ánam asuràtanen ryn amàbaramæ qàtarymidypæ sidæmàsaræ àlawarotoum”

“Ho Combattuto il Drago sino all’Ultima Stilla del Mio Sangue”

È la  sentenza  finale che leggono i nostri nemici, mentre li falciamo senza tregua  nell’urto della battaglia, è la frase incisa sui grandi scudi appuntiti della Stirpe di Adam.  Abbiamo combattuto il Drago, per il trono di Adam, per il nostro onore e quello dell’Eden. Siamo gli unici Uomini a essersi messi fra l’esercito dei Draghi e la vostra salvezza. Accadde nel 1989, una data che i Figli di Caino ricordano molto bene. Quando le vostre linee difensive erano ormai in putrefazione, Re Adam, mio padre, decise di  inviarmi a organizzare la difesa dell’Europa Centrale. Io sono il Duca Erede al Trono di Adam, e i miei Cavalieri rappresentano l’elite guerriera dello sterminato esercito del Dio Alath. Insieme ai  miei Uomini ho liberato l’Europa dai Pirenei sino ai confini Mongoli, distruggendo le orde degli invasori.  La mia nave si è posata nell’Oceano Atlantico, travolgendo le ultime portaerei prima del loro ultimo e inutile tentativo di difesa con i missili nucleari. E, seppur atterriti dalla nostra discesa, in qualche modo vi siete sentiti sollevati. Un contrattacco nucleare, i vostri generali lo sapevano molto bene, avrebbe solo accelerato la vostra fine.

Comincerò a raccontare da quando mi schierai  in guerra al vostro fianco. Anzi, al posto vostro, visto che i soldati dei Figli di Caino mi sono del tutto inutili oggi, come lo furono allora.  La prua della Darakæphyran, la nostra astronave guerriera per eccellenza, dalla chiglia abbrunita, entrò nell’atmosfera terrestre.  Le nubi degli strati più alti del cielo si ionizzarono subito e accesero una luce blu e viola così intensa che molti dei Figli di Caino sulla terra ne vennero accecati. La tremenda scossa celeste, spostò le astronavi dell’invasore, che gravitavano su diversi punti del pianeta.  Alcune non resistettero neppure all’onda anomala del suo ingresso e precipitarono, causando devastanti deflagrazioni.  Non c’è luogo sulla Terra adatto all’atterraggio di una Darakæphyran, vista la sua immensità, perciò la nave puntò in mezzo all’Oceano. I Rettili cominciarono subito a capire che non avrebbero mai trattenuto la loro conquista. Il tuono dell’ammaraggio venne udito ovunque nel mondo, era il nostro grido di guerra. Non usiamo bandiere, nessuna divisa, solo corazze abbrunite, intarsiate dai nostri maestri forgiatori. Siamo guerrieri, non soldati. Siamo i Cavalieri di Alath. Quando il nemico ci vede  sul campo di battaglia, sa che lotteremo sino all’ultima goccia del nostro sangue; per noi non c’è  uno stipendio, né una carriera. Solo la Shariwalar, la Via della Guerra, l’unico modo per arrivare alla santità. Ogni Cavaliere, me compreso, ha una sola ambizione: diventare santo per l’onore del Trono di Adam, per amore di Dio.  Non avevate minimamente idea di cosa ammarò quel giorno negli Oceani. I vostri generali però ce l’avevano. E come d’uso nelle gerarchie della stirpe di Caino, vi ingannarono, tacendovi la nostra esistenza. Anche i Rettili Invasori ci conoscevano già molto bene, visto che sono cinquemila anni che ci combattiamo ai confini dell’Impero di Nostro Signore, il Misericorde Alath.  Bastarono tre nostre Astronavi, contro le settanta  dell’esercito invasore e alla marea di ferraglia schierata dai Figli di Caino, per sciogliere l’assedio della Terra.

Quando arriviamo al corpo a corpo con il nostro nemico, dura tutto pochi istanti e sul campo non rimangono che ombre dei cadaveri che  lasciamo. In genere se non si tratta dei Draghi, il nemico fugge terrorizzato in una ritirata caotica. Ma i Draghi sono guerrieri degni del massimo rispetto e non volgono le spalle al loro nemico.  Sicché, sotto lo sguardo pietrificato dei soldati di Caino, i combattimenti fra noi e i rettili si accesero ovunque, nelle città, nei campi, sui mari.”

Parlavo spesso con il Duca. Da quando sono stato preso, si dilungava in pomeriggi interi nell’insegnarmi la sua lingua. Perciò mi raccontava la storia dell’invasione del suo punto di vista, attraverso il Kitosirawan, il suo idioma, che ormai avevo imparato ormai quasi bene. Possiede una pronuncia ostica ma una grammatica non troppo elaborata, anche se sembra ingannevole sotto certi aspetti lessicali, non è un’impresa impossibile parlarlo. Il fatto di aver studiato lingue antiche mi tornò utile, poiché alcune sfumature di quella pronuncia talora parevano risorgere dall’antica lingua sumera, altre volte sembravano di tutt’altra natura, quasi antico nordiche. 

“Mi ha detto che i generali terrestri sapevano di voi. Mi può parlare di questo, Duca?”

Non rispose. Faceva spesso così, rendendomi nervoso. S’impadroniva del mio tempo e della mia attenzione, poi quasi la cosa lo divertisse,  interrompeva le nostre riunioni. Lui era l’unica cosa che conoscevo in quella piega isolata del tempo e dello spazio, non avevo altra relazione umana, nessuno dei suoi Cavalieri si era mai rivolto a me, sino ad allora, se non per aridi commenti o per impartirmi ordini. Certe volte cenavo insieme a lui, in una sala accogliente, forse in una specie di castello, visto gli araldi, il legno del pavimento e delle pareti. Non c’era nessun altro uomo come me dove mi trovavo. Solo gli enormi e barbuti Cavalieri di Adam. “C’è una novità per te, Peter.” Mi disse. “ Ah, sì, quale?” dissi, incuriosito. Da quando venni catturato i miei giorni scorrevano più o meno sempre alla stessa maniera: solitario a carte nella mia stanza, doccia, studi di Kitosirawan e  riunione con il Duca.

“A bordo di una nave tutti hanno un compito.” Disse ancora. La cosa mi colpì in modo piacevole, forse avrei dato un senso a quella mia inutile prigionia. E capii perché mi avesse spinto nell’imparare la sua lingua.

“Anche tu fai parte del mio equipaggio, adesso.” La sorpresa aumentò, poiché  mi ero sempre sentito una cosa diversa da lui, un detestabile Figlio di Caino.

“Presto verrai a sapere del tuo incarico.”

Ero entusiasta, ma una sensazione oscura mi tratteneva dall’essere felice. Mi ero sempre scelto le vie della mia vita. E quella parola “incarico” sembrava dirmi una cosa sola: qualunque compito mi verrà affidato, dovrò adeguarmi . Non mi ha chiesto di scegliermi uno fra i lavori possibili, mi disse solo:“il tuo incarico” senza lasciarmi replicare.

Dopo qualche giorno da quella cena un Cavaliere venne a prendermi. Camminammo per un bel pezzo attraverso i soliti corridoi squadrati, dall’onnipresente grigiore. “Siamo arrivati” fece. Non ho idea di dove mi trovassi. Né di quando passammo dal tunnel a un simile luogo. Era come se la mia mente si fosse “spenta” per alcuni minuti, risvegliandosi in una specie di stanzone con pareti e pavimento bianchi come la neve. Vi erano delle barelle alle pareti, ma non si trattava un ospedale.  Un puzzo sottile di decomposizione mi prese alla gola.  La guardia mi lasciò da solo, dicendomi di aspettare le direttive dai miei superiori. I miei superiori: quasi mi scappò una risata per l’assurdità della mia situazione. Osservai i letti. Erano occupati da creature simili a esseri umani, ma più minuti e sinuosi. Li guardai, incuriosito, i loro volti avevano zigomi sfuggenti e si somigliavano tutti. Una di queste creature, l’unica sveglia, mi stava fissando, Potei scorgere i suoi occhi, diversi da quelli umani, molto grandi, neri come la notte, screziati di azzurro elettrico. Ma lo sguardo mi parve vitreo, senz’emozione.

“Cosa c’è qui dentro?” gli chiesi. Non mi rispose, rigirandosi sul fianco.  Una porta in fondo alla sala sembrava essere l’unica uscita da questo luogo. Era massiccia e blindata, con una specie di lampeggiante rosso spento alla parete.  All’improvviso  quella pesante quiete venne interrotta. Le creature si svegliarono. Erano entrati due Cavalieri. Dietro di loro vi era  il Duca. Avanzò verso la lettiga con la creatura sveglia. Questa cominciò ad agitarsi. Smaniò, come se non volesse essere avvicinata. Ma la mano del Duca era grande quanto tutta la sua testa e non trovò difficoltà nel contenere i suoi movimenti.

 “No, no, lasciami!” gli gridò “Non ci voglio andare, non lì dentro!” frignò. Mi sorprese la sua padronanza del Kitosirawan. Il Duca lo prese e senza il minimo sforzo, se lo coricò sulla spalla: “Sta’calmo, se ti rilassi nessuno si farà male.” gli disse. Il lampeggiante alla parete s’illuminò e con un suono fastidioso la porta blindata scatta aprendosi. Il Duca varcò l’ingresso con la creatura ormai in preda al panico, seguito dalle guardie.

Rimasi di nuovo solo, insieme a quegli esseri, tornati apatici e  inerti sulle lettighe. “Possibile che qui nessuno mi sappia dire cosa c’è oltre quella dannata porta?” gridai, innervosito dalla scena di prima.

La porta scattò ancora. Il Duca e le due guardie ritornarono, con loro anche la creatura, che adesso misero a terra, perché provasse a camminare da sola. Una delle Guardie: “Non ce la fa neppure a stare in piedi.” La creatura sembrava un pezzo di carne macellato. Le  vene gli  pulsavano impazzite, sbavava e piangeva, in preda a una crisi isterica.

Il Duca prese un asciugamano e, immobilizzandolo, gli ripulì il viso: “Sta’ tranquillo adesso passa. Ti cureremo le ferite e sarai come nuovo.” Ma la creatura cadde per terra e cercò di divincolarsi dalla  presa dell’uomo.

“Dio mio ma in che razza di posto sono?” urlai. Il Duca si accorse di me, mi sorrise in modo sinistro. Coricò quell’essere massacrato sulla lettiga. Puzzava in modo così nauseante che ebbi un conato. Il Duca sembrò compiaciuto del mio disgusto: “Non hai mai sentito l’odore di un capriolo ferito? Puzza di bosco marcio.”

Cominciò a prendersi cura della creatura, tamponandogli le ferite e cospargendogli un oscuro impiastro che in breve gli ricompose la pelle sbranata,  quasi fosse stata presa a morsi da una bestie enorme.

“Cosa diavolo c’è qui dentro?”continuai, preso da un’ansia montante.

Il Duca venne attratto dal mio disagio , mi rispose: “Tu ci sarai utile, qui Peter Bang. Il problema è che debbo vagliare la tua compatibilità con quella dei nostri ospiti. È da tempo che non annusano un Figlio di Caino e spero ti trattino con un po’ di riguardo.” indicò la creatura distrutta sul lettino e continuò: “Per quello che riguarda questi qui, non ti daranno problemi, sono animali innocui. Anche se dovessero rivoltarsi e mordere la tua mano, i loro denti sono piccoli e non fanno male. Ma è molto raro che si rigirino. Basta urlare un po’ e si pisciano addosso.”

La cosa che urtava i miei nervi era il continuo riferimento a quelle povere creature come a degli “animali”. Perché considerarli bestie? Sapevano parlare come me e come loro, i grandi uomini di Adam, erano anche di aspetto molto ‘umani’. La cosa non mi piacque, ma dovetti tacere per non suscitare l’ira del Duca e dei suoi “Io…io che dovrei fare?” ero atterrito. Qual’era il mio incarico in quel luogo orrendo?

Il Duca con la sua solita, insopportabile calma: “Alla fine della giornata questo salone è sempre molto sporco. Gli Allaghén cominciano a  vomitare e andare di corpo, dopo due o tre sedute. In genere fanno circa dodici sessioni al giorno ciascuno, quindi immagina cosa ci sarà fra poco su questo pavimento. Tu ci aiuterai a mantenere il decoro di questo posto e pulirlo da ciò che i  nostri ‘pazienti’ espellono in modo così convulso.” Ebbi un fremito. Non avevo mai sopportato la vista del sangue e in genere venivo colto da conati solo a udire una persona rigettare. Avevo un vero e proprio panico ogni volta che dovevo farmi infilare l’ago per i prelievi del sangue. Ma questo sembrava che il Duca lo avesse da sempre saputo. Se fosse così, allora, si stava divertendo nel rivoltarmi la psicologia?

“E oltre la porta? Cosa c’è da fare lì dietro?” farfugliai, colmo d’odio e di terrore al tempo stesso.

Il Duca guardò il portone e annuì, con un tono sgradevole : “Sì, la tua curiosità sarà soddisfatta subito.” Chiamò le guardie ordinando loro di tenersi pronte: “Entriamo di nuovo.” Disse. Andò verso un’altra barella e tirò su, un’altra creatura: “Li chiamiamo Allaghén.” Mi spiegò “Non sono esseri umani, non c’entrano nulla con la vita come la conosci. Sono Esseri di Luce, capaci di tramutarsi in piccole stelle luminose, se lasciate libere di correre in un luogo consono. Ma questo te lo mostrerò più avanti, non oggi.” L’essere si agitava come quello di prima. Era terrorizzato. Il Duca schioccò la lingua  in un atteggiamento materno, per calmarlo.  “Non t’illudere. Sono animali selvatici e tentano sempre di ingannarti con il loro atteggiamento da cuccioli spauriti.” Mi disse “Devi stare attento alla loro velocità. Sono molto rapidi e cercano di fuggire non appena ti distrai.” Mi invitò a seguirlo assieme ai due Cavalieri. Oltrepassai la misteriosa porta. Ero impietrito. Stavo cercando di mettere in ordine tutto quello che stava accadendo, ma le cose sembravano scivolare dalla mia mente, in modo assurdo. “È  un incubo.” Pensavo e speravo, ma dal quale tardavo a svegliarmi.

Oltre la porta c’era una specie di corridoio in discesa, con  radici enormi che scendevano dal soffitto. Non avevo mai visto una struttura simile. Sembrava di trovarsi un tunnel scavato al di sotto di un bosco dagli alberi smisurati, grandi quanto dei palazzi. La puzza di marcio divenne quasi intollerabile via, via, ci spingevano all’interno. La luce si fece sempre più fioca, sino a lasciare intravedere le ombre delle mostruose radici impiantate ovunque, sul soffitto, nelle mura. L’ansia di sapere dove stessimo andando bloccò tutte le domande nella mia gola. Il gruppo si fermò innanzi a un’altra porta, stavolta a due ante, più alta e corpulenta. Attendemmo. Il Duca lasciò l’Allaghén, caduto in un innaturale torpore, sulla spalla di uno dei due Cavalieri, e prese a parlarmi: “ Ti debbo dare qualche regola prima di entrare.”

Deglutii, intuendo una realtà inimmaginabile per il resto degli essere umani. Continuò: “Non ti allontanare mai da noi. Afferra alla lettera il significato di  questo “mai”. Rimani sempre dietro di noi, qualunque cosa capiti. Se dovessimo incontrarli, non guardarli negli occhi, non parlare, anche se loro potrebbero rivolgere domande, non fiatare. Saremo noi a rispondere per te. Non toccare, qualora vi entrassimo in contatto, quelli che ti sembrano piccoli e innocui, non lo fare o ti metterai in un guaio dal quale mi sarà molto difficile toglierti. Le domande me le farai dopo, una volta fuori di qui.” Concluse. L’unica cosa che la mia angoscia mi concesse di fare fu quella di annuire docile. 

“Apri la porta!” ordinò. Una ventata di tanfo avvolse i miei sensi, cominciai a sudare freddo, sentii la mente intorpidirsi. Un Cavaliere si accorse del mio cedimento e mi soccorse: “Tieni, mettiti questo.” Mi lasciò un barattolo di mentolo da spalmare sotto le narici e una mascherina d’ospedale. “Scusa, noi ci siamo abituati.” Mi ripresi e seguii la compagnia.

Entrammo in quella che potrei definire come una specie di foresta sotterranea. L’umidità era pesante, i vestiti  s’inzupparono subito. C’erano piante mai viste sulla Terra, dalle foglie immense e funghi puzzolenti grossi come bistecche. I piedi erano in una sorta di acquitrino.  Il Duca disse alla Guardie: “Andate sul ponte, io passo da sotto con lui” prese l’Allaghén dalla spalla del Cavaliere “Tu Peter, rimani con loro, sempre!” Mi ordinò . Prendemmo un viottolo in salita, che ci condusse una specie di tunnel costruito con un materiale trasparente, sospeso per aria.  Da quell’altezza potevo osservare un panorama assurdo. Si trattava di un ambiente alieno replicato in  un’immensa serra. Poi scorsi delle ombre. Ombre titaniche.  Uno dei due Cavalieri disse: “I nostri ospiti ci hanno sentiti. Mi chiedevo dove fossero.” L’altro gli rispose: “Erano a mangiare, per questo si sono distratti.” “Meglio così, a stomaco pieno saranno meno eccitati.” Gli rispose il primo. Ora una di quelle ombre venne vicina. Sembrò non vederci. Era una specie di dinosauro. Non avevo mai visto un rettile così enorme, era tre volte tanto un Drago degli Invasori.  Non aveva ali come quest’ultimi. Uno di quei rettili carnivori che fanno vedere nei documentari, ricostruiti attraverso la grafica di un computer. Ma questo era reale. Annusò l’aria. Quindi si accorse del Duca. Abbassò l’enorme muso su di lui, odorando la creatura che aveva messo a terra. L’Allaghén scartò, cercando di divincolarsi, ma il Duca lo trattenne. Una guardia disse: “Forza, fatti annusare. Così farà quel che deve fare e andiamo tutti a casa.” “Santi numi, cosa deve fare quel mostro?” chiesi, balbettando.

Non mi rispose. Il Rettile avanzò la sua mano artigliata dalle dita lunghe e flessibili, prese la creatura per il polso, come fosse un pupazzo di pezza, gorgogliò qualcosa al Duca, il quale scosse la testa, annuendo. E, mentre l’Allaghén ciondolava dalla sua mano, impietrito dal terrore, si inoltrò in un angolo oscuro della serra. Il Duca ci raggiunse nel tunnel: “Oggi il vecchio Mardùk era

tranquillo.” Disse ai Cavalieri

“Che cosa…perché non mi spiegate che cosa sta succedendo qui?” cercai di sembrare arrabbiato ma la paura di quello che vidi mi tagliava la voce.

A un certo punto udimmo ruggiti profondi. Poi altri versi, come rantoli e gorgoglii. “Sono arrivati anche gli altri alla festa di Mardùk?” chiese un militare al Duca

“Sì, ma non credo che il vecchio stia dividendo la sua preda.”

“Il vecchio ha sempre fame e non ama dividere il suo piatto con i suoi rampolli.”

Il tempo trascorse in un modo irreale. La mia testa era pesante e la mente era come anestetizzata dal quel luogo osceno. Il Duca: “Bene vado a riprenderlo.” Disse. Mi guardò e aggiunse: “Peter Bang, tu sta’ pronto a fare quanto ti verrà detto.” Si allontanò ancora verso il centro della serra.

Il Dinosauro tornò dall’ombra, aveva la creatura fra le mani. La cedette al Duca.  Da lontano vidi il suo sangue scorrere sulla tenuta argentea dell’uomo. Ritornarono nel tunnel. Il Duca mise in piedi l’Allaghén che tentennò e cadde, vomitando. Il suo corpo era un unico grumo di sangue “Peter, puliscilo, e mettigli l’aspiratore in bocca, così non si strozzerà rigurgitando.”

“Ma non i guanti, non sono preparato, non ho mai fatto una cosa simile!”

“Gli Allaghén non trasmettono malattie ai Figli di Caino, e non ci servi elegante per una serata di gala. Esegui gli ordini e non lagnarti.” Replicò secco.

Il poverino stava soffrendo, rantolava e piangeva. Riuscii a sentirgli dire: “Perché? che ti ho fatto?” rivolto al Duca. Lo stomaco mi si era chiuso e non riuscivo a respirare per la pena. “Non ce la faccio!” gridai, scosso dal tormento di quell’essere.

“Peter è un ordine. Pulisci quell’Allaghén, altrimenti da Mardùk porterò te la prossima volta!”Presi i panni che mi passarono le guardie, il disinfettante e cominciai a lavarlo. Ebbe un conato, lo aiutati, girandolo su un lato. Quando il Duca pensò che ne avessi abbastanza: “Va bene così, l’hai ripulito per poter risalire senza imbrattarci.” Mi scansò e lo sollevò, coricandoselo in braccio. Ritornammo verso l’uscita. Ebbi l’impressione che quanto mi venne chiesto di fare non aveva alcuna utilità. Ma che fosse una sorta d’iniziazione al mio destino. Non idea di cosa avesse fatto il mostro a quel poverino, ma alcune delle possibili risposte mi accapponavano la pelle.

Fu il Duca a iniziare il discorso: “Caro Peter, Mardùk è un vecchio signore, un capo millenario. Collabora con noi a certi progetti, perciò diamo a lui e ai suoi soldati, che tu non hai avuto ancora il piacere di incontrare, la nostra ospitalità. Lui è in grado di tirar su da questi animali, molta più energia di quanto ne siamo capaci noi.” Batté la mano sull’addome dell’Allaghén, per indicare di chi stessimo parlando: “Il processo di Mardùk è molto doloroso per loro, ma funziona.”

“Voi siete dei folli! E quanto pensate che questo sventurato possa sopravvivere a una tortura simile?” esplosi, stravolto dall’orrore.

Con una serenità inumana replicò: “Se lo lasciassimo solo a Mardùk, non sopravvivrebbe neppure una singola seduta. Ma intervenendo, ricostruiamo le sue cellule danneggiate e un po’anche  la sua psiche, anche se per quest’ultima di posso far poco, visto, però, quello a cui mi serve, non m’importa. Il processo di recupero da me inventato riesce a riportarli in condizioni ottimali per altre sedute. Potremmo andare avanti all’infinito. In parte dipende dall’energia che succhia Mardùk durante le sessioni. Se ne prende troppa, allora il recupero sarà incerto. Per questo entro sempre io con loro. Debbo assicurarmi che non vengano spremuti in modo eccessivo.”

Ero rimasto senza forze, non riuscivo nemmeno a pensare su dove fossi capitato. Ebbi solo la volontà di chiedere: “Lo fate solo a ‘loro’. Date solo Allaghén a quei…quei cosi?”

“Qui sì, perché ci occupiamo dell’energia fotonica che solo questa specie possiede. E poi non potremmo adoperare  ciò che discende da Adam. Sebbene voi siate una stirpe corrotta da Uzzath, ci appartenete per una buona parte del vostro sangue. Nessuno di voi, quindi può essere toccato da Mardùk.”

 “Dio mio, mi sta dicendo che avete catturato questi poveri innocenti, solo per farli sbranare da quei mostri?”

Il Duca stirò le labbra, pago: “Mai stato a caccia? È più divertente, loro sono agili e furbi. Mi piace inseguirli, sentire la loro paura mentre li lego, i loro occhi vivi e il cuore che corre impazzito. Puzzano in modo allucinante, specie se sono in pieno panico. Ma con un bel bagno la cosa si risolve. È l’odore del bosco, del selvatico. Nessuno si lamenta se questi animali scompaiono, anzi. Non hai idea di quanta gente abbia paura dei fantasmi che infestano le vecchie case abbandonante.  Quando vengono sulla terra in cerca di cibo e riparo, spesso abitano le vecchie case deserte. Sono loro la causa delle leggende sugli spettri. Di rado riuscivamo a prenderli quando sono di carne. Ultimamente la mia ricerca si è spinta molto in là e sono in grado di costruire trappole dalla tecnologia avanzata. Inoltre le mie conoscenze sulla loro psiche sono più profonde, trarli in inganno è diventato più semplice. Allo stato corporeo sembrano simili a noi, anche se con una strana luminescenza biancastra. Gli occhi possono essere due sorgenti di luce intensa e abbagliante. Poi una volta catturati, perdono la loro aura.” Non fiatai. Ero come ipnotizzato da quella realtà. Mi trascinai attraversando la sala con le lettighe dove dominavano sedate le creature da sacrificare.  Mi tornarono alla mente le parole del racconto del Duca. Un’alleanza perché la sua gente scendesse sulla Terra, liberandoci dagli invasori. Ma chi ha pagato il prezzo? Guardavo le creature distrutte, mentre dormivano il loro sonno chimico. Quei corpi abbandonati sulle barelle sembravano brani di libertà che si frantumavano sotto il martello di un padrone dall’avidità smisurata. Un Cavaliere entrò nel salone con una specie di mobile portavivande. Mi guardò e fece cenno di avvicinarmi a lui. “Devono essere nutriti.” Mi disse “Non tutti mangeranno da soli, dobbiamo forzarli. Sminuzza il cibo se fanno storie e infilaglielo in bocca, poi stringi il loro esofago, facendo scivolare il boccone in gola. Assicurati che non lo risputino.”

Non entravo mai negli ospedali e nelle cliniche, giacché anche il solo odore del vitto dei pazienti mi stomacava. E ora l’effluvio di quella roba sul tavolo era ancora peggiore.

“Sono vegetariani.” Mi fece il Cavaliere, mentre io intontito, ascoltavo le sue indicazioni “questa roba nel piatto è uno stufato di proteine vegetali. Puzza un po’, ma a loro piace.” Mi fece cenno di seguirlo: “Ti mostro come si fa.”

Sollevò una creatura, gli immobilizzò il viso, infilandogli il cucchiaio in bocca. Attese che deglutisse. La cosa sembrò facile. “Lui e qualcun altro  devono essere imboccati, ma in genere mangiano da soli. Assicurati che tutti finiscano la loro razione, è importante.” La creatura aveva uno sguardo perso, sembrava svuotata della sua anima. Obbediva in modo automatico alle mani dell’uomo, aprendo la bocca. Compresi il perché non mangiasse da sola, non sapeva neppure chi e dove fosse in quel momento. Qualche colpo di tosse fece capire a me e al Cavaliere che alcuni si stavano svegliando dal torpore artificiale. “Va bene, apriamo il ristorante.” Mi disse.

Il Duca mi aspettava nella solita sala per l’ora di cena.  Mi ero da poco ripulito, ed ero riuscito finalmente a levarmi di dosso gli odori nauseanti che mi  erano rimasti appiccicati in quel luogo . Mi fece portare abiti nuovi. Una camicia di un tessuto mai visto prima, quasi una carezza sulla pelle, e pantaloni di un lino alieno, finemente tessuto, leggero come un soffio di primavera. Mi rasai, un istinto malsano mi sussurrò di lasciarmi una sottile linea di barba, come a ricalcare i Cavalieri e il Duca. Passai la schiuma su quei peli superflui. Ma al momento decisivo lasciai la traccia di barba sul mento. Non ero uno di loro. Perché farmela crescere come se lo fossi, un Cavaliere di Adam? Lasciai la peluria sulla faccia e mi preparai per la cena. La Guardia bussò. Vide il filo che onorava il mio mento: “In genere la barba la portano solo i Cavalieri anziani.” Disse, consigliandomi di radermi. “è un offesa per voi?” chiesi

“Non lo è se chiedi il permesso a  Vostra Altezza. Se lui ti concede di portarla, puoi fartela crescere.”

Una volta a cena, il Duca sembrò sedersi appagato: “Sono molto contento di te, Peter.” Disse “Era da tempo che desideravo un Figlio di Caino con il tuo talento, nel mio equipaggio. Come stai con questi nuovi abiti?”

Mi guardai la camicia, un po’ disorientato per la giornata trascorsa, per la cena e l’improvviso rilassamento accanto al fuoco del camino: “Mi stanno molto bene, Duca, la ringrazio.”

“Sono di una sartoria Siran. Lavorano questi materiali così bene che sembrano naturali, però li hanno creati in laboratorio. Un giorno incontrerai anche loro, i Siran.”

“Sì? Come sono?”

“Antipatici come la morte. Ma utili. Te ne accorgerai.”

“Chi è Mardùk? A quale specie appartiene?”

Il Duca sorrise, gli piaceva quando mostravo interesse : “Mardùk è un Arcontosauro.  Il rettile pensante più grosso che conosciamo.”

“Quell’affare è… è intelligente?” me ne uscii stupefatto.

“Molto più di quanto possa immaginare, Peter. Non ce ne sono tanti della sua specie e lui è una specie di Re, un capoclan molto antico.”

“Quanti anni ha?”

“Anni? Peter Bang, fra poco studierai come calcoliamo il tempo qui e ti accorgerai della futilità della tua domanda. Il Kitosirawan non è solo una lingua ma anche un modo di pensare.” Sospirò, quasi divertito dalla mia ingenuità. Mi versò del vino, continuando: “Mardùk esiste da svariati millenni. Neppure lui sa quanto sia vecchio. Avrà generato un’infinita discendenza, e attraverso le epoche è riuscito a conoscere i segreti della Luce che si nasconde dentro i nostri Allaghén, e se ne è servito per vivere sempre più a lungo.”

“Gli Allaghén… Duca non voglio offenderla, ma non sono portato per assisterli. Il sangue mi fa ribrezzo come l’odore del disinfettante.”

Gli occhi dell’uomo si fecero di pietra. Il suo viso non trasmise alcun’emozione. M’imbambolai colpito dalla sua improvvisa freddezza. Parlò e la sua voce assunse la densità di uno scotimento tellurico: “Il proprio compito nel mondo non si sceglie. L’incarico ti viene trasmesso dall’autorità e tu non hai competenze per disquisire sulla sua valutazione. Tu sei qui, adesso. Sei dei nostri e noi non scegliamo ciò che facciamo, nasciamo per essere ciò che facciamo. Io voglio te come assistente di sala nella galleria di Mardùk. Peter, sono la tua autorità competente, ti consiglio di non ti metterti più fra me e le mie decisioni.”

Il cambiamento d’umore del Duca mi lasciò senza fiato: “Non volevo offenderla, mi dispiace.” Farfugliai.

“Nessun problema, l’importante è che tu capisca il concetto di autorità in questo posto.” Si scongelò. Per un attimo, il tono della sua voce, la sua espressione marmorea, mi fecero credere che avrebbe potuto distruggermi nel modo peggiore, solo con un cenno della mano. Io ero dei loro. No, ero del Duca.

“Credo di averlo afferrato.” Risposi. Essere proprietà del Duca significa che l’idea di autorità deve entrarti dentro, stamparsi nella tua psiche, nella tua mente, perché lui non è un tuo superiore nel senso umano di questo termine. Tu gli appartieni. La sua amicizia non è paritaria, tu sei un elemento debole della sua catena che deve venire protetto. Non ti è concesso scegliere con chi stare. Se lui ti vuole, in una notte ti ritrovi qui dentro, come è accaduto a me. E qui dentro, qualcuno per te sceglierà un incarico; anche se detestabile e ripugnante,  non saprai mai perché ti abbiano collocato lì, e per quanto raccapricciante possano sembrarti, ora quella è la tua vita. E non è più possibile morire. Una vita prolungata grazie al violento furto dell’energia d’un’altra creatura, una tecnica raffinata nel corso delle ere. Capii che tra non molto anch’io sarei stato il bevitore di quel sangue innocente. Sentivo la coscienza annebbiarsi, farsi fredda, ogni giorno che trascorrevo nella sala delle lettighe, a pulire e imboccare quelle creature. Quando ormai il mio lavoro sarà divenuto solo un gesto meccanico,  senza patemi, allora il Duca mi riterrà degno di bere alla sorgente della vita eterna, in compagnia dell’antico Mardùk e degli altri Cavalieri. Ero uno di loro. Ero suo. E lui stava aiutandomi a diventare santo, immortale.

Appunti Ritrovati di Peter Bang Sul Rito di Mardùk.

Fra gli appunti raccolti durante la mia indagine ho rinvenuto per puro caso questo foglio. Non ho idea del perché giacesse sezionato in modo grossolano dentro un contenitore abbandonato in un seminterrato del Castello. È probabile che quel mobile fosse un vecchio archiviatore e qualcuno lo avesse dismesso senza rendersi conto di questo foglio al suo interno. Ho forse lo ha ritenuto solo cartastraccia, perciò lo ha lasciato nel mobile.  Ho dovuto ricomporlo, viste le condizioni in cui l’ho rinvenuto. Era infatti diviso in tre o quarto pezzi e credo che uno di questi si sia perso per sempre. Suppongo contenesse un altro disegno, ma non posso esserne certo. Ritengo, attraverso un primo riscontro grafologico, che si tratti sempre di un documento creato da Peter Bang, forse allo scopo di un suo studio personale. L’epoca in cui venne redatto, credo possa coincidere con il servizio dell’Uomo presso l’Anticamera di Mardùk, visto l’argomento di cui tratta. Interessante, a mio avviso, è il documento che segue il testo; si tratta di un foglio con alcuni termini in Kitosirawan affiancati da quelli originali in Usark, un antico linguaggio dei Rettili Bianchi, la Famiglia di appartenenza di Mardùk. Accanto ai termini in Kitosirawan e Usark, Bang ha scritto il loro significato in Latino  e di qualcuno c anche in Greco Antico. Mi sono soffermato su questa stranezza, ritenendola la scelta di un Linguista com’era Peter Bang. Non ho idea cosa stesse studiando, forse l’etimo stesso delle parole.  Da quello che sta emergendo attraverso i suoi documenti, ritrovati nel procedere della mia ricerca, credo che sia stata questa sua curiosità a spingere mio padre nell’allontanarlo da me.  Peter Bang studiava la realtà che lo circondava, pur essendone schiavo: un comportamento di certo seccante per i vertici della mia Famiglia.

Vi lascio alcune informazioni sui Rettili Bianchi. Sono una specie atavica, si pensa che siano contemporanei ai primi Draghi discendenti diretti di Meliel. Nessuno però conosce in modo esatto la loro storia. Non hanno neppure un vero  nome di classificazione della loro specie, sono chiamati semplicemente Rettili Bianchi ( dall’epidermide molto chiara del loro addome).  L’Usark è una lingua proveniente dal mondo dei Doromesun, anch’essi Rettili, della specie dei Draghi. Il rituale infatti è nato nella Doromusia, la terra dei Draghi e poi si è perpetuato attraverso i Rettili Bianchi, per motivi che potremo affrontare solo in seguito.

Janas Erik Matthia Duca di Kargaard

Traduzione del Testo del Foglio:

L’Evocazione del Rituale di Mardùk.

Dio disse ad Adam: “Adam con la tua voce metterai la vita nel corpo dei morti.”.

Io Mardùk, per volontà di Dio e di Adam,  evoco Nam, Ahin, Lukomon.

Namelor

Anhinan

Lukomonyaor

Per volontà di Dio chiedo alla Potenza di Nam di entrare

Per volontà di Dio chiedo di usare la Corona di Ahin

Per volontà di dio chiedo al vessillo di Lukomon di sventolare.

Per la Forza di Dio e di Adam:

Per il dominio della Luce, che regna

sulle creature, dispensatrice di vita,

le Potenze proteggano il Regno di Dio.

Postilla sulle parole del rituale: Parole_del_Rituale_di_Mardùk

(Seconda) Evocazione del Rituale di Mardùk chiamata:

Manur As Edakaniras Sapodan

[lato sinistro del Foglio]

Dio disse a Adam: “Alla tua parola obbediranno i morti.”

Io Mardùk per volontà di Dio e di Adamo, ho portato queste Anime davanti alla luce.

In nome di Dio e di Adam ordino alle Anime di attraversarla.

Manur as edakaniras Sapodan

Il Porto delle Anime Morte (evoco*)

[lato destro del Foglio]

( Evocazione 2.2 )

Dio disse a Adam: “Alla tua parola obbediranno le Potenze.”

In nome di Dio e di Adam:

Per Naam costruttore dei tempi questo comando è stato dettato da Emar, grande Sacerdote  e per Lukomon costruttore di eserciti difensore dei mondi della Luce.

* = verbo omesso dal significato sottinteso 

Alessandra Biagini Scalambra