IL DRAGO DI ATESSA

La cittadina di Atessa, situata nella bassa valle del fiume Sangro, su due colline da cui si può ammirare il mare Adriatico e la Montagna della Majella, circondata da ampie coltivazioni agricole, è una delle zone più fertili e belle del territorio teatino.

La leggenda vuole che la città sia nata dall’unione di Ate e Tixe, due città un tempo divise dalla valle del Falco, dove viveva un drago che fu sconfitto da S. Leucio, Santo Patrono della città. Alcune antiche iscrizioni portano a ipotizzare la formazione di un primo insediamento urbano nel territorio sin dall’età preromana. La presumibile origine di Atessa risale al V sec., ma la prima citazione è del X secolo quando il territorio fu interessato dalla colonizzazione benedettina che per diversi secoli ebbe giurisdizione sul borgo. Con l’avvento degli Angioini la città fu contesa tra diverse famiglie; si ricorda la dominazione di Ademazio Maramonte che malgovernò scatenando nel XIV secolo una sanguinosa rivolta. Dal XVI secolo Atessa fu feudo dei Colonna, potente famiglia romana.

A disposizione urbana del borgo segue ancora un disegno medievale: una serie di strade anguste e scalinate con scorci di rilievo, come quello che si può ammirare dalla Piazzetta della Torretta. Poco fuori dalla città, in posizione panoramica, si trova la chiesa di S. Maria in Vallaspra e il Convento di S. Pasquale con il chiostro e il pozzo del Miracolo, chiamato così poiché è sempre colmo d’acqua, anche in tempo di siccità.

In Giovanni Pansa si legge che: “Nella sacrestia della chiesa madre di Atessa (provincia di Chieti) si conserva una costola gigantesca di un animale fossile di razza scomparsa, con l’arco della misura di m. 2,13, la corda di m. 1,43 e la freccia di m. 0,60. Tale avanzo che nel passato pendeva da delle travi del soffitto, esposto da tempo immemorabile, è stato conservato in memoria d’uno strepitoso miracolo operato da S. Leucio, il protettore del paese.

Lo storico Tomasso Bartoletti, nel suo Ristretto delle Memorie d’Atessa manoscritto, ripete su per giù la leggenda avvertendo che l’animale fu rinvenuto morto dinanzi alla chiesa dell’antico monastero dei Brasiliani, il quale sorgeva in mezzo al paese”. (1)

Sempre da Giovanni Pansa apprendiamo che: “La presenza d’un avanzo fossile, presunta reliquia del dragone, nella cattedrale di Atessa non deve arrecare meraviglia. Il sottosuolo della Majella e dei paesi circostanti, fra cui Atessa, ha lasciato sempre trasparire qua e là le tracce d’enorme banchi di fossili. Oltre ai pesci e alle conchiglie, a Guardigrele e Filetto si sono rinvenuti, in varie occasioni, avanzi di testacei fossilizzati, ossa pietrificate appartenenti a pachidermi d’immensa mole e struttura (2). Secondo il Romanelli, la costola esisteva nella chiesa di Leucio, faceva parte d’un cumulo di ossa gigantesche trovate in Atessa in una località denominata Valdarno.

Il Targione nella sua opera “Viaggio in Toscana”, tomo V, pag. 88, che la vide e la esaminò, ritenne che avesse potuto appartenere agli elefanti condotti in Italia dal re Sesotri o a quelli di Pirro quando venne in soccorso dei Tarantini, oppure infine, agli stessi animali portati da Annibale, allorché transitò per gli Abruzzi”. (3)

Cosa alquanto strana poiché sappiamo che il reperto custodito nella chiesa madre di Atessa ha una forma tipica di una costola di un “misticeto”, come giustamente afferma in maniera informale il dott. Giorgio Carnevale dell’Università di Pisa e quindi si potrebbe dire che l’osso gigantesco, che la tradizione definisce come la costola del drago di Atessa e che alcuni studiosi hanno definito come un osso di pachiderma, non corrisponderebbero a quella di elefanti al seguito di Pirro, di Annibale oppure di Sesotri  i quali, tra l’altro, sarebbero simili a quelli attuali. Se, invece, ci trovassimo di fronte a un esemplare simile al Elephans Meridionalis conservato a L’Aquila, come molti studiosi sostengono, lo stesso ci potremmo trovare in errore poiché, come si può vedere già a una osservazione superficiale, si nota una notevole differenza sia di dimensione sia di forma tra i due reperti.

Umberto Cordier aggiunge qualche altra notizia a proposito di ciò che viene comunemente chiamato “la costola del drago di Atessa” affermando che: “L’abitato di Atessa è situata in posizione elevata, su due colli adiacente. Nello stemma della città compare un monogramma particolare, composta da una “ A” e una “T” associate: infatti, secondo una tradizione storicamente fondata, l’attuale Atessa si formò per l’unione di due paesi antichissimi, Ate e Tixe, edificati appunto su quei colli e divisi da un vallone, un tempo assai profondo. Ma, dapprima i paesi non potevano unirsi perché il vallone stesso era paludoso e – narra la leggenda – infestato da un drago feroce e vorace. E – con il drago – non mancano gli acquitrini. Si legge in un vecchio libro : “Molte acque sgorgano nelle sue contrade, e danno origine all’Osento e al Pianello. Vie più copiose sono quelle che formano nei dintorni di Atessa l’Appello e il Ceripolla, i cui rimbocchi uniti ad altri del Sangro producono una palude malsana di circa 500 moggi”.

Il drago fu vinto da San Leucio, nato ad Alessandra d’Egitto nel II secolo.

Nella Parrocchia di San Leucio in un locale adiacente alla sacrestia, si conserva il “Tesoro di San Leucio”; fra gli oggetti, uno si distingue per la sua eccezionalità: una gigantesca costola di 2,13 m. nell’arco (1,43 m. di corda e di 0,60 m. di freccia), trovata nel territorio, in regione Carapelle. L’osso è appunto attribuito al drago sconfitto, e inizialmente si trovava appeso a una trave della chiesa.

“Nel dicembre 1984 condussi alcune ricerche personali ad Atessa. Dei recipienti con il sangue non trovai notizie; la costola invece è tuttora conservata insieme a oggetti in una grande teca, chiusa da una porta di ferro battuto e vetro; un robusto lucchetto chiude il tutto… Era agevole sollevarla e rovesciarla con una mano sola (ciò fa supporre che non si tratti di un fossile). La superficie dell’osso si presentava finemente variegata da linee grigie”. (4)

Nicoletta Travaglini

(1) PANSA, Giovanni; “Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo”, Arnaldo Forni Editore, ristampa dell’edizione di Sulmona, 1924. Pag. 7, pag. 10.

(2) I resti di animali fossili di mammiferi quaternari esumati dal sottosuolo della provincia di Chieti, sono stati illustrati dal Costa, dal Nicolucci, dallo Scacchi, dal Macchia, dal Rellini.

(3) PANSA; Giovanni, op. cit. pag. 10.

(4) CORDIER, Umberto: “Guida ai luoghi misteriosi d’Italia”, Edizioni Piemme Economica 2005, pag. 351 e pag. 356.