POLLUTRI E LE FAVE DI SAN NICOLA

Il culto di San Nicola è arrivato in Abruzzo attraverso il tratturo L’Aquila – Foggia. Egli è patrono di Pollutri, graziosa cittadina abruzzese situata poco lontano da Vasto. Il suo territorio è attraversato dai fiumi Sinello e Osento, ed è ammantato da magnifici vigneti, uliveti e una volta anche da uno sterminato bosco, che parte viene riportata anche dalle mappe catastali risalenti all’Unità d’Italia. Di esso oggi rimane solo un piccolo pezzetto chiamato “Bosco di don Venanzio” e la “Quercia di San Nicola”, albero sacro dedicato al Santo Patrono di Pollutri.

Si racconta che un principe longobardo voleva fondare una città nel luogo dove avrebbe ritrovato il suo adorato puledro perduto e, a quanto pare, lo ritrovò nel posto in cui oggi sorge Pollutri, da qui forse l’etimo del nome. Secondo altri il suo nome deriva da un tempio dedicato a Polluce, altre fonti parlano invece di nome di derivazione greca che significa “molta acqua”. Esso fu un possedimento dei Caldora, dei Capua e infine dei D’Avalos.

Come abbiamo detto la venerazione di San Nicola giunge a Pollutri attraverso il tratturo Magno o del Re, grazie anche a una reliquia consistente in una rappresentazione del braccio del Venerabile.

La leggenda vuole che a Pollutri San Nicola, durante una forte carestia che aveva investito questo paese, disponendo solo di poche fave, le moltiplicò all’infinito, riuscendo a sfamare tutti!

In ricordo di questo miracolo la prima domenica di maggio e il 6 dicembre si celebrano delle cerimonie che commemorano questo fatto prodigioso.

Le donne e quelli del comitato delle feste, dopo la raccolta, attraverso la questua, del frumento con il quale si impasta il pane di San Nicola, portano le piccole pagnotte al forno su lunghe tavole in equilibrio sulla loro testa.

Il 6 dicembre, dopo la funzione religiosa, c’è la processione con il busto del santo; nel pomeriggio, il rintocco della campana della chiesa principale dedicata proprio al santo, il cui suono scongiura le tempeste, si accendono le pire: sotto sette, o nove, e sono grossi calderoni contenenti le fave e il paiolo che bollirà per primo farà vincere il suo proprietario. Una volta cotte, le fave vengono distribuite insieme ai pani che portano l’effige del santo e che vengono consumati, per devozione e tradizione, insieme al vino.

Questo rito potrebbe essere un antico retaggio delle feste celebrate in onore del divinità celtica della fertilità Dagda. Secondo alcune leggende egli era il marito di Brigid o di una dea con tre nomi: Menzogna, Astuzia e Disgrazia. Egli possedeva un calderone prodigioso con il quale nutriva tutta la Terra, non solo in senso materiale, ma anche in quello spirituale e culturale, per questo era chiamato anche Signore del Grande Sapere. Il suo calderone, secondo alcune leggende, fu, poi, smembrato in 7 coppe più piccole.

Le fave simboleggiano, in alchimia, il sale minerale ed evocano lo zolfo rinchiuso negli elementi.

Questo legume è usato presso alcuni popoli, come dolce tipico dell’Epifania, sostituito, a volte da un piccolo pesce, simbolo, presso le prime comunità cristiane, del divino.

Esse sono il pasto per eccellenza della tradizione contadina, molto costumato durante i lavori nei campi e come buon auspicio per i matrimoni, in quanto rappresentano la prole maschile che verrà; in Italia, infatti, simboleggiano l’organo sessuale maschile.

Gli antichi, usavano questo legume durante le cerimonie funebri, pensando che esse contenevano l’anima dei trapassati.

Le fave appartengono a quei sortilegi definiti “protettori”, perché rappresentano la morte e la vita, intesa come prosperità. Durante i riti della Primavera, dedicati alla Magna Mater, esse sono il primo dono di questa divinità, nonché, la prima offerta dei morti ai vivi, oltre che il segno della loro rinascita attraverso la reincarnazione.

In molti riti orfici e pitagorici, si evitava di mangiare fave perché equivaleva a nutrirsi della testa dei propri avi. Mangiare i defunti sotto forma di fave, era come entrare a far parte del ciclo della reincarnazione, nonché sottomettersi agli enormi poteri della materia.

Durante i riti della Primavera, attraverso di esse che ci si metteva in contatto con il mondo invisibile, imperscrutabile, dell’oltretomba.

Presso i Greci questi legumi venivano sia mangiati che usati come palline per votare i magistrati.

Nelle società rurali abruzzesi, le fave erano molto diffuse, dal momento che rappresentavano il primo e desiderato raccolto della nuova annata agricola, opportuno per superare l’esaurimento delle derrate alimentari dell’anno precedente e nell’attesa di quelle nuove che non erano ancora pronte. Questo periodo era chiamato la “Costa di Maggio” o di “Giugno”, particolarmente sentito nelle aree rurali di montagna.

San Nicola è, inoltre, invocato a Pollutri, per far addormentare i bambini affinché, con il suo tocco lieve, abbassi loro le palpebre permettendogli come Morfeo, divinità del mondo antico protettore dei sogni che appariva sotto forma di persona conosciuta al dormiente, un dolce e tranquillo riposo!

Nicoletta Travaglini