I MYSTERI DELL’EROS 06: L’EROS “PARTICOLARE” ALL’OMBRA DEL PARTENONE

All’ombra del Partenone si fa per dire, ovviamente, poiché in queste poche pagine esploreremo solo alcuni tra i più diffusi aspetti “particolari” dell’Eros nella Grecia classica, senza distinzione alcuna tra gli usi e i costumi dell’antica Atene e quelli in voga nelle altre parti del Paese.

E ci accontenteremo di esaminare non tutte le varie sfaccettature con cui si manifestava “tangibilmente” l’attrazione tra le due diverse metà del cielo – l’Uomo e la Donna – ma solo quelle tra una metà e l’altra metà… dello stesso sesso.

Eh sì, perché i valorosissimi guerrieri greci, da noi tutti tanto apprezzati sui banchi del Liceo quando fantasticavamo sulle omeriche vicende descritte nell’Iliade o nell’Odissea, erano particolarmente inclini a quelle che oggi definiremmo “relazioni particolari”, inizialmente intese – ma si sa poi come vanno a finire certe umane vicende… – come manifestazione di un sentimento più forte dell’amicizia tra un adulto di sesso maschile e un fanciullo.

Gli antichi Greci – sarà bene precisarlo – consideravano infatti il καλóς κ’αγαθóς, cioè il bello nel corpo e nell’anima soprattutto nell’Uomo posto al centro di qualsiasi interesse spirituale, di qualsiasi attività creativa, di qualunque manifestazione della “scintilla divina” presente in ognuno di noi…

“…Oh, me infelice!

Ettore cadde, quell’Ettòr che un Dio

fra’ mortali parea; no, d’un mortale

figlio ei non parve, ma d’un Dio…”

(Iliade, XXIV, 314 – 317)

…piange infatti l’anziano Priamo alla morte dell’amato figlio Ettore ucciso dal “pèlide” Achille, dal cui fulgore, dalla cui virile prestanza lo stesso re di Troia rimane addirittura abbagliato!

E poiché la Donna era fin da allora considerata su un piano “inferiore” – d’altra parte fino a non moltissimi anni fa era considerata anche… priva di “anima”! – gran parte delle “attenzioni”, nella più ampia accezione del termine, venivano usate nei confronti del cosiddetto “sesso forte”.

Il “cattivo esempio” di Zeus

Anche degli Dei, anzi del principe degli Dei, del poco ineffabile Zeus il quale, pur essendo per i Romani lo Iuppiter Optimus Maximus, non ebbe scrupolo alcuno nel trasformarsi in aquila per rapire il figlio di Troo e di Calliroe, il bel Ganimede considerato il più affascinante tra i mortali. Provocando, si sa, infiniti commenti e pettegolezzi…

Un inconsueto Giove, munito di orripilante coda, seduce Olimpiade di Epiro madre di Alessandro Magno e moglie di Filippo II il Macedone. Vatti a fidare delle mitologiche divinità!

Ma la bellezza, quella del corpo s’intende, è prerogativa dell’età giovanile e, soprattutto tra il VI e il IV secolo a.C., si diffuse in Grecia la Pederastia, consuetudine per cui l’adolescente, tra i dodici e i diciotto anni, veniva posto sotto la protezione di un adulto che si assumeva tutti gli obblighi del tutore, del consigliere e stimolava in lui le inclinazioni, le qualità che lo avrebbero reso uomo. Tutto, ovviamente, stava alla base della Paidèia, raffinato modello pedagogico in auge nell’Atene del V secolo a.C.

Così… in teoria, però.

La purezza che i Greci avrebbero voluto veder trionfare nei rapporti pederastici rimaneva spesso pura illusione e l’accesso ai Ginnasi – luoghi riservati agli esercizi fisici e ai giovani che dovevano fare il servizio militare – veniva interdetto ad adulti noti per i loro costumi depravati, mentre a Sparta, in particolare, gli efori, i magistrati supremi, vegliavano affinché i giovani efebi non venissero “corrotti” da adulti privi di scrupoli.

Achille allievo del centauro Chirone.

La pederastia, nella moderna accezione del termine, era infatti severamente condannata. Ma, si sa, la “carne è debole”…

Tutta colpa dei Dori, comunque!

Questi popoli indoeuropea iniziarono ad occupare la Grecia achea verso il XII secolo a.C. e, piano piano, dilagarono in quasi tutta l’area continentale e insulare.

Iuppiter Optimus Maximus, lo Zeus greco, pare avesse una particolare predilezione anche per i giovani virgulti che gli capitavano a tiro! In questo dipinto irretisce Ganimede.

Popolo rude e guerriero, vedeva la propria superiorità soprattutto nell’uso delle armi in ferro – acquisite dalle popolazioni dell’Asia minore – anziché in bronzo come quelle degli Achei. La loro durezza e l’esagerato “maschilismo” li inducevano quindi a disprezzare il “sesso debole”, la donna e, data la lunga permanenza nelle caserme, iniziavano loro stessi alle armi – e non solo… – i giovanissimi futuri soldati.

I simposi – dove fiumi di inebrianti vini venivano bevuti in base alle prescrizioni del “Simposiarca” – venivano allietati anche dagli “Skolia”, canti conviviali, e da “affettuosi” rapporti tra uomini.

D’altra parte il relegare le donne nei Ginecei, dove l’attività principale consisteva solo nel filare, tessere e cucire le stoffe, non aveva migliorato le cose.

Anzi, favorì i rapporti omosessuali, tanto da spingere Aristotele a sentenziare che i legislatori incoraggiavano e legalizzavano la pederastia… come mezzo per limitare le nascite!

Sempre in teoria, i discorsi tra l’adulto e l’adolescente da “iniziare” ai misteri dell’esistenza dovevano spaziare su infiniti temi, sui valori morali, sul rispetto delle leggi, su un “bon ton” ante litteram e sull’apprezzare il senso estetico racchiuso nelle opere d’arte.

Ma se esaminiamo la produzione vascolare greca del periodo “aureo” vediamo che le cose non andavano sempre così.

Al primo incontro di due anime seguiva quasi inevitabilmente l’incontro di due corpi.

Il rapporto “pederastico”

Il soggetto “attivo” appare però sempre l’adulto e, forse in base a norme non scritte, il contatto avviene quasi sempre con i due partner posti uno di fronte all’altro.

Il soggetto “passivo” – l’efebo, il “discepolo” – doveva pudicamente mostrare di non provare piacere alcuno dalle carezze del “maestro” e non doveva neppure alzare gli occhi verso quest’ultimo.

Ma era solo pura ipocrisia poiché sono attestati quei rapporti sessuali che oggi annovereremmo tra il cosiddetto petting.

Ciò che veniva proibita era infatti la “penetrazione” del corpo del giovane, poiché tale atto è – per natura – prerogativa dell’uomo. E poiché scopo ultimo della pederastia era proprio quello di trasformare l’imberbe adolescente in un vero uomo, sarebbe stato degradante e offensivo porlo in posizione “passiva”, segno di sottomissione.

Almeno così la pensavano a quei tempi…

Ricostruzione fotografica dell’Accademia platonica dall’archivio di Wilhelm von Pluschow (1852 – 1930) fotografo tedesco trasferitosi in Italia, prima a Napoli e poi a Roma, e divenuto noto per le sue foto di giovani italiani, di preferenza maschili (ma anche femminili).

Un esempio di quanto ora affermato lo possiamo trovare in un vaso attico a figure rosse, del V secolo a.C., in cui un personaggio persiano, vinto in battaglia, afferma Io sono Evrimedonta. Mi sono chinato mentre alle sue spalle un greco itifallico manifesta senza ombra di dubbio le sue “focose intenzioni”…

Colui il quale mostrava, quasi senza pudore, di apprezzare il ruolo “passivo” veniva definito kinedos – omosessuale passivo – oppure kataproktos, eviproktos e lakkoproktos, le cui traduzioni lasciamo… alla fantasia dei lettori, ma che fanno parte della terminologia usata in tali occasioni non proprio… in ambito accademico.

Una tipica scena di pederastia nell’antica Grecia.

E poiché era stato lo stesso Zeus a dare il cattivo esempio, ad alcuni poeti non parve vero di ispirarsi a tanto altolocato personaggio e – se non siamo eccessivamente “maldicenti” – manifestarono artisticamente le loro latenti inclinazioni.

All’ombra del Partenone, evidentemente gli antichi Greci non avevano remore nel raffigurare dettagli delle loro “particolari” preferenze in ambito sessuale!

Teocrito di Siracusa, in Magna Grecia nel 270 a.C. circa, scrisse stupendi poemi pederastici mentre Anacreonte di Teo – contemporaneo della più nota Saffo di Lesbo – dedicò agli efebi buona parte delle sue odi e il notissimo Pindaro di Cinocefale (518 – 446 a.C.) – massimo esponente della lirica corale spesso citato per lo stile immaginoso e per più che audaci  passaggi concettuali (i cosiddetti voli pindarici) – cantò le gesta dei giovani vincitori dei giochi e pensò bene di lasciare questa “valle di lacrime” con il capo appoggiato sulla spalla del suo “compagno”, mentre questi gli declamava i suoi stessi poemi.

Neppure l’immaginifico D’Annunzio avrebbe osato tanto…

Le palestre dell’antica Atene erano luogo d’elezione per le relazioni particolarmente ritualizzate e codificata socialmente fra due maschi di differente età. Relazioni anche sul piano sessuale…

L’esempio di Zeus invaghitosi di Ganimede e di Apollo innamoratosi di Giacinto ispirarono anche i “tirannicidi” Armodio e Aristogitone – uniti, sembra, oltre che dalla stessa fede politica, anche da un’appassionata “amicizia” – che assassinarono Ipparco nel 514 a.C. dopo il responso favorevole dell’Oracolo di Delfi e con l’appoggio dell’esercito spartano capeggiato da Cleomene.

Anche le “affettuose relazioni” contribuiscono, evidentemente, a “fare la Storia”…

Nell’isola di Creta la pederastia – in qualunque modo essa venga considerata – trovò ampia diffusione e assurse anzi a “modello” a cui ispirarsi.

Il finto “rapimento” dell’adolescente

Quando l’adulto aveva scelto il giovane adolescente da “iniziare” ai misteri della vita, avvertiva i genitori del ragazzo – onorati da tante “attenzioni” verso la loro prole – che inscenavano una finta reazione al simulato rapimento del “giovane virgulto” e, alla fine, desistevano in attesa che egli tornasse “temprato” verso le dure avversità che il Fato e gli Dei avrebbero riservato ai miseri mortali.

Trascorsi due mesi tra insegnamenti della più varia natura, il giovane veniva ricondotto a casa, gratificato con doni e con un anello consacrato al Zeus (che di queste cose se ne intendeva…).

Al termine di un banchetto l’adolescente doveva dare un giudizio sulle qualità intellettuali, morali (e non solo) del ‘maestro’ di vita. Di solito… tutto era andato bene.

Il giovane che aveva trascorso positivamente i due mesi di “prova” veniva ammesso nei migliori Ginnasi e indossava i sontuosi abiti donatigli dal “maestro”. Al compimento della maggiore età veniva definito kleinos, cioè illustre.

La pittura vascolare greca è più che esplicita su alcune particolari preferenze in ambito sessuale…

D’altra parte, perché non farsi ritenere illustre se anche Alessandro Magno (356 – 323 a.C.), pur di eguagliare in ogni campo Achille, non aveva affatto disdegnato – oltre che a comportarsi altrettanto valorosamente in battaglia – di legarsi da profonda amicizia al caro Efestione?

Fin qui la Storia, ma come e dove troviamo raffigurate scene che possano rendere efficacemente l’idea che fino a qui ci siamo fatti del rapporto pederastico nell’accezione “fisica” del termine?

Ad esempio sul celeberrimo Vaso di Eufronio è raffigurata una scena in cui il giovane atleta Antifone si accinge a lanciare il disco mentre un altro atleta, l’adulto, sembra distrarsi nell’osservare alcuni aspetti dell’anatomia del discobolo non proprio preposti all’attività agonistica…

Il celebre “Cratere di Eufronio” modellato dal ceramista Euxitheos e poi dipinto dal ceramografo Eufronio intorno all’anno 515 a.C. Ora è esposto presso il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, a Roma.

Ma non è certamente il solo caso.

All’interno di una coppa a figure rosse, datata al 460 a.C., conservata presso il Museo Archeologico di Spina (Ferrara), è raffigurato il già citato ratto dell’efebico Ganimede da parte dell’insospettabile Zeus e in moltissime altri reperti della stupenda produzione vascolare greca troviamo inequivocabili raffigurazioni di come – in parecchi casi – sfociasse il pur valido rapporto pederastico.

“Ratto di Ganimede” da parte di Giove trasformatosi in un’aquila. Dipinto del XVI secolo attribuito a Damiano Mazza (1550 – 1576), conservato a Londra presso la National Gallery.

E per concludere con questo argomento – ed affrontarne, brevemente, un altro non meno… al di sopra delle righe – affinché non si pensi che a quei tempi  il rapporto “cameratesco” andasse visto solo in un’ottica – diciamo così – “edonistica” ma lasci intravvedere anche gli aspetti positivi di un’educazione alla vita che in molte circostanze anche drammatiche – come scoprì a proprie spese Serse  combattendo contro Leonida nella battaglia delle Termopili e come avvenne anche a Cheronea – dette i risultati che da essa ci si aspettavano, vorrei citare Aristofane riguardo i combattenti della battaglia di Maratona…

“…Erano seduti per terra nello stadio con contegno, cercando di essere

ben composti, mentre quando si alzavano avevano cura di risistemare la

sabbia per non lasciare l’impronta delle loro parti intime, in modo da non

eccitare qualche depravato, e non si ungevano di olio dall’ombelico in giù

lasciandosi crescere una morbida peluria come quella delle

mele cotogne…”

L’amore “lesbico”

E le donne? Come e dove si manifestò, nell’antica Grecia, l’amore, soprattutto “fisico” tra due identiche “metà del cielo”?

Forse fu l’essere troppo a lungo relegate nel Gineceo, forse fu l’eccessivo protrarsi delle innumerevoli guerre che tenevano lontani da casa fidanzati, mariti e amanti, forse fu la Natura stessa ad intervenire con le sue inevitabili, infinite sfaccettature, ma la donna greca non disdegnò di ricorrere a “surrogati” dell’amore fisico… di “stretta osservanza”.

Si sa che a Mileto, ad esempio, venivano prodotti degli “accessori” in morbida pelle – gli olisbos – atti ad imitare efficacemente l’organo maschile, acquistati… al mercato dalle etére in vena di “autogratificazione”.

Un pregevole “Olisbos” con il quale due donne dell’antica Grecia davano soddisfazione alle loro pulsioni omosessuali senza la loro “altra metà del cielo”, come evidenzia anche la descrizione in basso a destra.

Ma, soprattutto nell’immaginario collettivo, l’amore “fisico” tra donne porta immediatamente alla memoria la poetessa Saffo che visse nell’isola di Lesbo dal 612 a.C. al 580 a.C. esercitando il difficile ruolo di istruttrice di belle, giovani fanciulle inesperte.

Così, forse, sarebbe apparsa alle sue studentesse dell’isola di Lesbo la poetessa Saffo…

E da ciò, aggiungendo un po’ di inevitabile “malizia”, il passo fu breve e si identificò – forse erroneamente – il rapporto di Saffo con le sue allieve con ciò che accadeva di frequente nell’omologo rapporto pederastico.

In realtà le vere “omosessuali” erano denominate tribadi (da tribo: strofinare) e lo scrittore Luciano ne fornisce un significativo ritratto nel suo Dialoghi sulle Etère in cui descrive l’ipotetico dialogo tra Klonarion e Lena, due “disinibite” fanciulle che meriterebbero a pieno titolo l’appellativo citato.

Klonarion: “Odo una novità sul conto tuo, o Lena, che Megilla, quella ricca di Lesbo, è innamorata di te come un uomo, e che state insieme, e non so che fate tra voi. Che è? ti se’ fatta rossa? Dimmi, è vero questo?… forse è una tribade? Chè in Lesbo, dicesi, vi sono queste donne che non vogliono l’uomo, ma si accozzano con le donne a guisa d’uomini.

Lena: “Mi cominciarono a baciare come fanno gli uomini, non solo attaccando le labbra, ma aprendo un poco la bocca, e mi abbracciavano, e mi titillavano i capezzoli, e Demonassa mi mordeva ancora mentre mi dava baci. Io non poteva capire che volevano fare….”.

Lena, dopo un po’… lo capì!

Sopra, busto di Saffo conservato presso i Musei Capitolini di Roma; sotto, Saffo seduta mentre legge le sue poesie alle sue studentesse (440-430 a.C.).

“Il Sonno” di Gustave Courbet. Chiara allusione alla sessualità lesbica.

Saffo invece si era prefissa di seguire proprio i più elevati principi della pederastia nella primitiva accezione del termine, mirando ad istruire, ad avviare ad attività diverse da quelle prettamente domestiche, le più dotate ragazze di Lesbo.

E pur vero che proprio a Lesbo, una volta l’anno, nel tempio dedicato ad Hera – figlia di Cronos e di Rea, sorella e moglie di Zeus – venivano indetti concorsi di bellezza indubbiamente “fisica” ma anche “morale”, poiché la gara prevedeva esibizioni di canto, di poesia, di danza, di sport.

Sposata, Saffo ebbe anche una figlia, si innamorò di vari uomini e per uno di essi – Faone – perse la vita gettandosi in mare dal Tempio di Apollo, a Leucade, dove si era rifugiata.

Ma, allora, perché fu tacciata di “omosessualità”?

Perché, dunque, si identificò Saffo con le tribadi? Perché il suo nome, l’isola su cui visse, sono divenuti sinonimo di “omosessualità” femminile?

Quasi certamente per il clima di sospetto che si era instaurato nei suoi confronti, per la sua libertà di espressione, per le sue iniziative che cozzavano duramente con la mentalità marcatamente “antifemminista” di quei tempi.

Ma anche – e con ciò terminiamo il nostro breve viaggio nel mondo dell’Eros, della sessualità… non ortodossa dell’antica Grecia – per alcuni suoi versi, per le sue liriche “disinibite”, del tutto insolite per l’epoca e di cui leggiamo qui un brevissimo ma oltremodo significativo passo…

O mia Gongila, ti prego metti la tunica bianchissima e vieni a me davanti: intorno a te vola desiderio d’amore.

Così adorna, fai tremare chi guarda; e io ne godo, perché la tua bellezza rimprovera Afrodite.

Roberto Volterri

Tra i moltissimi argomenti trattati in questo libro – che ha riscosso anche il plauso del Maestro del Brivido, Dario Argento! – i primi capitoli sono dedicati a quelle donne, di solito appartenenti alla meravigliosa altra metà del cielo, le quali hanno lasciato un loro indelebile, triste, ricordo negli annali della Criminologia. Le Sacerdotesse del Male, in queste pagine si trovano in compagnia di strani personaggi che hanno lasciato indelebile, nerissima, traccia anche nella storia del nostro Bel Paese.

Nel libro incontrerete moltissimi altri personaggi vissuti in un passato più o meno lontano o anche viventi, ma i loro nomi sono sempre indelebilmente scritti con inchiostro rosso nelle cronache in cui l’homo homini lupus – a volte anche la femina feminae lupior! – ha fatto nascere nelle nostre menti un’angosciosa domanda: il Male possiede una sua personalità autonoma, perennemente presente nella storia dell’homo sapiens?