PANZRAM EDUCATORE

Carl Panzram è rimasto nella storia come uno fra i più noti serial killer americani (nonché in subordine ladro e incendiario): con un terribilismo che gli fu consueto per tutta la vita, sostenne di aver ventidue omicidi sulle spalle (la maggior parte dei quali non confermati, ma fra quelli sicuramente commessi ve ne furono due, atroci, di ragazzini), in molti casi funestati anche da delle feroci violenze sessuali; decisamente pederasta, affermò iperbolicamente di aver stuprato un migliaio fra uomini e bambini.

Si descrisse come un delinquente precocissimo: già a cinque o sei anni, nel 1896 o 1897, bugiardo (cosa solo in parte strana nel corso dell’infanzia) e ladro. A undici anni, venne arrestato perché ubriaco e in seguito rubò della torta, delle mele e soprattutto una pistola dalla casa di un vicino. Dopo quest’ultimo episodio, furono i genitori stessi a mandarlo alla Minnesota State Training School, dove venne ripetutamente picchiato, torturato e violentato da coloro che avrebbero dovuto rieducarlo “ad maiorem Dei gloriam”.

Il tremendo resto venne di conseguenza: a quel punto, la sola opzione rimastagli era fra masochismo e sadismo. Panzram scelse il secondo e cominciò subito, bruciando il cosiddetto “negozio di vernici”, ovvero la catapecchia adibita all’isolamento e alla tortura collocata nel riformatorio, così chiamata perché i bambini rinchiusi lì lasciavano strisce di sangue sui suoi muri a causa delle punizioni corporali che vi subivano. Da questo momento la sua vita fu un crescendo che l’avrebbe portato a massacrare chiunque si fosse frapposto fra lui e i suoi disegni; infine venne condannato all’esecuzione capitale e la subì volentieri, rifiutando appelli e domande di grazia. Non vedeva l’ora di finirla al più presto con un’esistenza che per sua stessa ammissione ormai gli dava il voltastomaco.

Nelle righe che seguono, tuttavia, non vogliamo soffermarci sui delitti che ne costellano l’esistenza, bensì su uno dei rari momenti in cui le sue azioni criminose e forsennate lasciarono il posto alla riflessione. Panzram – A Journal of Murder, Amok, purtroppo non (ancora?) pubblicato in italiano, è una parte del diario originale che il serial killer tenne in cella; il commento è dei due curatori Thomas E. Gaddis e James O. Long, con approfondimenti, riferimenti appropriati e dovizia di particolari. Quarant’anni dopo la sua esecuzione (1930), in un certo senso quando i tempi erano ormai maturi, finalmente trovò i propri lettori.

Il libro di Gaddis e Long è una parte dell’autobiografia che Henry Lesser, la guardia carceraria che fu il solo amico di Panzram, donò alla San Diego State University (i cosiddetti Carl Panzram papers, manoscritto assai più ampio). Il testo riporta anche lettere dello stesso carcerato, lettere che avevano una sorta di effetto calmante su di lui e facevano emergere una curiosa contraddizione: il suo interesse per le persone oneste insieme al suo proverbiale odio nei confronti dell’umanità. Fra esse una delle più sorprendenti è con tutta probabilità quella che intendiamo parafrasare e commentare, nella quale Panzram diede qualche consiglio a Lesser su come ci si dovesse comportare verso i ragazzi in riformatorio. In essa afferma lapidario che “proprio l’educazione ricevuta lì fu la causa che mi ha reso la bestia degenerata che sono diventato oggi”. Il rimpianto finisce qui, il resto è decisamente più propositivo: riguarda la pedagogia e la didattica opportune per un corretto sviluppo dei giovani che devono essere riabilitati attraverso la detenzione.

Panzram dice che avendo speso molto tempo in casa correzionale e sperimentato di persona che tutto quanto viene esibito come il bene a parole, è il male nei fatti (per esempio l’amore verso Dio insegnato a suon di schiaffi e punizioni corporali), sa per esperienza che una simile educazione ha come immediata conseguenza l’odio verso la religione e in seguito l’abbandono totale della cosiddetta via “giusta” a favore di quella sbagliata, che quantomeno non è ipocrita. Insomma, l’intero sistema punizione – bontà – religione – Gesù è errato. Come rimediare? Innanzitutto l’insegnante, trovandosi davanti delle menti che sono ormai deviate e prevenute, disposte a credere solo il peggio di tutti e soprattutto di lui, deve dimostrarsi una persona che pensa sul serio quello che dice (quindi non può essere né un mentitore né un ipocrita) e che lo mette in pratica. Solo in questo modo i ragazzi cominceranno ad ascoltarlo e a credere in lui.

Panzram consiglia poi di insegnare ai giovani il significato di alcune parole chiave come verità/menzogna, pulito/sporco, amore/odio, coraggio/codardia ecc. Per ogni lezione, il docente si concentrerà sulla spiegazione di un solo termine della coppia e in quella successiva sul suo antonimo fino a quando i giovani non li comprenderanno perfettamente: per esempio che cosa ignobile sia un bugiardo, fino a che punto faccia danni mentire e quanto perda il rispetto di sé e degli altri chi inganna. L’insegnante inviterà i ragazzi a scrivere un elaborato sull’argomento, quindi separerà quanto espresso a parole dalla reale condotta di ciascuno: gli darà crediti positivi quando dirà la verità in relazione a quel che fa e non gliene darà nel caso si dimostri bugiardo. Il maestro lasci che queste annotazioni siano il reale punto discriminante quanto all’idoneità o meno per lasciare il riformatorio. I ragazzi non verranno giudicati se non hanno imparato la lezione domenicale (tipicamente religiosa all’epoca), se hanno distrutto qualcosa o litigato con qualcuno, quindi “per ciò che fanno, ma” semmai “per come e perché lo fanno”.

Le singole parole riportate più sopra, una volta analizzate fino in fondo, secondo Panzram avrebbero un effetto migliore di tutte le Bibbie del mondo sui giovani perché sarebbero dotate di una concretezza quotidiana che altri termini piovuti dall’alto non potrebbero mai avere in quanto non sperimentati individualmente. L’unico mezzo per giudicare un ragazzo, in fin dei conti, rimane comprendere quanto sia leale o mentitore e su questa base occorre fargli ottenere o meno la libertà.

Naturalmente, ma questo fa più parte del codice d’onore del malvivente che di quello dell’educatore, egli censura il comportamento delle spie – il che è ovvio. Forse un po’ meno ovvio è invece il biasimo degli allievi che fingono di approvare tutto ciò che il docente dice: a suo avviso, proprio quelli che non fanno opposizione sono i peggiori perché perpetuano una società mentitrice, che finge soltanto di credere nei valori che proclama e che per lui fu esiziale. Per questo penso che il galeotto converrebbe con un critico e professore umanista suo conterraneo a lui poco posteriore (Lionel Trilling, 1905-1975), nell’affermazione che segue: “Vorremmo quasi rinunciare ai consueti criteri di valutazione. E invece di premiare lo studente più “preparato”, o quello che mostra maggiore attitudine alla ricerca, ci piacerebbe andare alla scoperta di qualche sintomo di volontà individuale, di carattere, magari anche nelle forme dell’opacità, della refrattarietà, di una “densità” grovigliosa, tali comunque, da suggerire che per quello studente le “idee” sono “reali”, nel senso in cui Goethe si chiedeva: “ma questo è vero? È vero per me?”.

Panzram educatore, un eccellente esempio a conferma di quanto diceva Brecht riguardo all’energia vitale espressa dai comportamenti asociali. O ancora prima, di quanto affermava Fourier a proposito del fatto che nel capitalismo la criminalità è un fenomeno sempre carico di futuro: senza volere affatto dimenticare i suoi crudeli omicidi, infatti, nel serial killer del Minnesota “si agitano forze che non possono arrendersi al presente, e che quindi sono potenzialmente rivoluzionarie” (H. Müller).

Gianfranco Galliano

Si ringrazia Palmira Foglia per l’indispensabile collaborazione.