LA PALUDE 04

IV Episodio

SARA

Non c’è poi tanta differenza tra questo silenzio malsano e quello dove sono stata precipitata in un giorno d’agosto, ed è l’acqua ad inquinare comunque il mio destino: da viva e da morta… L’acqua cristallina di mare che agognavo prima di essere costretta a cercare per un’ultima volta l’aria, putrida acqua di un pozzo dimenticato a lacerarmi la carne e l’anima ed, infine, l’acqua immobile di questa palude… ferma per sempre come le mie speranze per un qualsiasi futuro, da dove grido tutta la mia disperazione, la mia impotenza… la sete di giustizia che nessun altra acqua, per quanto miracolosa, potrà però mai sanare.

Hanno detto di tutto, hanno mostrato di tutto… e la libellula rosa che ballava sullo schermo di milioni di televisori ha finito per rappresentare soltanto la grottesca imitazione di ciò che un giorno avrei potuto diventare.

Hanno scavato tra le mie povere cose: orsacchiotti di pezza e diari per sempre incompleti… Ed ancora: immagini, foto a fermare attimi che credevo mi appartenessero, ma non erano invece che una recita, una triste farsa.

Sara, Ivano, Sabrina – di fronte, di scorcio, sorridenti, allusivi, giocosi –, spezzoni di vita ai quali soltanto io ero così ingenuamente destinata a credere veri.

Hanno fatto a pezzi la mia vita – così breve, così sprovveduta, così improbabile… in fondo così senza amore, perché ogni ruolo era falsato dalla menzogna, dall’inganno -, e, neppure nella morte, mi è stato poi lasciato il ruolo di protagonista, forse neppure di semplice di “comprimaria”.

Un grottesco pirandelliano balletto ha infatti invaso per mesi e mesi la cronaca di tutti i quotidiani, i telegiornali, i più seguiti talk show: zio Michele, la paffuta cugina Sabrina dagli occhi vuoti di ogni emozione, la sfingea Cosima e Ivano… il movente travestito da Ivano.

Dove sono finita io? Dov’è la mia innocenza, la mia gioventù spezzata, i miei sogni, la visione che “io” avevo del mondo, degli altri, di me stessa? Spariti, disciolti per sempre in quel pozzo che, per oltre un mese, è stato la mia tomba e sepolti ora in questa palude dove grido con voce muta ed aspetto… E’ per questo infatti che sono qui ed avverto intorno a me tanti altri urli muti; mentre la nebbia che, da qui, si alza al tramonto, dà loro forme vaghe e solitudini silenti. Non posso raggiungere un altrove… qualunque altrove, forse dotato di un sole inverso, ma caldo come quello che conoscevo… Non posso finché questa mia voce roca – che si alza stanca dalla palude  – non raggiunge un orecchio attento… partecipe, in grado di regalarmi uno spazio tutto mio, un ruolo preciso nell’esistenza fugace ed interrotta che mi è stata concessa, una voce dunque che parli al posto mio e dica: “Sara c’era ed era come una pupa appena trasmigrata dal suo bozzolo per emettere qualche stentato battito d’ali… Sara è morta per questo e, a ucciderla, è stato… è stata… sono stati… Un fine insomma, un “the end” qualificato e certo, la pietra tombale che darà finalmente a quelle mie fragili titubanti ali la forza di volare per raggiungere infine una dimensione di pace.

(4 – continua)

Myriam Ambrosini