IL GABBIANO

Il gabbiano aveva lasciato il mare. Lanciando il suo grido roco, come a voler sgombrare il cammino, si dirigeva verso la grande città.

Dialogando tra loro, nel linguaggio che gli apparteneva, molti della sua specie avevano raccontato delle meraviglie che si potevano trovare in città… cibo vario e a volontà, assai più dell’impegnativa pesca che le acque invece imponevano.

Solo nel cielo, ad ali spiegate, il grande volatile bianco pregustava già le prelibatezze che lo attendevano…

Finalmente, offuscate da una nebbia sporca, iniziò a scorgere le prime avvisaglie di ciò che la metropoli poteva ospitare.

Le case degli uomini si profilavano fitte ed imponenti, ma, curiosamente, nessun rumore giungeva ai suoi sensi attenti.

Il gabbiano piegò il collo quasi a sforzarsi di cogliere qualche suono, voce, canto… ma, tranne il sussurro del vento più potente del solito, nulla pareva provenire da quell’agglomerato che si parava dinanzi all’acuta vista.

Nella sua mente, forse non eccelsa, ma allenata, iniziò a scattare un campanello d’allarme.

Avvicinandosi sempre più a quello che, per lui, doveva rappresentare l’equivalente umano di una Shangri Là, il gabbiano notò che nessun altro volatile incrociava la sua rotta, né captava versi animali a lui noti.

Finalmente raggiunse la sua meta e, con circoli sempre più stretti, iniziò a planare verso terra, osservando intanto tutto ciò che si stendeva sotto di lui.

Un esercito di tetti, a cui si andavano alternando vasti terrazzi, si dipanavano sotto i suoi occhi, così come un variegato reticolo di vie o piazze, di varie forme e tensione.

Il gabbiano, per posarsi, scelse un altissimo cedro che ombreggiava un piccolo spazio aperto sotto di lui e, da quella posizione elevata e privilegiata, si mise in osservazione.

Nessun essere vivente, animale o umano che fosse, pareva abitare quella città.

Viali e strade, come se in realtà non conducessero in alcun luogo, erano deserte e vuoti si presentavano gli slarghi e le piazze.

Un piccolo giardino recintato ospitava scolorite panchine, prive di occupanti, e giochi di bimbi abbandonati.

Il gabbiano sollevò allora di nuovo lo sguardo verso il cielo che aveva appena lasciato, ma non vide altri volatili, meravigliandosi soprattutto per l’assenza di colombi e piccioni, abitatori tradizionali di luoghi pubblici dove aspettavano mani generose che offrissero loro becchime o molliche di pane.

Ma fu il silenzio quello che l’inquietò maggiormente: un silenzio fosco, irreale, innaturale.

Il gabbiano lasciò la cima del gigantesco cedro del Libano e, volando basso, si mise ad esplorare per intero la sorprendente città.

Dovunque trovò gli stessi spazi deserti, che già mostravano chiari segni di abbandono, ed il raggelante silenzio.

Lì non v’era più cibo; lì ormai viveva il nulla…

Dopo un ultimo volo radente ed un grido roco, quasi straziato, il gabbiano invertì deluso la sua rotta e si accinse a riconquistare il mare.

Myriam Ambrosini