PERSUASORI OCCULTI

“Ho un pensiero fisso in testa. Chi può avercelo messo?”

Keith si macerò nel dubbio mentre con la mente si sforzava di richiamare alla memoria ogni elemento utile, qualunque dettaglio che gli potesse essere d’aiuto per venire a capo di quella situazione assurda in cui si era venuto a trovare suo malgrado. Stava camminando a passo spedito lungo la 7TH, là dove la grande Avenue sfociava con la sua fiumana di avventori indaffarati e frettolosi nella sfavillante Great Road, la principale via degli acquisti sempre addobbata di ammiccanti cartelloni digitalizzati e vistose insegne colorate come se si trovasse intrappolata in un perenne Natale. A quell’ora la folla si accalcava come una massa famelica e impazzita intenta a cannibalizzare letteralmente le offerte speciali che occhieggiavano oscenamente dalle vetrine illuminate delle numerosissime boutique, impedendo il passo ai pedoni che sopraggiungevano di continuo. Eppure Keith sapeva perfettamente che doveva continuare a muoversi, senza indugiare troppo in un posto, se non voleva perdere la partita. Il gioco in cui era coinvolto era troppo importante e questa volta era proprio lui la preda, una posizione in cui non si era mai trovato prima di allora e che lo metteva decisamente a disagio rendendogli difficile ragionare a mente fredda. “Non si può chiedere al leone di pensare come un topo…”, si disse.

L’uomo non osava pensare  al suo aspetto in quel momento. Era sicuro che se si fosse visto in faccia avrebbe potuto osservare soltanto un’espressione smarrita, incorniciata da un preoccupante pallore quasi cadaverico, gli occhi arrossati e i capelli scarmigliati disordinatamente dalle folate di vento che soffiavano veementi agli angoli della strada, provenendo dalla baia del porto in lontananza. Di certo non vi avrebbe riconosciuto il figurino abbigliato elegantemente, con la capigliatura color castano solitamente ben tenuta ed i lineamenti delicati e altezzosi che solitamente lo contraddistinguevano.

Mentre i suoi passi macinavano metri su metri sul selciato, i numeri civici gli scorrevano rapidamente di fianco rivelando di sfuggita gli ingressi di lussuosi condomini, marmorei atri di banche, tavolini all’aperto di bar costosi e banchetti ambulanti da strada che vendevano fiori di ogni tipo e prezzo, bevande, giochini e mille altre diavolerie che la moda propinava incessantemente al pubblico in quel momento.

Era braccato, doveva farsene una ragione. Ma come era potuto succedere? Ancora una volta, implacabili, gli passarono davanti agli occhi gli eventi di quella mattinata.

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Erano le 10:40. La folla indaffarata degli impiegati si accalcava nella piazzetta dai lastroni squadrati grigio-pietra che collegava gli ingressi delle tre torri della Gruer Corporation, dando vita a un incessante andirivieni che faceva mutare le facce e gli abiti dei presenti nel breve volgere di pochi secondi. Il cielo mostrava sottili brandelli di nuvole che scivolavano silenziose sopra le guglie argentee dei palazzi, riflettendosi in un incredibile gioco di specchi lungo le ampie vetrate che si arrampicavano orgogliosamente verso l’alto.

Keith si trovava esattamente dove doveva essere. Tutto impettito nel suo elegante vestito di gabardine blu scuro, se ne stava con la schiena appena appoggiata a un muro dell’edificio che si ergeva sulla destra. Un paio di occhiali da sole da 300 dollari calcati sul naso, i capelli ben pettinati e dal taglio costoso, la pelle delle mani perfettamente curata, sul volto un’espressione assorta che osservava ogni movimento attorno, senza poter essere sondato a sua volta. Un’indagine accorta e silenziosa – per quanto fosse possibile – in quell’interminabile brusio che pareva avvolgere tutto e tutti.

All’improvviso un impercettibile movimento del capo, gli occhi che si stringono e sembrano quasi perforare il pesante schermo costituito dalle lenti scure: da uno degli atri era appena uscita una giovane donna sulla trentina in un elegante tailleur monopetto color sabbia che ne slanciavano la figura niente male, sposandosi benissimo con la sua capigliatura biondo cenere.

“Eccola lì, in perfetto orario” pensò Keith senza distogliere lo sguardo “Eloise, la vicedirettrice perfetta, il suo capo avrebbe potuto essere orgoglioso di lei”.

La donna salutò con un gesto cortese un funzionario asiatico che le passò di fianco, quindi si fermò a discorrere con un attempato signore sulla settantina che incrociò a ridosso del portone del palazzo. La discussione durò solo qualche breve minuto, dopodiché Eloise diede una veloce occhiata all’orologio-wi-fi che teneva incastonato in un braccialetto dorato attorno al polso sinistro, si scusò accomiatandosi e sgambettò frettolosamente in direzione della via principale.

“Era ora di mettersi a lavorare” si disse Keith. Dapprima l’uomo cercò di sgombrare la mente da ogni pensiero o preoccupazione che potessero offuscare le sue facoltà, quindi chiuse brevemente gli occhi per favorire ancor di più la concentrazione. Quando li riaprì, focalizzò al massimo tutto se stesso sul proprio bersaglio, lasciando che le energie fluissero liberamente al suo interno. Si sentì quasi inebriato per quella strana sensazione che provava ogni volta, un misto di eccitazione e tensione che si faceva via via più forte e incontrollabile… Le proiezioni della sua mente si intrufolarono di soppiatto nella testa di Eloise, instillandole il pensiero desiderato.

Come per magia, subito dopo la malcapitata abbandonò all’istante ciò che stava facendo e cambiò la direzione dei suoi passi, quasi incespicando per la fretta. Chi avesse assistito alla scena probabilmente l’avrebbe trovata decisamente strana e quasi divertente. Del tutto inconsapevole dell’accaduto, la donna aveva infatti deciso improvvisamente di lasciar perdere ciò che stava facendo fino a un attimo prima e si stava dirigendo verso un’altra occupazione del tutto nuova: andare a fare compere nella vicina boutique di gioielli di gran classe che si trovava solo a due isolati di distanza. Eloise non avrebbe mai scoperto chi le aveva instillato quel bisogno improvviso nella mente, e avrebbe probabilmente attribuito alla sua scarsa memoria la dimenticanza che le aveva fatto mettere da parte i suoi doveri facendole mancare quell’importante appuntamento che l’attendeva. In realtà avrebbe dovuto presenziare a un incontro molto importante per quella mattina: era attesa all’aeroporto dove aveva preso l’impegno di incontrarsi con un ricchissimo uomo d’affari australiano che si trovava in città solo di passaggio e attendeva di imbarcarsi su di un altro volto per il Nord-America. Era stato tutto combinato, la Gruer Corporation aveva sfruttato quell’occasione per fissare un abboccamento d’affari fondamentale con un’importantissima funzione preparatoria per la firma di un contrattone di fornitura del valore di decine di milioni di dollari. Ma il tutto avrebbe dovuto svolgersi nel volgere di un’ora, prima che l’australiano lasciasse la città per la sua nuova destinazione e l’occasione sfumasse. Il tempo era un elemento essenziale in quel genere di cose. Tuttavia Eloise aveva fatto saltare tutto senza volerlo, ed ancora non se ne era resa conto, naturalmente. Per il momento si trovava impegnata a scegliersi qualche anello prezioso che non sfigurasse troppo con il completino azzurro che intendeva regalarsi per il prossimo compleanno… peccato che mancassero ancora tre mesi buoni a quella data! Keith sapeva benissimo che la donna avrebbe forse potuto perdere il lavoro o addirittura essere tacciata di inettitudine o incompetenza dal proprio capo, in fondo la posta in gioco era davvero alta, ma che dire al riguardo? Faceva parte dei rischi del mestiere… Quale conseguenza trascurabile, le sarebbe rimasto probabilmente solo un debole tremolio della mano, un sintomo della tensione che la sua mente aveva subito per l’energia psichica a cui era stata sottoposta suo malgrado. Il suo trattamento non provocava mai danni permanenti, sospirò l’uomo, sebbene avesse conseguenze non indifferenti per la vita degli altri.

Keith lavorava per un’impresa concorrente della Gruer, una multinazionale altrettanto grande e importante, la quale si sarebbe immediatamente avvantaggiata della “dimenticanza” della donna, approfittando dell’occasione per far incontrare un proprio funzionario – già sul posto – con quel miliardario australiano in attesa di ripartire… Concorrenza sleale, avrebbe detto qualcuno un tempo.

Keith sogghignò, in effetti il mondo degli affari si stava facendo sempre più arrembante ultimamente… ma lui era solo un piccolo meccanismo posizionato all’interno di un congegno molto più complicato e sofisticato di quanto pensasse. Probabilmente i suoi datori di lavoro avrebbero perfino negato di conoscerlo in caso di necessità. Naturalmente la sua esistenza era un segreto e il proprio nome non risultava su nessun libro paga. Ma c’era, eccome.

Quelli come lui venivano tenuti ben nascosti dalle grosse corporation che ricorrevano ai loro preziosi servigi, mentre il resto della società ne ignorava virtualmente l’esistenza. Essi costituivano un’arma segreta e assai efficace a cui ricorrevano i grossi imprenditori privi di scrupoli quando non vi era altra alternativa. Quante volte in fondo sui media e perfino in convegni organizzati qua e là si era parlato di individui dotati di poteri psichici… c’era anche chi affermava che numerosi governi stessero eseguendo da anni svariati esperimenti segretissimi su persone dotate di qualità eccezionali, tuttavia il comune cittadino non avrebbe mai potuto dire di essere davvero convinto della loro esistenza, anzi tutt’altro.

Ciononostante, quelli come lui esistevano. Ed erano stipendiati ottimamente.

Quei lavoretti rendevano dannatamente bene, quanto bastava per mettere a tacere ogni scrupolo. Portarne a termine solo una decina all’anno garantiva a Keith una vita agiata e tranquilla. Se solo non venisse tormentato ogni volta da quel fastidiosissimo mal di testa che si protraeva per l’intera giornata… ma non si poteva avere tutto ovviamente!

L’uomo si sistemò con un gesto studiato i capelli scuri, quindi si allontanò lentamente dalla piazzetta ove era stato compiuto il fattaccio. Poco lontano si trovava l’ingresso alla stazione della metropolitana: una breve attesa e un mezzo pubblico lo avrebbe riportato velocemente a casa a riposarsi.

Facile come bere un bicchier d’acqua: doveva solo scendere giù per i gradini che conducevano verso i binari, acquistare il biglietto tramite la macchinetta automatica e attendere pazientemente il prossimo treno. Poi si sarebbe rintanato nella propria abitazione immersa nel verde, cercando di scacciare la fastidiosa emicrania che già si faceva strada nella sua testa, si sarebbe piazzato seduto al tavolo di cucina e avrebbe aperto il frigo per prendere un po’ di latte…

Un momento! Che cosa stava facendo?

La sua mano era ferma sul calcio della fondina che conteneva la  mini-pistola che portava sotto la giacca… cosa significava? Non era mai stato così imprudente, tutt’altro… perché mai avrebbe dovuto estrarre la propria arma in un luogo pubblico e affollato? E per quale ragione poi? Che strano… non pensava mai alla sua arma durante il lavoro. In realtà se la portava dietro come un inutile orpello, lo stesso poteva dirsi per il suo secondo paio di occhiali scuri. Faceva parte del suo corredo standard di lavoro, era vero, e aveva un regolare porto d’armi per essa. Tuttavia non gli era mai neppure capitato di doverla sfoderare in tanti anni, né pensava che gli sarebbe mai servita in realtà. Certo, poteva sempre capitare qualcosa di imprevisto, una situazione estrema in cui avrebbe potuto essere costretto a farne uso per salvarsi la pelle. Solitamente però lui utilizzava altri metodi ben più efficaci.

Come se faticasse a uscire da una sbornia, Keith si guardò nervosamente attorno e si rese conto di un altro particolare importante: il treno che stava aspettando solo un attimo fa  aveva appena lasciato la stazione mentre tutt’attorno si aggiravano solo due o tre avventori giunti trafelati in ritardo che probabilmente non erano riusciti a salirvi sopra per tempo. Ma lui non ricordava neanche di averlo visto arrivare né fermarsi. Era come se fosse rimasto incosciente per qualche secondo, inspiegabilmente…

No, c’era decisamente qualcosa che non quadrava. Perchè aveva cercato di raggiungere la sua arma poco prima? L’ultima cosa che pareva rammentare vividamente era di trovarsi in cucina mentre si apprestava a gustare del latte nutriente… anche questo però non aveva senso! Poi lo sguardo gli cadde sulla mano destra. Un tremolio quasi impercettibile, continuo… Possibile che…? NO!

Un dubbio atroce cominciò a farsi strada nella sua testa. Forse questa volta era lui a essere diventato il malcapitato bersaglio di qualcun altro! Per quanto impossibile, doveva esser  proprio così…

Cominciò a guardarsi attorno in tutte le direzioni, dimenticando la sua naturale prudenza. I suoi occhi analizzarono velocemente tutti coloro che si trovavano entro pochi passi. Un vecchio barbuto che avanzava con un giornale spiegazzato sotto il braccio, una bambina che veniva trascinata via dalla panchina insudiciata da quella che era presumibilmente la propria nonna, un ragazzo che non aveva pensato a niente di meglio quella mattina che scolpirsi in maniera assurda i capelli con l’ultimo ritrovato della cosmesi… Niente di sospetto, nessun indizio sull’identità del suo possibile aggressore. Ma poteva trattarsi di chiunque ed essere dovunque… la portata delle sue energie mentali era di circa 150 metri, tuttavia non era detto che quello fosse il limite per tutti coloro che erano dotati di poteri psichici! Aveva sentito storie di individui le cui reali capacità avevano dell’incredibile, surclassando letteralmente le sue…

Doveva muoversi di lì e in fretta. Si diresse immediatamente verso l’uscita della stazione, prendendo la via più breve. Se il suo avversario si trovava lì vicino, avrebbe dovuto condurlo allo scoperto e lasciare che si tradisse inseguendolo in superficie. Non era molto abile nel controllare se era seguito, ne era consapevole, gli riusciva decisamente meglio pedinare gli altri oppure osservarli tenendosi appostato…tuttavia sarebbe stato il più attento possibile, il gioco si era fatto fin troppo serio. Era chiaro che aveva dato fastidio a qualcuno in passato e – a quanto pareva – chiunque avesse assoldato il suo aggressore non aveva intenzione di dargli una semplice lezione. Voleva farlo fuori una volta per tutte.

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Keith aveva continuato a camminare incessantemente per più di un’ora, cercando di sbirciare dietro di sé regolarmente. Si era intrufolato nelle stradine del centro antico della città, viuzze strette e maleodoranti che normalmente schifava e da cui guardava bene di tenersi ben lontano normalmente. Era certo di non aver notato nessun segno di un eventuale inseguitore, ma non si poteva mai sapere. O quell’individuo era davvero molto abile ed esperto, oppure se lo era lasciato finalmente dietro a una delle innumerevoli svolte che aveva compiuto. Sembrava tutto molto strano…

Erano passate circa due ore prima che l’uomo si convincesse di trovarsi finalmente al sicuro. Aveva svoltato a un angolo, sceso le scale dell’ingresso di un’altra stazione della metropolitana e oltrepassati i controlli. Stava ancora sudando vistosamente. Calma, calma, si impose l’uomo mentalmente. Non era facile, però, se ne rendeva conto. Gli avventori in attesa del treno sulla banchina sembravano meno del solito. Inusuale, vista l’ora, ormai era quasi l’una… anche quella era forse una falsa impressione? Doveva rilassarsi, era al sicuro ormai. Con la testa andò a divagare sull’immediato futuro, aveva bisogno di distrarsi un poco. Ormai non attendeva altro che raggiungere la propria casetta fuori città, rintanarsi al suo interno, al sicuro, piazzarsi seduto al tavolo di cucina e allungare una mano verso il frigo per prendere finalmente un po’ di latte e assaporarlo con il palato… Che cosa stava…? NO! NO!

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Inge Karnzis, elegantemente avvolta nel soprabito attillato di colore grigio scuro, si scostò da dietro la colonna di pietra e si mosse appena in avanti a fissare freddamente la scena con occhi attenti. Keith stava disteso al suolo, immobile, a ridosso dei binari. Un fiotto di sangue fuoriusciva ancora dal punto in cui fino a un attimo prima si era trovata la testa dell’uomo, mentre chiazze rossastre coprivano vistosamente larghe porzioni dei piastroni quadrangolari di gres color rosato della banchina di attesa dei treni. Bambine avvolte nei loro costosi vestiti alla moda lanciavano urla terrorizzate, imitate a ruota dai loro genitori che sembravano fare a gara a chi gridava più forte. Tutt’intorno impazzavano la confusione più assoluta e lo sgomento generale per l’individuo che si era appena sparato di fronte a tutti.

Lavoro compiuto, si disse Inge, era ora di andarsene. La giovane donna si sistemò con un gesto vanitoso il collo revers di foggia classica utilizzando il dorso della mano che mostrava unghie affilate e ottimamente curate. Lunghi capelli castani che le arrivavano fino alle spalle incorniciavano un viso appena abbronzato dalla carnagione perfetta. Chissà cosa aveva provato il predatore quando aveva compreso di essere diventato preda per una volta, si chiese la donna. Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. Le sue lunghe gambe affusolate si voltarono e si incamminarono a passo lento verso la scala mobile sulla destra, mentre le polacchine chic in tinta unita che portava ai piedi facevano scivolare i loro tacchi appuntiti e indifferenti sopra cartacce, sporcizia e macchie di sangue sparse qua e là nella stazione della metropolitana.

Sergio Palumbo