XII TROFEO LA CENTURIA E LA ZONA MORTA: V CLASSIFICATO

LA PERGAMENA DI EVERITH

di Natalia Gennuso

Ho il fiato corto.

Mi stanno inseguendo da giorni, sono sulle mie tracce.

Non riesco a credere di essere scappato, aver colto il primo segno di distrazione negli occhi della guardia è stato il mio lasciapassare per la libertà. Peccato che la tensione sia ancora parecchio alta. Ho il terrore di vederli spuntare davanti al mio cammino per poi essere riportato in quell’inferno.

I miei piedi sono al limite, non sono abituato a certi territori ostili. La boscaglia si sta pian piano diradando. Il sentiero prima umido, scivoloso e cosparso di argilla è adesso solido e costellato da piccole pietre affilate.

Devo stare attento a non lasciare impronte o qualsiasi altro segnale del mio passaggio, i loro segugi sono spietati, mi raggiungerebbero in men che non si dica.

Dopo minuti interminabili di cammino, riesco a scorgere una luce in lontananza. Mi blocco sul posto, facendo tintinnare la saccoccia e la borraccia appese alla mia schiena.

Quest’odore!

Le mie narici iniziano a colmarsi di un puzzo che oserei definire tremendo, Goblin, meglio virare a Nord. Escludo a priori ogni minima idea legata a una richiesta di aiuto. Potrebbero uccidermi. É probabile che abbiano già diffuso la notizia della mia fuga. Vedere in mezzo alla natura un Elfo con catene a polsi e caviglie potrebbe destare qualche sospetto. Non è prudente.

I tre soli stanno tramontando, è sempre uno spettacolo vederli sparire oltre l’orizzonte.

Il buio incombe rapido, cogliendomi alla sprovvista. Dopo mesi passati nelle prigioni di Lydium, ho perso la cognizione del tempo.

Nuvole dalle sfumature color cremisi mi sovrastano, il mio olfatto capta una pioggia imminente, devo trovare un riparo. Accelero di nuovo il passo, provocando fitte consistenti in tutto il mio corpo.

La Foglia Nera è vicina.

Meglio correre, non voglio che la mia pelle venga corrosa dai fanghi della foresta.

La mia previsione meteorologica è più affidabile di quanto sperassi. Lampi verdi illuminano il cielo e un forte vento si leva da Sud. Trovo riparo più avanti, in una nicchia abbastanza spaziosa scavata nel tronco di un grande albero. Rimuovo dalla sacca le scarse provviste che mi sono rimaste, Funghi Cengiformi e Bacche Ryo. Consumo pasti monotoni da quando sono scappato, circa quindici giorni fa. Pensavo di essere in salvo, che gli Elfi Scuri non si sarebbero mai allontanati dalla loro tana, e invece eccomi qui, a fare il rifugiato per le Corti Deserte.

Il mio naso riceva un nuovo input: un profumo inebriante di zuppa sta riempiendo l’area intorno a me. Le enormi gocce di pioggia acida si affievoliscono, fino a cessare del tutto. Con mio grande dispiacere torno a marciare. Seguo il letto di un fiume d’acqua dolce alquanto in pendenza, i ciottoli color smeraldo rotolano via lungo il percorso malmesso scavato dai forti getti invernali. Il profumo si fa sempre più intenso.

Superata questa parte di foresta, ecco apparire la fonte di cotanta salivazione davanti ai miei occhi: Taverna Del Viandante, grezza, rustica, si confonde con le pareti rocciose del nuovo scenario paesaggistico in cui mi sto addentrando.

Non posso semplicemente entrare da davanti fischiettando una delle melodie di Ade, sono giovane, ho ancora molte cose da fare e vedere nella vita. Non fa parte del codice morale degli Elfi Alti rubare al prossimo, ma devo prendere qualcosa dalle cucine, è necessario se voglio continuare questo viaggio. Mi affaccio sul retro della locanda e noto che l’unica apertura presente, eccezione fatta per un portone di ferro sbarrato, è troppo piccola per permettere il mio passaggio. Avvicinatomi alla parete, inizio una scalata silenziosa e furtiva che mi permette di sbirciare all’interno. Un Orco, che porta un cappello da chef storto, rimesta dentro un pentolone di zuppa color amaranto; si sposta di lato, afferra qualche rapa, aggiunge e torna alla monotonia del suo movimento.

Direi che non ho molte alternative.

Rimuovo il tappo di legno dal flacone e mando giù un po’ di pozione Fylis. I contorni del mio corpo iniziano lentamente a svanire, fino a renderlo completamente invisibile, eccezione fatta per le orme dei piedi.

Piomba un silenzio profondo perfino nella mia testa, riesco solo a udire il chiacchiericcio degli avventori delle taverna, dagli schiamazzi devono aver bevuto un bel po’ di Nettare Aulico.

Approfitto del momentaneo ondeggiare della porta d’ingresso per introdurmi tra le mura. Il profumo di cibarie è a tratti sostituito da coltri di fumo maleodorante. I tavoli sono interamente investiti per giochi d’azzardo che rendono colorite le parole dei giocatori.

Piccole salette in penombra, distaccate dal salone centrale, mostrano consumatori che preferiscono badare ai propri affari. Uno in particolare, con un cappuccio calato sul viso, sembra prestare attenzione ai miei movimenti, deve essere una mia impressione. Penetro nelle cucine, cercando di evitare getti di vapore che potrebbero rendere opaca la mia persona. Prelevo una quantità irrisoria di cibo e torno indietro in fretta, non posso rischiare di tornare visibile. Esco senza troppe complicazioni.

Superato il sentiero però mi imbatto nella figura che mi teneva d’occhio fino a pochi attimi prima.

<Elfo, quelle catene sembrano pesare, so di un ricercato fuggito dalle terre degli Scuri, immagino di averlo di fronte>

<Sei qui per la taglia?>

Rimuove il cappuccio, scoprendo le orecchie a punta e gli occhi cerulei. Un sospiro di sollievo fuoriesce dalle mie labbra, è un mio consanguineo.

<Sono qui per aiutare, non siamo forse noti per la nostra lealtà? L’effetto della pozione sta per terminare, non voglio farti scoprire. Ho un avvertimento, evita le Legioni Rosse, ma soprattutto non fidarti di nessuno, neanche di te stesso. Tieni, ti servirà per il rituale>, detto questo, mi lancia un oggetto e sparisce in due falcate.

Apro la mano e mi ritrovo una pietra color ocra tra le dita, bizzarro, chissà a che cosa serve.

Bevo due sorsi di zuppa e proseguo.

Devo capire in che parte della Capitale sono. Quando sono partito ero a Lydium, la città sotterranea degli Elfi Scuri. Il loro interesse morboso per me e per quello che mi porto dietro ha sollevato numerosi interrogativi che girano continuamente nella mia testa.

Uscito da lì mi sono diretto a Sud-Est, per poi andare verso Nord, se i miei calcoli sono esatti e il mio istinto ancora funzionante dovrebbe mancare poco a Vahbin, la città dei Luminari.

So per certo che non sono in combutta con gli Scuri, sono creature troppo colte e sofisticate per comprendere il loro rude linguaggio modo di pensare.

Tre ore di cammino più tardi, comincio a percepire il peso della stanchezza. Alle prime luci della seconda alba si schiude davanti a me, come una visione celestiale, la vitrea corte di Vahbin.

Sogno o miraggio dovuto al troppo cammino? Non saprei dirlo, sto andando avanti per inerzia. I cancelli sono sorvegliati da quattro guardie armate fino ai denti, le loro armature scintillanti mi costringono a distogliere lo sguardo.

 

<Identificati, Elfo!>

<Sono Khay, signore>

<Cosa ti porta qui?>, comincio a sentire la terra mancarmi sotto i piedi.

<É una lunga storia e sono veramente allo stremo, potreste lasciarmi dormire qui? Anche solo per una notte>

<Il sovrano del Tredicesimo Circolo mi ucciderebbe seduta stante se non aiutassi un Elfo Alto, seguimi, ti daremo cibo e acqua, e anche modo di raccontarci la tua disavventura>

Ringrazio con un cenno del capo.

Attraverso le alte mura di cinta con un brusìo fortissimo in testa, voci di cui non conosco la provenienza confondono i miei pensieri. Mi volto a destra e a manca, ma in questa zona non c’è altra gente all’infuori delle guardie. La vista si offusca, la mia andatura diventa instabile. La pietra ocra, che ho riposto al sicuro dentro la mia casacca, si sta pian piano scaldando. L’ultima cosa che ricordo è l’impatto del mio viso con il suolo tiepido e sabbioso.

Poi, più nulla.

 

“Sto scavando a fondo, le unghie nere e il sangue blu che cola dalle mie dita ne sono la dimostrazione, ma la soddisfazione che sto ostentando vale più di mille dolori.

Finalmente stringo tra le mani il pezzo di mappa che mi mancava.

Sottile, sfibrata, rilegata in oro, chissà per quanti secoli è rimasta sepolta in questo luogo dimenticato dagli dei.

Le iscrizioni sono in una lingua che non comprendo, ma che ho già visto in passato, la lingua dei Draghi, una lingua antica, tramandata solo a poche generazioni di Elfi. Per mia cattiva sorte la mia discendenza non ha ricevuto tale beneficio e questo fa per i miei occhi della mappa un comunissimo pezzo di carta.

Il vento comincia a soffiare, le fronde degli alberi del bosco ondeggiano dinanzi a me, il mio pugnale grondante di sangue lascia cadere al suolo piccolo gocce che, miscelate alla terra, si esibiscono in un brillante color porpora. Respiro a pieni polmoni, so che le Silfidi hanno già allertato i Goblin rimasti nel circondario, non ho molto tempo. 

Nascondo la mappa nella saccoccia logora che mi porto dietro dalla mia partenza.

<Quale visione!>, spaesato, mi guardo intorno, non riuscendo a individuare la fonte della voce femminile che ho appena udito.

Uno degli alberi dalla folta chioma inizia a contorcersi, assumendo sembianze sempre più simili alle mie.

<Numerosi avventurieri si sono spinti fin qui, ma mai nessuno è riuscito a riportare alla luce una reliquia tanto preziosa>, ho sentito narrare delle Driadi, ma  poterne ammirare la magnificenza dal vivo è tutta un’altra cosa.

<Sono dello stesso pensiero. Mi presento, sono Khay, Elfo di Harilter, onorato che lei si sia mostrata a me>

<Piacere Khay di Harilter, io sono la Driade Fahat, lieta di vedere che le buone maniere sono ancora lecite tra i giovani. Dunque, dimmi, sei riuscito a decifrare l’iscrizione?>, scuoto la testa, <posiziona la mappa di fronte al mio occhio sinistro, potrei riuscire a capirci qualcosa>

Preso dall’entusiasmo, eseguo quanto mi ha suggerito.

<Vediamo, parla di qualcosa che ha a che fare con la morte… recita: la cupa pergamena porta alla fine di un Era, vicino al suo Regno giace dove giaceva. Ti dice niente? Ma soprattutto, sei in possesso dell’altro pezzo?>, appunto, senza un attimo di esitazione, le sue parole sul retro della mappa stessa. Trovo alquanto strano che sia a conoscenza del numero di segmenti della mappa.

<Questo dovrebbe essere l’ultimo>

<Bel lavoro, Elfo. I pezzi sono concatenati, non puoi trovare il successivo senza il precedente. Non avere timore di me, non dubitare della mia buona fede, la mia cultura a riguardo è molto estesa grazie ai discorsi intrattenuti dai passanti nel corso degli anni, le mie fronde ne hanno viste di cosa strambe, sai?>

Perché ho come la sensazione che il suo sia un tentativo di trattenermi qui?

<La ringrazio per l’aiuto, Driade Fahat, adesso devo andare>

<Fossi in te allungherei il passo di molto, le mie radici percepiscono delle vibrazioni vicine, abbi cura di te, Elfo>

Inizio a correre, le raffiche continue di vento vogliono impedirmi di guadagnare terreno, la pioggia calda comincia a bruciare il tessuto del mantello color paglia che indosso, rallentando ulteriormente la mia andatura.

L’altro pezzo di mappa dice: respiro caldo che miete le anime, luccica di riflesso l’urlo nel suo reame. Tutti gli indizi mi portano a pensare a un Drago, respiro di fuoco, urlo, la fine di un Era. Gli anziani del mio villaggio dicono che a Nord le scaglie lucenti fendono ancora i cieli, una profezia parla appunto di “colui guidato dal colore dei soli che troverà l’alleanza eterna tra le ali del fato”

Mentre continuo a correre una radice si protende verso me, facendomi inciampare e cadere rovinosamente sulla melma. 

<Vai da qualche parte, Elfo?>, mi giro in tempo per scorgere una mazza colpirmi il volto.”

 

Come realmente colpito in viso, mi desto dal mio sonno profondo, ritrovandomi totalmente spaesato. Un sogno dal passato, prima della mia cattura. Ero stato mandato in “missione” dal Druido del villaggio, il compito iniziale era quello di raccogliere erbe aromatiche per i sui intrugli; ne ha poi approfittato per darmi un ulteriore incarico, scoprire il significato di una pergamena che stringeva gelosamente tra le mani. Mi spiegò che era una mappa, una di quelle pericolose, che tutti bramano ardentemente. Questa mi avrebbe portato a scovarne delle altre e chissà quale tesoro, ma dovevo essere scaltro, dovevo decifrare i codici e tenerli segreti, tutti per me. Adesso, ironia della sorte, sono nuovamente rinchiuso.

La stanza in cui mi trovo è ampia e luminosa, ho ancora le catene. Sono di nuovo privo dei miei averi; la saccoccia contenente quel poco di cibo che mi sono procurato e le pagine della pergamena è ormai un ricordo lontano.

Mi avvicino alle sbarre della cella e fischio più forte che posso. Una delle guardie, incuriosita, si avvicina per capire la fonte del problema.

<Prigioniero, a cos’è dovuto tutto questo fracasso?>

<Voglio, anzi, esigo di vedere la persona che ha potere in carica in questo posto!>

<Non scomodare tanto la tua ira, ho già ricevuto l’ordine di portarti al cospetto del sovrano, una volta sveglio>, apre la cella, afferra le mie catene e mi trascina con lui.

L’ambiente triste e monocromatico delle prigioni viene presto sostituito da quello celeste e luccicante delle pareti del palazzo. Candelabri di cristallo pendono dal soffitto di ogni stanza, vivi di fiamma, sfidando ogni legge di gravità conosciuta. Pur essendo in una condizione sfavorevole non posso fare a meno di ammirare quanto ho intorno; le porte in legno scuro contrastano con i colori delicati, ma più ci inoltriamo nelle stanze, più queste vengono sostituite da eleganti archi e ingressi dorati.

Il salone dove i sudditi con richieste particolari vengono ricevuti è a dir poco sconfinato. Un tappeto rosso conduce fino al trono, mi avvicino scortato dalla guardia.

<Elfo, cosa ti porta nella mia corte?>

<Lo sfinimento di una fuga quasi infinita, Sire. Ho io una domanda per voi: perché sono incatenato e senza più nulla?>

<Sei a conoscenza della pericolosità della reliquia che ti porti dietro?>

<Ne sono pienamente consapevole>

<Dunque saprai anche che fa gola a molti, me incluso>, colgo uno scintillio di avarizia nei suoi occhi.

<Credo che ogni mio tentativo di riaverla indietro risulterebbe futile>

<Su questo non hai torto, propongo un compromesso. Io ti donerò un Levriero che ti accompagnerà nel tuo viaggio ma in cambio mi aspetto di ricevere da te una scaglia di Drago da aggiungere alla mia collezione, qualora queste mitiche creature siano ancora in vita>

Soppeso le sue parole. Da un lato avrei proprio bisogno di un sostegno per il mio cammino, le mie sole gambe non potrebbero reggere ancora quell’agonia, dall’altro l’oggetto che mi chiede di recuperare è così prezioso che dei predoni potrebbero organizzarmi una festa a sorpresa.

<Abbiamo un accordo, Sire>

<Allora vai, Elfo, che i nostri destini possano incrociarsi di nuovo, in tempi migliori si spera>

Vengo rifocillato di viveri e bevande, mi viene restituita la saccoccia e come promesso mi viene affidato un Levriero. Ne ho visti solamente tre in tutta la mia vita. Questo ha il pelo grigio e il crine biondo cenere, occhi azzurri come il ghiaccio.

Monto in sella, puntando verso Nord. L’animale spiega le ali e con un nitrito chiaro e distinto si leva in volo seguendo le direzioni che gli impartisco.

Il viaggio prosegue senza intoppi, supero deserti aridi, zone paludose, cascate copiose, mari infiniti, fino ad arrivare ai confini delle Lande Innevate.

Una volta addentrati nel territorio, nei pressi del primo monte, la nostra marcia viene stoppata da una sorta di onda sonora, che costringe l’animale in un atterraggio di emergenza. Osservo la cima del monte, l’onda provoca una corrente d’aria calda accompagnata da un urlo, viene inviata sporadicamente e la sua forza convince il Levriero a non voler più proseguire per la paura, costringendolo ad accucciarsi al suolo, non mi resta che proseguire da solo. Dopo aver seguito un sentiero stretto e ripido mi ritrovo a oltrepassare un’alta porta di pietra, oltre la quale comincio a udire nuovamente quei bisbigli che tanto confondono la mia mente. L’oggetto sul mio petto pulsa energico, emanando luce e calore, istintivamente porto la mano su di esso.

Un susseguirsi di archi mi mostra la via da seguire. I bisbigli si fanno sempre più intensi. Una torre nera appare sullo sfondo, un muro di rampicante ne copre quasi interamente l’ingresso. Mi addentro scostando rami e foglie, proseguo lungo una scalinata malmessa costellata di cadaveri carbonizzati. Sono costretto a rimuovere la pietra dalla mia casacca, sta per ustionarmi la pelle. É come se volesse avvertirmi di un pericolo imminente che purtroppo non riesco a scorgere. Arrivato in cima vengo colpito violentemente da qualcosa di appuntito che mi scaglia via, facendomi impattare contro una roccia posta al centro di una piazza scarlatta. Cerco di rimettermi in piedi ma un artiglio blocca la mia gola contro il pavimento, solo adesso mi rendo conto che il colore rosso è dovuto a fiordi di sangue rappreso. Quando trovo il coraggio di alzare lo sguardo mi ritrovo a pochi centimetri dal viso il muso spinoso e sbuffante di un Drago nero. I suoi occhi blu mi guardano con odio.

<Intruso! Quale affronto averti nella nostra terra>, non so se provare paura, emozione o felicità.

<Allora gli anziani dicevano il vero, siete ancora in vita! Liberatemi, devo mostrarvi una cosa!>

<Mi credi così stolto?>

<É una pergamena, porta il nome di un certo Everith>, il Drago mi rilascia all’istante.

<Che mi venga un colpo, sei forse tu l’Eletto?>, estraggo la pergamena e gliela mostro, <la pietra, ce l’hai con te, vero?>

<Aspettate, come fate a sapere che ho una pietra con me?>, consegno l’oggetto ai piedi della creatura.

<Ah-ah! Sapevo che c’era ancora una speranza, compagni, adunata!>, il suono proveniente dalla montagna si interrompe, il suolo inizia a tremare scrostando il sangue e provocando dei piccoli crolli. Un gruppo di venti Draghi si innalza in volo e atterra a pochi metri da me, sbalzandomi poco più in là.

<Compagni, siete al cospetto dell’Eletto, colui che risveglierà il caduto Everith!>, numerose grida di gioia si levano intorno a me, <forza, portiamolo alla tomba!>, mi afferra per un piede, nasconde la pietra tra i denti e spicca il volo, facendomi sbattere la saccoccia in faccia. Saliamo sempre più di quota, fino ad atterrare in uno spiazzo circondato da grosse pietre.

Nuvole minacciose coprono il cielo, venti forti si levano dai quattro punti cardinali investendomi con forza e trascinandomi fuori dai confini del tumulo, il riflesso ocra della pietra tinge la neve.

Il Drago nero inizia a recitare i versi della pergamena, la loro lingua suona come un incanto alle mie orecchie, mi sta stregando. Più avanti va con la sua cantilena e più sento una strana pressione atmosferica sulla mia testa. Gli altri Draghi sono riuniti in cerchio e ripetono in coro, ma a bassa voce, le parole del loro capo.

Un fulmine cade, aprendo uno squarcio improvviso che spacca la terra. Il canyon si allarga rapidamente, lasciando fuoriuscire spruzzi di terra e frammenti di roccia. Un artiglio celeste ingoia quel poco di terriccio rimasto ai lati dell’ormai voragine, due ali si affacciano ai lati e fanno da sostegno al resuscitato che riesce finalmente a fuoriuscire dalla sua trappola eterna. Anche se sono circondato dai Draghi, vederne comparire uno nuovo fa sempre il suo effetto.

<Lode al Sommo Everith!>, tutti si inchinano a lui, ascoltando il suo primo urlo. Everith schiude gli occhi verdi più volte per abituarsi alla luce del mondo esterno, nota la mia presenza e si avvicina con andatura elegante.

<Elfo, il tuo avvento è stato propizio. La mia discendenza e la tua sono alleate dall’alba dei tempi. Sei stato scelto tra tutti per essere il Portavoce, l’Eletto, colui che darà nuova vita alla nostra specie. Adesso che sei al mio cospetto a te l’onore di ristabilire l’ormai antico patto tra le nostre razze>

<Sommo Drago, sono al suo servizio come lo furono i miei antenati. Sono stato mandato per scoprire il significato di questa reliquia che porta il vostro nome, non pensavo avesse un tale potere>

Everith mi invita a salire sul suo dorso. Insieme raggiungiamo il punto più alto, esattamente sopra lo spiazzo. I massi che ne delimitavano i contorni si staccano, iniziando a fluttuare e vorticare in tondo. Si sgretolano in pezzi più piccoli e assumono sembianze a me note: una scritta, in elfico.

“Colui guidato dal colore dei soli troverà l’alleanza eterna tra le ali del fato”

Guardo il Drago più spaesato che mai. Sono dunque io l’Eletto? Gli altri Draghi volano alcuni a Sud, altri a Nord e poi verso Est e Ovest, lasciandoci soli. Il cielo torna sereno, le pietre crollano al suolo, una scia di stelle è ora visibile. Vengo scortato fino al mio Levriero, felice di vedermi di ritorno. Salto in groppa e afferro le redini.

<Porterò al villaggio le buone nuove, vivo ad Harilter, saremo lieti di ricevere vostre visite>, i nostri sguardi si incrociano, non c’è un alito di vento.

<Sai… Elfo, so di un luogo, oltre i confini delle nuvole, e di molti tumuli sparsi in quelle terre…>