MISTERI E TRADIZIONI DEL NATALE E DELLA PASQUA

Festività di Pasqua, festività di Natale, c’è chi le ama e chi le “odia”.

Ma ognuna di esse, i loro riti, le usanze che le contraddistinguono posseggono un’origine ben definita che si perde nella notte dei tempi e che non tutti conoscono. Vediamo di colmare queste “perdonabilissime” – mi sia concesso di celiare un po’! – lacune culturali…

Non è Natale se non c’è un abete sovraccarico di addobbi, di luccicanti palle colorate, di iridescenti, lunghe strisce argentee o dorate che simulano un improbabile innevamento. Ma come è nata l’idea di allietare le festività natalizie con un abete sotto cui porre i doni da offrire a chi ci sta più caro?

Spostiamoci nella Germania del VII secolo dove, a Geismar, incontriamo un monaco e missionario nato in Britannia, a Winfrid, mentre è tutto preso dalla sua predicazione sulla Natività ad una tribù di Druidi. Il nostro monaco, poi divenuto San Bonifacio, cerca di convincere quei pagani che la quercia non è affatto sacra e inviolabile e poiché un’immagine vale più di mille parole, ne abbatte una. Il povero albero schiaccia tutti i cespugli posti sulla traiettoria di caduta, ad eccezione di un piccolo abete. Un caso?

San Bonifacio abbatte l’albero dedicato a Thor, divinità pagana.

È abbastanza probabile, ma il buon Bonifacio approfitta dell’occasione ed enfatizza l’evento stabilendo che l’abete diventi l’albero consacrato al Bambino Gesù e che la festività in cui si ricorda la nascita del Salvatore sia sempre ricordata mediante un piccolo abete posto nelle abitazioni.

Secoli più tardi, nel 1561, un apposito decreto forestale emanato nella cittadina di Ammerschweier, in Alsazia, stabilisce le massime misure dell’abete, mentre compaiono sugli alberi delle natalizie festività decorazioni costituite da rose di carta, mele, cialde, dolci, e piccoli doni.

Corre voce che fu Martin Lutero, grande riformatore protestante del XVI secolo, ad aggiungere le candeline sull’albero di Natale. L’idea gli viene mentre in una fredda nottata invernale si dirige verso la sua abitazione e nota la bellezza del cielo stellato intravisto tra le fronde di un albero. Per ricostruire nella sua casa l’immagine che tanto lo ha colpito e rivivere quei momenti, fissa ai rami del suo abete di Natale dei piccoli ceri accesi. Già nel XVIII secolo appare diffusissima in Germania la tradizione del Christbaum, ovvero dell’albero di Cristo e da qui si diffonde rapidamente in tutta l’Europa occidentale.

Vuole la tradizione che sia stato Martin Lutero ad aggiungere le candeline all’Albero di Natale, in ricordo di una suggestiva immagine delle stelle intraviste tra le fronde di un albero in una fredda notte di dicembre…

In America la tradizione dell’albero di Natale arriva con i primi immigrati tedeschi in Pennsylvania intorno al 1821, a dispetto di varie leggi risalenti addirittura alla metà del Seicento che penalizzano qualsiasi usanza relativa al 25 dicembre non legata ad una precisa funzione religiosa.

In America si diffonde ben presto la tradizione dell’Albero di Natale grazie all’arrivo di molti immigrati tedeschi.

Nel 1800 sul Godey’s Lady’s Book, una diffusa pubblicazione destinata al pubblico femminile, tramite espliciti, graziosi ed umoristici disegni, fornisce alle famiglie suggerimenti per preparare dolci e luculliani pranzi, ma soprattutto per decorare l’albero di Natale ormai presente in ogni casa. La rivista raggiunge anche un altro obiettivo: quello di far capire alle casalinghe d’oltreoceano che il Natale non è solo un giorno da santificare con solennità, ma è anche una circostanza da vivere con allegria, con serenità, in piena armonia.

Almeno nei limiti imposti dalla nostra frenetica, quotidiana esistenza…

Godey’s Lady’s Book, una diffusa pubblicazione destinata al pubblico femminile tramite espliciti disegni fornisce alle famiglie suggerimenti per decorare l’Albero di Natale ormai presente in ogni casa.

Le festività natalizie sono indubbiamente suggestive, cariche di pathos e di… calorie a non finire! Ma quelle di Pasqua lo sono ancor di più!

Apocrifa o no, la suggestiva leggenda a cui si attribuisce la tradizione di colorare, durante le festività di Pasqua, le uova in modo da creare un gioioso arcobaleno sulla già ben ricca tavola imbandita, risalirebbe a oltre due millenni fa…

“…Maria se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere… hanno tolto il mio Signore e non so dove l’abbiano deposto” racconta il Vangelo di Giovanni descrivendo la delusione, lo sconforto provato da Maria di Magdala dopo avere trovato il sepolcro di Gesù desolatamente vuoto.

Ma, “Gesù le disse: «Maria!». Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!», continua l’evangelista Giovanni e allora ella “… andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose…”.

Fin qui quella che sarebbe stata la realtà storica descritta in uno dei vangeli canonici.

Da questo momento in poi subentra la leggenda…

L’apostolo Pietro, forse il capo carismatico tra i più fedeli seguaci del Redentore, le avrebbe detto che egli avrebbe creduto a quel che gli veniva riferito solo se alcune uova contenute in un cestino di vimini fossero diventate immediatamente rosse.

E il miracolo avvenne, forse in ricordo del sangue versato dal Cristo sulla croce…

Leggenda o meno è stata sempre diffusa la tradizione di colorare il guscio delle uova di Pasqua. Spesso con motivi strettamente legati alle tradizioni religiose.

La tradizione, iniziata o no in seguito a questa leggenda, si è rapidamente diffusa in quasi tutto il mondo con qualche variante cromatica o stilistica legata al substrato culturale di questo o di quel Paese.

Ad esempio, in Germania le uova sode vengono colorate di verde e date in dono il giorno del Venerdì Santo, mentre in Grecia il colore preferito rimane un rosso cremisi. In territorio armeno, invece, le esigenze artistiche evidentemente prevalgono su quelle meramente ornamentali, poiché sul guscio delle uova vengono dipinte scene della Passione del Cristo, mentre i bambini dei Paesi dell’Est europeo si danno… all’arte astratta dipingendo solo motivi di carattere geometrico e prediligendo nuances cromatiche che oscillano tra il bianco, il blu e, ovviamente, il rosso.

De gustibus non disputandum est. Neppure a Pasqua!

Ma come dipingere i bianchi gusci delle uova preventivamente rassodate?

Alcuni attaccano le foglie di certe piante al guscio e poi fanno bollire il tutto in liquidi in cui siano stati disciolti colori non nocivi, di origine vegetale. Poi, staccando le foglie, sul guscio restano curiosi, strani motivi ornamentali.

Un metodo semplice che forse usò – “ un secolo fa”… – anche chi scrive, consiste nel far bollire le uova in acqua in cui sia stato versato un cucchiaio di comune aceto, aggiungendo poi alcuni ingredienti vegetali a seconda delle preferenze “cromatiche”.

Foglie di prezzemolo forniscono nuances di un bel verde chiaro, la barbabietola le colora di rosso mentre la cipolla garantisce una colorazione giallo-arancio. In quest’ultimo caso, però, non garantiamo per il sapore!

Legate o meno a una commovente leggenda che vedrebbe protagonisti addirittura l’apostolo Pietro e la Maddalena, la tradizione delle uova di Pasqua – colorate a mano dai bambini o preziosamente arricchite come questi “gioielli” fabbricati dal Fabergè – si diffuse rapidamente in quasi tutto l’Occidente.

Le splendide uova pasquali della Fabergè. Forse non alla portata di tutte le famiglie!

Roberto Volterri