IMAGELAND – PARTE 18

Cap. 18°

La porta borchiata e che mostrava pannelli lignei di un rosso scolorito, scrostato qua e là, si spalancò e lei fu introdotta nuovamente nella sala del trono.

Tutte le persone lì presenti erano state divise in due ali distinte di folla, disposte, rispettivamente, lungo la parete di destra o quella di sinistra.

Al centro, completamente sgombro, era posizionata una guida di velluto color cremisi, così usurata dal tempo e dall’incuria – caratteristiche che si attagliavano all’intero castello – da parere più simile a lunghi filamenti di sangue coagulato.

Al termine della guida, tre gradini conducevano al piedistallo dove era collocato il trono.

Ecìla, nel suo lento avanzare, guardandosi timidamente intorno, prese a ravvisare una per una, dedicandogli un’attenzione maggiore della prima volta , tutte le persone che, pur stravolte da quel livore interno, rivestivano le sembianze degli abitanti della sua Imageland.

Inconsciamente iniziò a contarle – come a vedere se il reale numero le tornava – ed il cuore, per il sollievo, perse un battito quando poté appurare che il biondo bellissimo Gabriel mancava all’appello. Ruotò più volte la testa e il collo per vedere se si fosse posizionato altrove, ma non lo rinvenne da nessuna parte.

Ciò le regalò almeno un briciolo di speranza.

Parve comunque ad Ecìla che l’attraversamento di quella sala durasse un tempo interminabile e lei, dal canto suo, avrebbe voluto che quel tempo non finisse mai, poiché sapeva che, al termine di quel percorso, avrebbe trovato ad attenderla ciò che più temeva: l’altra deformata e spietata se stessa.

 

<Hai dunque avuto modo di riflettere, mia cara?> aspra e derisoria la voce, che pur era la sua, le giunse quando si trovava ancora distante dal trono.

Il metallo con cui questo era stato forgiato, qualunque esso fosse, spandeva tutt’intorno sinistri baluginii, così che la stessa figura che vi era assisa ne risultava

sfocata … imprecisa nel suoi contorni, preda com’era di quel gioco di riflessi bluastri che, a guisa di immondi tentacoli, la circondavano.

<Come debbo chiamarti? In qual modo debbo rivolgermi a te?> chiese Ecìla, come a volerla rabbonire.

<Qui sono “la Signora e la Regina” del castello.>

< Signora …> iniziò allora a dire Ecìla, accorgendosi che, nonostante il gelo che abitava quel luogo, un leggero velo di sudore le imperlava la fronte, mentre la bocca sembrava ospitare carta vetrata < Signora … Sì, ho avuto modo di riflettere a lungo e forse sono riuscita a venire a capo di qualcosa, anche se l’intero disegno mi è ancora oscuro.>

La Regina annuì e, sotto l’influsso di quei metallici lividi riflessi, il volto parve poco diverso da un teschio ghignante.

<Quando iniziai a creare Imageland, con le sue allegre case, i suoi ampi viali alberati, le sue gaie e linde piazzette …>

E la mente di Ecìla scivolò altrove … trasportata dall’onda dei ricordi, abbandonò quel tetro castello e si ritrovò in quel prato dove, senza rendersene conto, si era addormentata.

Tornò a provare quell’intensa sensazione di calore che il caldo sole, come in un tenero paterno abbraccio, le aveva trasmesso, così come tornò ad assalirla lo gioioso stupore che l’aveva colta nello scoprire, sulla collina che si stagliava dinanzi a lei, quel paese sorto dal nulla.

Ricordò le spine che l’avevano afferrata lungo l’impervio sentiero che conduceva in cima alla collina e come il suo cuore avesse intensamente gioito quando aveva compiuto i primi passi all’interno di quel paese.

Tutto era lindo, luminoso, fresco di creazione …

Di nuovo, con il pensiero, s’introdusse in quelle case ancora in attesa del respiro di chi l’avesse abitata, attraversò quei viali alberati, accarezzati da una brezza profumata, e si entusiasmò alla danza sincronizzata delle fontane.

Quello era il suo paese! Il parto più bello della sua immaginazione. Lì non poteva accadere nulla di spiacevole e l’orfana rifiutata, che sino ad allora era stata, vi avrebbe trovato calore, sicurezza … amore!

 

Per un breve attimo Ecìla ripiombò in quella sinistra e glaciale sala del trono ed ai suoi disumani occupanti.

La sua mente, come se, autonomamente, si rifiutasse di accettare l’asprezza e la desolazione di quel luogo, con un brivido trattenuto, tornò immediatamente al caldo tepore ed alla splendida serenità di Imageland.

Il gatto Cesare che era apparso dal nulla, seguito ben presto da tutti gli altri animali. Ricordò come tutti le si fossero stretti intorno, cantano le lodi per quel miracolo di bellezza, dapprima ognuno nel proprio linguaggio e facendo poi uso di quello umano che lei aveva loro concesso.

E Pilù … anche e soprattutto Pilù tornò a cinguettarle all’orecchio perle di saggezza ed a sfiorarle il collo con le morbide ali.

Pilù …

E, forse senza accorgersene, nuove lacrime presero a scorrerle lungo le guance.

Ed infine, a tutto quel caleidoscopio di colori e di vita, si era aggiunto

l’essere umano …

Ed allora … proprio allora qualcosa doveva essersi inceppato.

Un malfunzionamento che aveva iniziato a creare smagliature su di una trama sino ad allora ricca d’armonia.

L’Ecìla che si trovava nella lugubre sala del trono chinò allora il capo e strinse a pugno le mani, come nello sforzo di una massima concentrazione.

“ Sì … le botteghe  che venivano man mano occupate.” si confidò “Il fabbro – il primo abitante di Imageland –, lo speziale, il casaro … e presto, a seguire, tutti gli altri.

Imageland prendeva vita … una vita apparentemente piena e soddisfacente, dove anche i campi ed i pascoli rifulgevano di prodotti della terra e di pasciuti armenti.

Non soltanto aveva dato origine alla vita, ma ad un vita  … perfetta!

“Perfetta?”

D’improvviso lo strappo … come se una lama tranciasse di netto le due metà di un insieme. Ecìla ne percepì l’interno strazio … la subdola mutilazione e ne tremò allora sino alla sua più intima fibra.

“ Perfezione …”

Come i suoi genitori, ad esempio, sempre così inappuntabili, dall’aspetto che presentavano al modo di vestire. Irreprensibili nell’interagire tra di loro, sino al punto di parlare all’unisono.

E nel loro rapporto con lei? Mai una parola di troppo, né, tanto meno, un rimprovero, un appunto nei suoi confronti. Parevano, al contrario, come sempre in attesa di assecondarla, di esaudire ogni suo desiderio.

E quell’eterno … quasi ebete sorriso ad aleggiare sulle labbra.

Così lei infatti li desiderava  … inappuntabili e sempre pronti ad esaudire ogni suo desiderio. Un padre ed una madre senza sbavature e difetti e con un sorriso sempre ad aleggiare sulle labbra.

 

Nives poi? La sua migliore amica? Fragile, incorporea, al punto da regalare l’impressione che potesse svanire da un momento all’altro.

Ma, in realtà, più che tentare di comprenderla, di entrare nei suoi circuiti mentali e nel suo cuore,  si era fermata al solo desiderio “di averla” . Era stata dunque lei stessa a non fornire vera materia a quell’amicizia …

E il campionario umano seguitò a srotolarsi nella sua mente.

E tutti gli abitanti di Imageland?

Come in un quadro animato, nello sfarfallio magico e solenne di quel primo giorno di neve, li rivide spaesati, incongrui, incapaci di capire … di apprezzare appieno quella meraviglia, così come di provare sulla propria pelle quel gelo che lei aveva invece chiaramente percepito.

Ecco perché lo specchio di Libero non li rifletteva … non erano veri! Non vivevano realmente!

Non nutrivano sentimenti, né emozioni individuali. Imperturbabili, non invecchiavano, non morivano, ma, soprattutto, non amavano: erano soltanto la grottesca parodia della vita … proprio così come lei l’aveva voluta!

Un concetto poi, come una folgore improvvisa, la tramortì .

NON AVEVANO SCELTA … non avevano mai potuto scegliere!

Sì perché la vita … la vera  vita si concretizza soprattutto nei suoi contrasti.

Si apprezza il sole dopo giorni di pioggia … la rara pienezza della salute dopo la malattia, la tenerezza di una carezza dopo l’assalto della violenza, la potenza della luce quando il buio ci priva di ogni colore.

Tutta quella materia oscura che lei aveva omessa – e bisognosa comunque di uno sfogo – si era andata lentamente accumulando ed aveva finito poi per riversarsi altrove, mettendo infine radici in quel castello, assurto a simbolo di ogni negazione e negatività.

 

<Allora, Ecìla, ti decidi a parlare?>

La sua stessa voce, come un’eco distorto, la riscosse da quel fiume amaro di pensieri.

Ma questa volta quella voce, pur avendola temuta più di ogni altra cosa, non la spaventò.

<Siete la metà di un intero …> disse soltanto.

Come un fruscio … un frullio d’ali, partorito però soltanto dalla sua mente, le sfiorò la fronte.

Colse allora un cambiamento su quei volti ostilmente di pietra ed anche una sorta di comprensione sino ad allora sconosciuta.

Ma soprattutto, in quei volti, si leggeva  … l’attesa.

(18 – continua)

Myriam Ambrosini