IMAGELAND – PARTE 17

Cap. 17°

Fu quell’irreale silenzio a svegliarla.

Ecìla, con gli arti doloranti per l’esiguo spazio in cui era stata costretta a consumare i suoi sonni, si stirò lungamente e, lasciata la scomoda brandina, si avvicinò alla finestrella: nell’esiguo rettangolo di cielo si disegnava soltanto il colore di un’alba sporca.

Nessun volatile a solcare l’aria, né i consueti versi animali che salutano l’aurora.

“Non ci sono animali …” pensò Ecìla <Qui non ci sono animali!> sottolineò poi ad alta voce, anche se nessuno poteva udirla, ma come per darne ulteriore conferma a se stessa.

“Curioso …”

Subito dopo associò però quell’evidente dato di fatto alle parole dell’uomo dello specchio ed a quel suo riferimento all’istinto animale che sfuggiva anche alle regole della sua immaginazione creativa.

“Ad Imageland gli animali vivono una vita propria, invecchiano e muoiono e sono preda d’istinti quanto di nobili sentimenti.” seguitò a confidarsi “Qui, in questo mondo rovesciato, non esistono affatto, poiché sarebbero costretti, a loro volta, a trasformarsi in mostri e la loro stessa libera natura invece lo nega.”

“Pilù …” pensò allora ed, immediatamente, ricordando la morte dell’amato pettirosso, gli occhi tornarono a riempirsi di lacrime “Con la sua morte è come se si fosse spenta una grande luce ed il buio avesse preso a dilagare. Dove … dove sei Pilù?”

Il rumore del catenaccio che veniva tirato ed il lamento, quasi umano, della porta che si apriva, la riscosse da quei nebulosi pensieri.

Nives – o almeno il suo doppio – scivolò nella cella.

Senza pronunziare una sola parola, la sua migliore amica  poggiò sul rozzo tavolino, addossato ad una parete, due scodelle, l’una colma di una brodaglia dal colore ferroso e dove navigavano quelli che parevano degli avanzi di cibo e l’altra colma di un’ acqua dall’odore acre.

<Nives!> la interpellò allora Ecìla, con l’assurda speranza che il nuovo giorno avesse operato un piccolo miracolo e gliela avesse restituita diafana, ma innocua come prima.

<Cosa c’è?> rispose invece sgarbata la sua voce <Al momento non abbiamo nulla da dirci! Mangia piuttosto … devi mantenerti in forma per il processo che presto dovrai subire!>

<Il processo? Ma cosa … cosa volete da me?>

<TU cosa volevi da noi?>

E, senza aggiungere altro, Nives se ne andò, sbattendo palesemente la porta dietro di lei e facendo scorrere di nuovo il pesante catenaccio.

Ecìla allora, sopraffatta dall’angoscia, si lasciò cadere in terra ed iniziò di nuovo a piangere. Un pianto ancor più straziante … lacrime che non le alleggerivano l’angoscia del cuore, ma riflettevano soltanto una sconfinata desolazione.

Perse la nozione del tempo e, sfinita, alla fine si addormentò.

Sognò Pilù …

Il pettirosso la guardava e nei suoi occhi si leggeva una pena infinita, ma dove l’antico affetto seguitava a riflettersi immutato.

<Pilù!> lo chiamò lei nel sogno ed, a sua insaputa, quel grido implorante, frantumando le barriere del sonno, risuonò reale nella cella, trascinandosi dietro brandelli di speranza.

Il pettirosso, come era solito fare da vivo, le si posizionò su di una spalla e strofinò dolcemente un’aluccia sul suo collo.

Come pareva reale quel suo tocco delicato!

<Aiutami, Pilù … te ne prego!> lo implorò Ecìla, godendo comunque di quel contatto, pur sapendolo ormai perduto per sempre.

<Guarda dentro di te, Ecìla, esamina a fondo ogni tua emozione, sensazione, perplessità. Fallo, partendo dall’inizio … dalla genesi della tua stessa creazione … Ricercane le motivazioni più profonde … esamina … scandisci. In te stessa – ho già avuto modo di dirtelo – si trovano le domande ed anche le risposte … tutte le risposte!>

Vedendo che Ecìla se ne rimaneva in silenzio, mentre la disperazione tornava ad abitare il suo volto e ad offuscarne lo sguardo, aggiunse: <Nulla è ancora perduto, mia cara … ogni piccolo dio pecca sempre all’eccesso o in difetto, mentre l’equilibrio – anche quello all’apparenza più inspiegabile e difficile da accettare – è invece alla base di tutto.>

Poi, in uno sbattere improvviso delle piccoli ali, Pilù scomparve, dissolvendo anche i veli del sogno.

Ecìla, svegliandosi, percepì ancora più acuta la mancanza del piccolo amico e non si accorse che in terra, vicino a lei, giaceva una piccola piuma macchiata di rosso.

 

I giorni si erano succeduti ai giorni – così, in fondo, poco distinguibili dalle notti -, quando il pesante catenaccio fu fatto scorrere per l’ultima volta e lei parve riacquistare la libertà.

(17 – continua)

Myriam Ambrosini