IMAGELAND – PARTE 13

Cap. 13°

L’uomo dello specchio era lì, seduto dinanzi alla sua rustica capanna … tra le labbra un filo d’erba da masticare ed un raggio di sole ad indorargli i capelli.

Ecìla si sentiva quasi in colpa nello spiare la sua intimità, rimanendosene così nascosta ed in silenzio, attenta a non rivelare la sua presenza.

<Guarda!> le sussurrò Pilù, appollaiato sulla sua spalla <Guarda!>

E, con la punta di un’aluccia le andava mostrando la meraviglia degli innumerevoli fiori che mutavano colore a brevissimi intervalli.

Ecìla era ammirata … rapita quasi da tale stupefacente fenomeno ma, contemporaneamente, scrutava la radura nel tentativo di scorgere dove si trovasse il grande specchio che l’uomo, seduto comodo e rilassato sulla nuda terra, non recava più sulla schiena.

<Avvicinatevi …>

La voce profonda ma melodiosa dell’uomo la scosse d’improvviso dai suoi pensieri ed Ecìla sussultò, facendo, a sua volta sbattere una con l’altra le alucce del piccolo amico appollaiato sulla spalla.

<Venite … avvicinatevi …> ripeté l’uomo che, non mutando la sua posizione accovacciata ed a capo chino, doveva invece averli scorti ed individuati.

Ecìla, vergognosa ed imbarazzata per essere stata colta in fallo, si sollevò dal cespuglio dove si era rintanata e prese ad avanzare verso l’uomo che, soltanto allora, si voltò a guardarla.

Il cuore di Ecìla diede un balzo: “Era bello … bellissimo … molto più bello  di come lo ricordava. Con i suoi capelli dai riflessi azzurrini e gli occhi nerissimi, animati da improvvisi guizzi d’argento poteva affermare che era l’uomo più bello che avesse mai conosciuto … un fascino persino più seducente di quello dello stesso Gabriel … un fascino che neppure lei sarebbe stata capace d’immaginare.

 

La capanna al suo interno appariva più grande di quanto l’esterno invece mostrava. Pulita ed ordinata, emanava un profumo di buono e di spezie rare.

In un angolo, accanto all’unico punto luce costituito da una finestrella un po’ sbieca, era sistemato il grande specchio … apparentemente così innocuo nella sua posa di assoluto riposo.

L’uomo sorrise seguendo lo sguardo di Ecìla che si fermava avido sulla superficie dello specchio e lo staccò allora dalla parete dove se ne stava stancamente adagiato  e tornò poi ad adattarlo alla sua schiena e, come d’incanto, delle robuste cinghie si agganciarono da sole al suo corpo, sostenendone l’evidente peso.

L’uomo volse poi la schiena ad Ecìla che vi si poté specchiare e, con grande stupore, si accorse che anche Pilù vi si rifletteva.

<Pilù …> mormorò allora dubbiosa tra sé e sé.

<Sì … Pilù.> sentì che l’uomo diceva, come a conferma del suo dubbio <Ti ricordi cosa ti risposi quando chiedesti con insistenza il mio nome?>

 

L’uomo dello specchio ed Ecìla sedevano uno di fronte all’altra nell’esiguo spazio che si era creato tra il focolare ed un piccolo tavolo dove l’uomo, evidentemente, consumava i suoi pasti.

< Sì … Libero , se ben ricordo. Ma mi rammento anche che aggiungesti “se proprio vuoi darmi un nome, puoi chiamarmi Libero”, come se questo non fosse però in realtà il tuo vero nome.>

<Non è infatti il mio vero nome, ma piuttosto un’attitudine o un moto dello

spirito … > e l’uomo parve prendersi un pausa come per poter meglio riflettere, mentre quel suo ammaliante sorriso si apriva ancor di più , al pari di un gelsomino notturno alle prime ombre della sera.

<La verità rende liberi  …> aggiunse poi e, alzandosi dalla rustica sedia dove sedeva, si diresse verso lo specchio che aveva nuovamente appoggiato alla parete. Proprio allora il raggio di un sole morente lo attraversò, regalandogli preziosa polvere d’oro.

Ecìla, alzatasi a sua volta, si pose accanto all’uomo riflesso a figura intera nello specchio e vide nuovamente se stessa, così nitida e vivida che le parve di conoscersi veramente per la prima volta.

<Io e … te.> sentì che Libero asseriva.

Il pettirosso, sentendosi forse escluso da quella intimità, volò dall’angolo dove si era rintanato e si posò, al suo solito, su di una spalla di Ecìla, svolazzandole poi intorno in un’ estemporanea esibizione e fermandosi infine sulla sua capigliatura.

<E … Pilù!> aggiunse Libero.

<E Pilù!> confermò Ecìla.

<E Cesare … ed Occhidolci … ed ogni cane, scoiattolo, tartaruga, pesce, uccello,

ecc …>

<Tutti gli animali?> chiese Ecìla.

<Tutti!>

<Perché? Anche loro li ho creati io con la mia immaginazione.>

<Sì … ma loro seguono l’istinto e quello sfugge alla tua immaginazione e

pertanto … anche a te!>

<E gli esseri umani?>

<Pensaci, Ecìla, pensaci … rifletti sul vero ruolo degli essere umani. Dovrai però sforzarti di riuscire a scoprirlo da sola.>

Ecìla, confusa da quelle parole, tacque per un po’, soffermandosi intanto ad osservare quei lineamenti cesellati dell’uomo dello specchio … quei capelli dai riflessi azzurrini e quegli occhi cangianti senza eguali,  fatti sicuramente di una materia superiore.

<Perché possiedi una tale bellezza?> non poté allora esimersi dal chiedere.

<Perché nulla – in ogni caso, sempre e dovunque – è più bello di ciò che è vero. E semplicemente perché … è vero!>

 

Quando, il giorno successivo, Ecìla e Pilù tornarono nel bosco, la capanna, insieme al suo occupante, erano scomparsi ed anche la radura, pur nella sua poetica bellezza, esibiva fiori in quelli che erano i loro colori naturali e destinati poi a rimanere tali.

“L’uomo dello specchio ha dunque ultimato la sua missione.” Si disse Ecìla e cocenti lacrime di delusione presero ad accompagnare quella sua interna certezza “Lo vedrò ancora?” si chiese poi, non volendo chiudere definitivamente le porte alla speranza.

“In ogni caso debbo uscire da questa mia novella confusione … da questa impenetrabile foresta di dubbi, simile ormai ad fitta coltre di nebbia che ho come avvolto intorno a me stessa.

“Ciricì!” trillò Pilù, come se avesse letto nella sua mente e compreso dunque i pensieri che l’agitavano.

(13 – continua)

Myriam Ambrosini