IL CANTASTORIE

Quand’ero giovane, mio padre, signore di Mont-Auban, era solito portarmi con sé durante le ispezioni di fine mese presso le comunità contadine situate ai confini dei suoi territori.
Quei brevi viaggi, che non duravano più di tre o quattro giorni, erano per me un’esperienza sempre nuova poiché venivo ad essere partecipe di fatti e situazioni che, rinchiuso tra le mura del castello dove vivevo, non avrei potuto nemmeno immaginare.
Viaggiavamo sempre a cavallo scortati da una decina di soldati per proteggerci dai predoni che infestavano le strade.
Il paesaggio, fatto di campi coltivati, fitti boschetti e basse colline, ci avvolgeva completamente in un silenzio irreale rotto soltanto dal calpestio dei cavalli e dal frenetico scorrere delle acque di qualche ruscello…
Fu durante uno di quei brevi viaggi che mi accadde d’incontrare un uomo, o meglio un cantastorie, che cambiò totalmente la mia vita.
Sapevo che i cantastorie fossero girovaghi poveri e sempre soli a cui però la natura aveva donato una voce melodiosa, ora dolce ora potente, oltre all’abilità di suonare uno strumento che rendesse ancor più piacevole al pubblico l’ascolto delle loro favole.
Ciò che non sapevo era l’effetto che il loro canto avesse in chi l’ascoltava, il piacere che donasse la loro musica, la pace interiore che infondessero le due cose insieme.
Quella sera ci eravamo fermati nella piccola locanda di un villaggio di vignaioli; i soldati, come al solito, si erano riuniti in cerchio per una partita a dadi, mentre mio padre s’era messo a discutere animatamente di vini con l’oste che pareva molto ben informato sull’argomento. Io ero stanco ma, siccome non m’andava di coricarmi, decisi di uscire sulla veranda della taverna a pensare un po’ in pace.
Mi accomodai rilassato su una vecchia panca di legno massiccio lasciando scorrere lo sguardo… Il sole era da poco tramontato e aveva lasciato un’aria tiepida, come per prepararci alla primavera ormai prossima.
Rapito da quelle semplici sensazioni mi stavo addormentando quando vidi un gruppo di persone che si dirigeva a passo lesto verso la bottega di un maniscalco, dall’altra parte della strada.
Donne e bambini non erano più eccitati degli uomini, riuniti tutti in quel piccolo locale che, per l’occasione, era illuminato intensamente.
Incuriosito da tutto quel trambusto mi alzai, diedi una rapida occhiata a mio padre che stava valutando a sorsi i pareri dell’oste e mi diressi verso la bottega.
Ciò che vidi mi deluse un poco: tutta quella gente era seduta, ora in silenzio, attorno ad un uomo, avanti negli anni, dall’aspetto misero e trasandato.
Aveva lunghi capelli bianchi, una folta barba grigia gli incorniciava il volto e gli occhi, nerissimi, emanavano una luce irreale.
- Chi è?, mi viene in mente di chiedere ad una giovane donna seduta al suo fianco.
- E’ un cantastorie che il maniscalco ha ospitato per la notte e che, per ringraziarlo, vuole raccontarci una favola.
Mi disse senza degnarmi di uno sguardo.
Tornai a guardare il vecchio, affascinato: ora stava accordando dolcemente un piccolo strumento a tre corde che teneva appoggiato al ventre.
Lo strano aggeggio era probabilmente l’antenato di un liuto di cui aveva caratteristiche similari ma un suono diverso, più melodioso e meno secco.
Lo strumento era costruito con legno pregiato e ornato da bassorilievi raffiguranti animali fantastici, figure irreali, esseri immaginari di cui avevo sentito parlare nelle leggende raccontatemi durante l’infanzia. Riconobbi un drago alato, piccoli gnomi, un elfo ed esili fate.
Ad un tratto il musicante, schiaritosi la voce, prese a dare spettacolo; iniziò con un semplice accordo, poi amplificò il suono e, come giunta dal nulla, entrò in scena la voce… e la storia ebbe inizio.
Raccontava delle valli incantate nelle quali vivevano le fate della natura.
Durante l’inverno spargevano neve sui semi del grano per proteggerli dal freddo, in primavera volavano di pianta in pianta aiutando i boccioli ad aprirsi, d’estate alleviavano con leggeri venticelli la fatica dei contadini e in autunno consolavano gli alberi tristi per la perdita delle foglie.
Mi sembrava di esserci, in un luogo incantato di intervenire in tutto quel lavorio della natura, di gioire e rattristarmi con essa, di essere partecipe dei suoi misteri. Non erano i miei occhi che vedevano, né le mie orecchie che ascoltavano, erano piuttosto la mia mente e il mio spirito a percepire i suoni, le parole e la presenza del cantastorie.
Ad un tratto il silenzio, la storia era terminata.
Fu come riprendere i sensi dopo aver battuto la testa, o risvegliarsi durante un magnifico sogno e tornare alla realtà, bruscamente.
Mi guardai intorno e vidi che anche le altre persone erano come stordite, frastornate.
Ci fu un breve ma sentito applauso e il cantastorie inchinò più volte il capo, poi, lentamente, il locale si svuotò e tutti fecero ritorno a casa; tutti tranne me.
Mi avvicinai a quel vecchio che ora stava riponendo il suo strumento in una custodia non meno pregiata e decorata dello stesso.
Mi fermai di fronte a lui, gli occhi fissi, imbambolato.
- Ti aspettavo, mi disse senza guardarmi.
La sua voce era calda e molto espressiva:
- E’ giunto per te il momento di prendere il mio posto, così è voluto.
Non capivo assolutamente di cosa stesse parlando, anzi, a dire il vero, mi spaventai.
- Cosa intendete dire? Chiesi balbettando.
Il vecchio mi guardò triste, la luce che avevo visto poco prima nei suoi occhi si era spenta.
- Voglio dire che da questa sera tu viaggerai con questo liuto e canterai le storie fantastiche che ti suggerirà.
- Cantare? Storie magiche? Ma che diavolo dite, io non so cantare e non credo alle favole.
Dissi sempre più impaurito.
- Tutto ti sarà naturale. Grazie a questo strumento avrai una voce melodiosa e lui stesso ti guiderà le mani sulle corde, dandoti la capacità di trarne le musiche che hai udito poco fa.
Fece una breve pausa, sembrava che ciò che mi stesse dicendo non venisse dalle sue labbra, quasi come se fosse costretto a parlare.
- Questo liuto è stato creato da Fantasia, da colei che ordina il mondo magico a cui l’uomo non può accedere. Fantasia ha però voluto che l’uomo potesse ugualmente venire a conoscenza di alcune delle cose irreali che, a sua insaputa, accadono intorno a lui. Ciò può essere grazie ai cantastorie e ai loro strumenti.
Dentro di me avevo capito, avevo compreso perfettamente tutto, ma insistei con le domande:
- Perché io?
Il vecchio mi si avvicinò, mi pose le mani sulle spalle e fissando il suolo mormorò:
- Io ti aspettavo, come t’ho detto, sapevo del tuo arrivo, come un dì tu saprai dell’arrivo del tuo successore. Tu sei rimasto a chiedere, puoi capire la magia, non sei freddo e razionale, sai vedere con la mente.
Pensai a mio padre, alla mia vita al castello e ritenni che il vecchio fosse pazzo: io non volevo avere nulla a che fare con la magia.
- No, è un’assurdità. E mi meraviglio d’essere rimasto ad ascoltarti!
Gridai.
Mi girai per uscire…
Capii allora cos’era la magia, perché voltatomi di nuovo verso il vecchio, afferrato da una forza irreale che non mi dava la minima possibilità di reagire, accettai il liuto che mi veniva offerto e senza dire nulla uscii dalla bottega e m’incamminai lungo la strada che conduceva fuori dal villaggio.
La magia aveva vinto: Fantasia aveva assoldato un nuovo cantastorie, un uomo comune che poteva conoscere i suoi misteri, ma che ne era completamente schiavo…
Sono passati molti anni da quella sera e il mio aspetto ora somiglia molto a quello del mio predecessore.
Ho vagato in tutte le regioni e ho narrato centinaia di storie.
Ora sto aspettando un giovane curioso e sensibile e, anche se non vorrei, sarò costretto a legare il suo destino ad uno strumento fatato che gli sarà unico compagno nella vita.
Con esso donerà gioia e spensieratezza ma da esso non potrà mai separarsi… e così sarà, finché Fantasia non deciderà altrimenti!
 
Originariamente pubblicato sul numero 7 de LA ZONA MORTA, settembre 1991

Corretto e ampliato per il sito LA ZONA MORTA, febbraio 2008

28/02/2008, Stefano Vietti