L’ILLUSIONE DEI VINTI

-Le fredde valli di Ior, sono da sempre dimora, delle nebbie perenni.

Difficilmente il sole riesce a filtrare attraverso la fitta coltre biancastra, e la sua luce tenue, si avverte soltanto nelle ore centrali del giorno.

Ovvio che i Ravi abbiano eletto queste terre a loro dimora; i loro occhi non sono adatti alla luce diurna e la loro pelle diafana, poco resisterebbe ai forti raggi del mezzodì.

In verità non si e mai sentito, nei due secoli di dominio dei Ravi, che ne sia perito qualcuno per la prolungata esposizione al sole, ma certo è che i raggi dell’astro dorato li indeboliscono incredibilmente.

Non solo perdono la loro forza prodigiosa e la loro pelle si riempie di ulcere, anche la loro agilità risulta compromessa.

Quindi per i  due secoli, in cui la stirpe dei Ravi dominò il nostro mondo, con scorribande e saccheggi notturni, noi umani portavamo le nostre offensive durante il giorno, quando i mostri trovavano rifugio tra le ampie spire delle nebbie perenni.

Non so se esiste un motivo per il quale proprio io, sia l’indegno narratore di questa storia, ne se c’è un motivo per il quale Avoc, il mio predecessore, scelse me per tramandarla, certo è che questo è il mio compito e dovrò mio malgrado eseguirlo.

Nei tempi che non si possono rammentare, prima della terza glaciazione, prima ancora che il lago di fuoco esplodesse nella sua magnificenza, ingoiando le foreste, prima quindi, che i Ravi fossero rigurgitati dal ventre della terra, gli uomini vivevano liberi, in case di pietra e fango, coltivavano i campi e cacciavano il cervo.-

Il vecchio, prese un frutto dalla cesta alla sua destra e lo addentò.

-Poi vennero i Ravi, che si nutrono delle nostre carni, come noi ci nutriamo di selvaggina e di frutta, e cominciò l’era oscura.

La notte nessuno era al sicuro, le orde barbare assaltavano i villaggi.

Non importava quanti fossero gli uomini a difenderli, la crudeltà dei Ravi era più forte di ogni armatura.

Donne, bambini, vecchi, nessuno veniva risparmiato, perché non erano le terre o le ricchezze che li muovevano alla guerra, erano i nostri corpi, il loro bottino.-

Tutto il gruppetto di ragazzini seduti in cerchio fece un lieve sobbalzo all’indietro, mentre il vecchio narratore digrignava e i denti, imitando i Ravi intenti a lacerare la carne umana.

Le balie con i bambini attaccati al seno in fondo alla capanna circolare, sorrisero appena, ricordando il proprio stupore e la propria paura quando anni prima avevano ascoltato quella stessa storia per la prima volta.

Una delle ragazze giovani, Aika, si avvicinò al vecchio.

Aveva lunghi capelli scuri, che teneva raccolti con un laccio di cuoi dietro la nuca, i lineamenti gentili e la pelle scura, tipica di quelle genti.

Gli porse del vino, in un bicchiere di terracotta dipinto di rosso, poi congedandosi con grazia uscì dalla capanna.

Il fuoco crepitava lento, gettando ombre sinistre alle spalle del narratore, che iniziava la parte più truce del racconto, la lunga guerra dei trenta anni, che aveva decimato gli umani, ma li aveva comunque, alla fine, visti vincitori.

Aika pensò che poteva saltare quella parte truculenta che aveva già ascoltato decine di volte, e si diresse verso il campo di nord ovest.

Era una serata calda, la grande muraglia che li separava dai Ravi, si estendeva a perdita d’occhio lungo tutto il fianco della collina.

Ne costeggiò un lungo tratto, fino ad arrivare alla grande capanna del capo villaggio.

Le torce la illuminavano completamente, era circolare, come le altre ma molto più grande, costruita in legno e fango, ed interamente ricoperta da pelli, dal buco sul soffitto usciva del fumo leggero, che andava confondendosi con le nebbie delle terre al confine.

Si avvicinò furtiva e appoggiò il viso sulle pesanti sbarre che la circondavano.

Il vecchio aveva sempre affermato che non tutte le giovani sono degne di entrarvi, quando sarebbe toccato a lei, il prossimo mese, avrebbe dovuto fare quel che tutti si aspettavano, quello che tutte le altre ragazze della sua età avevano fatto.

Avrebbe dovuto recarsi davanti al cancello grande, alle prime luci della luna, avrebbe dovuto spogliarsi ed offrirsi al capo villaggio, il grande Urnak, e sperare nell’apertura delle sbarre.

L’unico compito delle donne è generare figli, uno ogni due anni, coloro che non assolvevano all’unico compito cui erano destinate, venivano abbandonate al di là della grande muraglia, e finivano in pasto ai pochi Ravi rimasti.

Intanto da dentro la capanna provenivano sommessi, i grugniti di piacere dell’uomo cui era destinata.

Cercò di guardare meglio e intravide la sagoma di Casma, una delle donne, che avevano provato a rifiutare di concedersi ad Urnak.

Era capitato a volte che delle ragazze scioccamente romantiche, o innamorate, avevano osato rifiutare di generare figli col capo villaggio.

Ed ogni volta che questo si verificava, accadeva sempre la stessa cosa, Aika era presente quando fu Casma a rifiutarsi, era talmente innamorata del giovane Ragu che non sarebbe mai riuscita a concedersi ad un altro, e decise di non entrare nella capanna, quando il grande cancello le si aprì davanti.

In pochi minuti due Ravi  piombarono nel villaggio.

Il potere di Urnak era evidentemente così grande, che bastava il suo pensiero per farli giungere.

I  mostri, alti due volte un uomo adulto presero Casma, con le loro lunghe dita artigliate, tutto il villaggio fece largo per lasciarli passare, nessuno, comunque avrebbe potuto contrastarli, un popolo di donne e ragazzi non avrebbe nemmeno potuto avvicinarsi ai due giganti, dalle lunghe zanne. Tranne probabilmente, lo stesso Urnak, che sembrava comandarli.

Presero Casma che era all’epoca poco più di una ragazza e la portarono alla capanna del capo villaggio, le loro dita non sono state create per abbracciare, le lacerarono la pelle delle braccia e della schiena solo toccandola, la tennero immobile davanti a tutto il villaggio, mentre lui la fecondava.

Subito dopo, come erano entrati, i Ravi uscirono.

Ebbe un brivido ripensando alle urla della ragazza e si accovacciò per superare, non vista, le feritoie della capanna.

Al limite delle terre del villaggio, proprio sotto la recinzione grande, l’aspettava come tutte le sere, Zatzu.

Era un giovane alto, i capelli lunghi, come era in uso nel villaggio, intrecciati insieme a strisce di cuoio, scendevano lungo le spalle muscolose.

I lineamenti erano spigolosi, ma i grandi occhi nocciola gli ingentilivano il viso, evidenziando ancora di più gli zigomi alti.

Erano stati bambini insieme, li aveva allattati la stessa balia, insieme avevano ascoltato i racconti delle guerre, ed insieme erano cresciuti.

Nessuno aveva mai fatto una cosa tanto proibita e nessuno mai, a ricordo d’uomo era sopravvissuto per raccontarlo.

-Aika, sei arrivata.

Ti ho aspettata tanto.-

La strinse forte al suo petto, poi prese a baciarle il viso, le labbra il collo.

-Aspetta, Zatzu, aspetta… credo di aver sentito un rumore.-

Il ragazzo moro, la strinse ancora più forte allora, e la fece abbassare, cingendole le spalle, come se così potesse in qualche modo proteggerla.

Respiravano forte, anche se non avrebbero voluto, lei si scostò appena i lunghi capelli neri dagli occhi e fece per parlare, ma lui la zittì con un gesto.

Dalla recinzione nord, dove si trovavano non potevano vedere il villaggio che era coperto da un fitto boschetto, ma solo i fumi dei fuochi.

La capanna del capo villaggio invece era bene in vista e si ergeva a poche centinaia di metri da loro avvolta dalla luce delle torce perenni.

Nessuno li aveva mai scoperti, perché nessuno arrivava mai al confine con il villaggio del nord, la gente che ci vive era ostile, per questo nei tempi antichi fu necessario erigere la grande recinzione, anche se ne Zatzu, ne Aika avevano mai visto nessuno.

Anche del villaggio a nord, scorgevano soltanto i fumi dietro ad un boschetto di pini.

-Chi c’è?-

Chiese una voce femminile, a cui non risposero, ma si schiacciarono ancora più contro la recinzione sperando che le nubi non scoprissero la luna.

-Chi c’è?-

Il lungo richiamo del corno risuonò nel momento migliore.

Tutti dovevano dirigersi velocemente alla grande muraglia, e questo distrasse chi stava per scoprirli.

Zatzu prese il bel viso di Aika tra le mani e la baciò teneramente, poi la guardò fisso con i suoi enormi occhi da diciottenne.

-Dobbiamo trovare un altro posto, questo non è più sicuro, ora vai alla muraglia, io faccio il giro del villaggio e la raggiungo dall’altra parte, per non destare sospetti.-

Il grande corno suonava due volte al giorno, e tutti gli abitanti, tranne il capo villaggio, si recavano alla grande muraglia, dove avrebbero trovato le offerte di cibo e acqua che i Ravi da secoli ormai lasciavano loro.

-Vedete?-

Tuonò il vecchio narratore, rivolto sia ai bambini sia alle giovani donne vicino a lui.

-E’ questo che è accaduto alla fine, non solo li abbiamo sconfitti, ma li abbiamo piegati, soggiogati!

Ogni giorno da quando ho memoria, i Ravi sono costretti da un antico patto a portarci cibo e acqua fresca, di modo che noi possiamo dedicarci solo alla cura dei piccoli, e all’intelletto.

Non solo, spesso i doni sono pelli di animali, vino buono anfore e quant’altro ci serva.

Ecco cosa sono diventati i potenti mostri vespertini, sono i nostri servi!-

Così dicendo si avvicinò alle balie con i bambini più piccoli.

-Andate alle capanne ora, mangiate e riposate, domani è il grande giorno dell’iniziazione degli uomini, e forse avremo un nuovo capo villaggio.-

Aika raccolse il cesto carico di frutta e pane, e guardò di sottecchi Zaztu,  scoprendo che lui stava facendo lo stesso, “dopo” sussurrò.

Era ormai notte fonda quando Aika raggiunse Zatzu, al confine nord.

-Ho dovuto aspettare che tutte le altre si addormentassero, e con l’iniziazione di domani, sono state a parlottare e a pronosticare su chi sarebbe divenuto il nuovo capo.-

Zatzu pulì un frutto rosso, con un lembo della casacca di pelle chiara e glielo porse.

-Tu che hai detto?-

-Che saresti stato tu…-

Si baciarono a lungo, e a lungo si coccolarono accarezzati dalla brezza, parlando di quello che avrebbero voluto fare, sognando di saltare la grande muraglia di buon mattino e di superare le terre di Ravi, per fuggire dove nessuno era mai stato.

Un grido li svegliò.

-Che cosa avete fatto?! Sacrileghi!!  Che cosa avete fatto!!-

Le tre balie con tutti i bambini al seguito non smettevano di gridare, mentre Aika, cercava di capire se si fosse davvero svegliata o stesse ancora sognando.

Tutto il villaggio li raggiunse in pochi istanti.

Zatzu si alzò velocemente facendo scudo di se alla sua amata, spingendola verso la recinzione.

Il vecchio narratore, si avvicinò piano, mentre le balie, le donne e i ragazzini gli facevano largo.

-Mi dispiace giovane Zaztu, ma nessuno ha mai osato profanare una donna, e noi non conosciamo una punizione abbastanza grande da infliggerti.

Ma giacchè oggi avresti dovuto provare il tuo valore nelle terre dei Ravi e decidere il tuo futuro, ci andrai disarmato e legato.

Cosicché saremo sicuri, tu non possa tornare.-

-Nooo!-

Il grido della ragazza echeggiò per tutta la valle, mentre con la voce rotta dai singhiozzi li pregava di lasciarlo andare.

-Vi prego.. è colpa mia, solo colpa mia… vi prego!!-

Le balie la presero per le braccia e la portarono nella capanna dormitorio delle giovani.

Per tutto il giorno le donne suonarono i tamburi, per richiamare i Ravi, la profezia diceva che solo il più degno sarebbe riuscito ad assoggettarli e a mantenere la condizione di supremazia della razza umana, relegando i Ravi a loro servitori.

Quindi una volta l’anno nel giorno più breve, tutti i ragazzi che dovevano diventare uomini uscivano dalla muraglia, combattevano contro i Ravi, cercando di ucciderne il più possibile, sapendo bene che forse solo uno di loro sarebbe tornato, per diventare capo villaggio.

Da quindici anni, nessuno aveva ancora fatto ritorno, e il grande Urnak, stava diventando vecchio, quindi le donne avevano preparato una quantità incredibile di pitture sacre, per propiziarsi gli dei.

A mezzo dì, tutti i ragazzi era già stati dipinti con le sacre pitture, rosso per la forza, bianco per il valore, nero come il sangue dei Ravi di cui avrebbero dovuto ricoprirsi, seduti in cerchio nella piazza intonavano la preghiera della guerra.

Aika era riuscita ad uscire, la capanna era deserta, tutte le ragazze erano nella piazza centrale, consegnando i loro amuleti, ognuna al suo campione.

Intrecciavano collane di fiori propiziatorie, e lucidavano i coltelli di ossidiana dei ragazzi.

Aika si era spostata piano, tra le pelli di bufalo accatastate, e tra i calderoni della pittura, fino ad arrivare alla capanna di Urnak.

Davanti al cancello più grande, quello da cui le spose entravano ogni sera, avevano eretto un grosso palo in legno di pino, al quale avevano legato Zatzu.

Era accovacciato a terra, seduto sui talloni, per quanto le braccia legate dietro al palo gli consentissero, le spalle larghe e dolenti per la posizione forzata, e il capo rivolto a terra.

Arrivo da lui tanto silenziosamente che lo fece sobbalzare, quando gli spostò i capelli sudati dal viso.

-Non dovresti essere qui.-

Si mise in piedi a fatica, facendo leva sulla schiena, aderente al palo.

-E dove altro?

Dobbiamo andarcene…-

Lui guardò d’istinto verso la capanna, che aveva alle spalle.

-Urnak.. può sentirti..-

Aika si sfilò dai capelli un pettine d’osso e cominciò con la parte lunga a lacerare le corde che legavano il suo amato.

-Tu ci credi davvero?

Che abbia il potere di richiamare i Ravi intendo, come può averlo se quando è uscito a combatterli  era un ragazzo come te?-

-Queste sono cose magiche di cui non dovremmo nemmeno parlare,  lo sai anche tu, la profezia dice, che solo il prescelto, soltanto potrà sconfiggere i Ravi e perpetuare il patto.

Egli avrà potere su di loro, ma giacche le atrocità dei Ravi sono indescrivibili, la sua gola si brucerà, impedendogli per sempre di parlare.

Quindi il prescelto avrà il dono di comunicare con i suoi servi solo con il pensiero.-

Aika intanto aveva quasi finito di slegarlo.

-Si la lezione l’ho imparata a memoria anche io, come te, ma se è vero perché non ci ferma?

Guardalo, è alla finestra, ci vede… dove sono i suoi sgherri?-

Zaztu si girò di scatto, liberandosi del tutto, e guardò verso la capanna.

Urnak era davvero li, immobile e li stava guardando.

Le pesanti sbarre che lo proteggevano dai pericoli e dalle molestie, ora apparivano quasi come una prigione, e Zatzu si trovò a pensare che se aprirle o chiuderle era veramente una sua scelta, perchè mai avrebbe volute essere sempre solo, perché aprirle solo al mattino presto quando i Ravi in persona in segno di sottomissione gli portavano il cibo migliore, e l’acqua piu fresca, e alla sera all’arrivo della sposa.

Come poteva non avere voglia di bagnarsi al lago, o di correre, o di passare del tempo con altre persone.

Non ebbe il tempo di finire di far chiarezza tra i suoi pensieri, perché Aika gli aveva preso un braccio e lo stava trascinando verso il confine nord.

Tutto il villaggio intanto era accalcato davanti ai ventuno giovani, che da li a poco avrebbero oltrepassato la grande muraglia.

Gli amuleti di ossidiana brillavano alle ultime luci del sole morente, quando il narratore ordinò che Zatzu venisse condotto legato al grande cancello.

-Stiamo facendo una pazzia.-

Bisbigliò Zatzu, mentre aiutava Aika a scavalcare la recinzione che li separava dal villaggio del nord.

-Anche darti in pasto ai Ravi, senza possibilità di difenderti è una pazzia.-

Il territorio del villaggio del nord era meno vasto di quello che i due ragazzi si sarebbero aspettati, avevano sempre pensato che un popolo tanto bellicoso avrebbe dovuto avere molte terre e campi da coltivare, a meno che anche loro, non avessero diritto ai tributi dei Ravi, che da anni ormai premettevano agli umani di vivere senza bisogno ne di cacciare, ne di coltivare.

Tutte le capanne si ergevano al centro della radura, proprio come nel loro villaggio, erano anch’esse di forma circolare e poche decine di metri più a nord, svettava illuminata da enormi torce la capanna del capo villaggio.

Se i colori delle capanne non fossero stati diversi, i due giovani avrebbero pensato di essere tornati indietro, tanto i due posti erano simili.

La sera era appena calata, le grida di incoraggiamento delle donne del loro villaggio e dei ragazzini arrivavano lontane ormai, la cerimonia dell’apertura del cancello doveva essere iniziata.

L’avevano vista decine di volte, il pesante cancello nero si sarebbe spalancato da solo, e i giovani sarebbero usciti, fieri e coraggiosi nelle loro tuniche da cerimonia, poi la nebbia li avrebbe avvolti, Solo le loro grida, e i ruggiti dei Ravi, avrebbero dato modo di capire l’esito della battaglia.

Dopo qualche centinaio di metri, fatti di corsa una nuova recinzione, identica alla loro, un nuovo salto, ed un nuovo villaggio, uguale al precedente, corsero a perdifiato attraverso il fitto bosco di pini, superarono il nuovo insediamento, identico agli ultimi due, e di nuovo una grande capanna illuminata. Aika, si sforzò di guardare attraverso le pesanti inferiate che dividevano la capanna dal resto del villaggio.

Un uomo adulto, anche lui con i segni della lotta sul torace, mentre  possedeva una giovane donna bionda.

La notte permetteva loro di scivolare di villaggio in villaggio senza essere visti, anche i loro vicini, evidentemente sapevano che era meglio rifugiarsi nelle capanne dopo il calar del sole.

I Ravi certo erano stati sconfitti, ma era capitato alle volte che riuscissero a fare irruzione, rapendo qualche balia più anziana.

Quando le grida dei giovani iniziati si persero tra le fronde e non erano più distinguibili dal crepitare dei fuochi o dal frinire delle cicale, arrivarono al confine nord dell’ultimo villaggio, la recinzione, più alta delle altre che avevano scavalcato, li separava da un bosco intricato e scuro.

Non si vedevano fumi all’orizzonte, ne fuochi o luci, era l’ultimo confine degli umani.

Nel più assoluto silenzio Zatzu prese delle anfore in terracotta e le accatastò per formare una scaletta, aiutò Aika a salirvi.

-Dai, ancora uno sforzo… -

Quando tutti e due ebbero saltato, si fermarono per qualche istante, a contemplare il villaggio all’interno della recinzione.

Poteva anche essere il loro, le risatine dei bambini dalla grande casa asilo erano le stesse, i grugniti del capo villaggio erano gli stessi, come il vociare che veniva dalla capanna delle giovani.

Si infilarono nel fitto del bosco, e sparirono tra i cespugli.

Orat uno dei Ravi più giovani stava osservando i recinti sul monitor di sorveglianza, aveva osservato la fuga dei due innamorati per tutto il tragitto, ma non aveva potuto fermarli, era da solo e non poteva lasciare la sua postazione,  si consolò pensando che erano scappati solo due giovani e che bene o male, cose del genere erano comunque in preventivo.

Avrebbero alzato le recinzioni la notte seguente, quando i suoi fratelli fossero tornati,

quella notte tutta la sua famiglia era troppo occupata, dovevano recuperare e macellare tutti i giovai capi della prima stalla, li avevano nutriti tutto l’anno per questo, e avrebbero anche dovuto trovare un nuovo stallone, l’ultimo si era fatto troppo vecchio, ed era meno fecondo.

Aveva dato loro anche parecchi problemi, dato che le giumente parevano non gradire le sue attenzioni e i suoi due fratelli maggiori avevano dovuto aiutarlo a coprirle almeno tre volte nell’ultimo anno, con tanti giovani stalloni disponibili era uno spreco di energie inutili.

Ormai, aveva quasi finito il suo lavoro, doveva solo aspettare che nella seconda stalla, lo stallone coprisse la giumenta, poi avrebbe dovuto azionare lo sblocco della gabbia per farla uscire, non c’erano parti previsti per quella notte, e i cuccioli erano tutti sani, perciò lasciò un appunto sulla scrivania del padre, riguardo al bisogno di alzare le recinzioni, ed andò a giocare, in camera sua, magari la sera dopo suo fratello maggiore sarebbe anche riuscito a recuperare i due capi di bestiame scappati, erano molto giovani, non si sarebbero allontanati tanto dalla fattoria, sarebbe stato un vero peccato fossero morti di fame, erano domestici da troppo tempo non potevano sopravvivere da soli.

Polissena Cerolini