AGNELLI GIUSTIZIERI

Secondo notizie provenienti dalle fonti più diverse, ma tutte attendibili, gli Agnelli Giustizieri ultimamente sono soliti apparire, con frequenza sempre maggiore, in vari punti di Buenos Aires e dei centri limitrofi.

Tutte le fonti concordano nel descrivere il modo in cui agiscono gli Agnelli Giustizieri: all’improvviso appaiono, come sorti dal nulla, cinquanta agnelli bianchi; immediatamente assalgono una vittima, presumibilmente già individuata, e in pochi secondi la divorano e scarnificano lasciandone solo lo scheletro. E con la stessa rapidità con cui sono arrivati in un istante si disperdono e fuggono in tutte le direzioni. Guai a chi osi ostacolare la loro fuga: nei primi tempi ci sono stati molti casi di morte; successivamente i potenziali incoscienti hanno imparato a spese degli altri e nessuno si è più opposto agli Agnelli Giustizieri.

Bene, non ha senso dilungarsi in questi dettagli: la gente è sufficientemente informata da giornali, radio, televisione; inoltre, abbondano le fotografie sul tema.

La maggior parte della gente è profondamente preoccupata a causa degli Agnelli Giustizieri, per le imprevedibili stragi e per il susseguirsi di morte e paura. Ma la maggioranza delle persone è ingenua, di vedute ristrette e incapace di riflettere: la loro inquietudine le porta semplicemente a sperare che gli Agnelli Giustizieri non esistano. Ovviamente tale speranza non cancella gli Agnelli né tantomeno consente di scoprire le cause ed il senso del loro agire.

L’errore di base consiste nell’essersi dimenticati delle vittime, tutti presi dagli Agnelli in sé. Nel corso delle, diciamo, prime cento esecuzioni, ciò che mi toglieva il sonno era l’esistenza, inconcepibile, di agnelli non solo carnivori ma addirittura predatori, per di più di carne umana. Poi mi resi conto che, perdendomi in tali dettagli, trascuravo un aspetto essenziale: la personalità delle vittime.

Mi misi quindi a fare indagini sulla vita dei malcapitati. Come un sociologo, iniziai dalla cosa più ovvia: i dati economico-culturali. La statistica si rivelò inutile: c’erano vittime di tutti gli strati sociali.

Dovetti cambiare sistema. Cercai parenti e congiunti delle vittime e feci loro domande un po’ provocatorie. Raccolsi testimonianze d’ogni tipo e a volte anche contraddittorie. Ma iniziai a sentire, con grande frequenza, un certo tipo di frase: “Che il poveretto riposi in pace, ma la verità è che…”.

Un’intuizione quasi infallibile mi illuminò. E immediatamente mi sentii quasi del tutto sicuro della mia ipotesi iniziale il giorno in cui gli Agnelli Giustizieri scarnificarono il mio benestante vicino, il dottor P.R.V., lo stesso nel cui studio…

Il caso di P.R.V. mi condusse, in maniera assolutamente naturale, alla comprensione definitiva dell’enigma.

Ebbene, odiavo profondamente Nefario. Ma non vorrei che quest’odio contaminasse di passione meschina la fredda obiettività che reputo necessaria per questa relazione. Tuttavia mi vedo costretto, per il bene dell’intellezione del fenomeno, a concedermi una digressione di carattere personale. Benché forse non interessi a nessuno, questo excursus è imprescindibile, sempre che mi crediate, per accettare o respingere la mia ipotesi sulle cause e sulle finalità che determinano l’intervento degli Agnelli Giustizieri.

La digressione è la seguente: l’apogeo del fenomeno coincise con un periodo molto triste della mia vita. Sferzato dalla miseria, dal disorientamento, dalle difficoltà, mi sentivo nel profondo di un pozzo così buio che non riuscivo neppure a immaginarne l’uscita. Ecco qual era il mio stato d’animo.

A Nefario invece la vita, come si suol dire, sorrideva. Ovvio: l’unico obiettivo della sua proterva esistenza era il denaro. Gli importava soltanto far soldi, per i soldi in sé, e a questo scopo sacro indirizzava tutte le sue energie inumane, senza scrupoli e senza preoccuparsi dei mezzi. Superfluo dire che ottenne un successo pieno: Nefario aveva tutte le caratteristiche di un personaggio vincente.

Io, l’ho già detto, vivevo nell’indigenza. Ed è molto facile approfittarsi di chi soffre. Nefario, avido avvoltoio che non aveva mai letto un libro, era editore. Ed io, in mancanza d’altro, facevo traduzioni e correzioni di bozze per lui: Nefario non solo mi pagava cifre irrisorie, ma godeva nell’umiliarmi con richieste di pazientare.

(La vessazione e il fallimento erano già parte della mia persona e mi ero rassegnato). Quando gli consegnai il mio ultimo lavoro, una traduzione maledettamente faticosa, Nefario, come molte altre volte, mi disse:

“Purtroppo oggi non La posso pagare. Non ho un centesimo”.

Mi diceva ciò nel suo studio lussuoso, vestito in modo elegante, profumato e sorridente. E, ovviamente, vincente. Pensai alle mie scarpe rotte, ai miei vestiti vecchi, alle necessità della mia famiglia, al peso dei tanti motivi di tristezza. Sforzandomi, dissi:

“E quando pensa di…?”

“Facciamo una cosa – aveva un’aria ottimista e protettiva, come se stesse cercando di aiutarmi -. Questo sabato no, perché farò una capatina alle spiagge di Rio de Janeiro. Passi da casa mia sabato l’altro sulle undici di mattina, così sistemiamo tutto”.

Mi strinse cordialmente la mano e mi dette un’amichevole manata d’incoraggiamento sulle spalle.

Passarono quindici giorni. Arrivò l’agognato sabato e mi presentai alla bella casa di calle Once de Septiembre. Il verde degli alberi, la fragranza delle piante, lo splendore del cielo e la bellezza del quartiere mi facevano sentire ancor più afflitto.

Alle undici e cinque suonai il campanello.

“Il signore sta riposando” mi informò una domestica dal grembiule celeste con pallini bianchi.

Esitai un istante, poi dissi: “E la signora?”

“Rosa, chi è?”

“Io, signora – alzai la voce aggrappandomi a quella possibilità -. C’è il signor Nefario?”

Rosa si ritirò e fu sostituita dalla faccia coperta di trucco della moglie di Nefario. Mi redarguì con voce rauca, da fumatrice incallita:

“Non le hanno detto che il signore sta riposando?”

“Sì, signora, ma siccome mi ha dato appuntamento per oggi alle undici…”

“Va bene, ma sta riposando” ribatté con un tono che non ammetteva repliche.

“Non le ha per caso lasciato qualcosa per me?” domandai stupidamente, come se non conoscessi Nefario.

“No”.

“Ma mi aveva dato appuntamento per…”

“Le sto dicendo che non ha lasciato nulla, signore. Faccia il favore di non disturbare”.

In quel momento udii un frastuono di belati e vidi che erano in arrivo gli Agnelli Giustizieri. Mi feci da parte e, per sentirmi più al riparo, m’arrampicai sul cancello, benché la mia coscienza mi dicesse che gli Agnelli non erano diretti contro di me. Gli Agnelli, come una tromba marina, fecero irruzione nel giardino e, prima che gli ultimi finissero di entrarvi, i primi erano già all’interno della casa. In pochi secondi, come una fogna, la porta di Nefario fagocitò tutti gli animali: il giardino era tutto calpestato, le piante distrutte.

Da una graziosa finestrella si affacciò la signora Nefario: “Venga, signore, venga!” gemette con espressione lacrimevole e con il viso congestionato. “Ci aiuti, per favore!”

Spinto da una certa curiosità, entrai in casa. Vidi mobili rovesciati, specchi rotti. Non vidi gli agnelli.

“Sono di sopra!” mi disse la signora, cercando di trascinarmi per un braccio in direzione del pericolo. “Nella nostra camera da letto! Faccia qualcosa, non sia vigliacco, si comporti da uomo!”

Seppi resistere, con fermezza. Nulla di più contrario ai miei principi e alle mie convinzioni che pretendere di oppormi agli Agnelli Giustizieri. Da sopra giungeva un confuso rumore di zampe. Le rotonde groppe lanose ondeggiavano allegramente, accompagnando chissà quali movimenti contro chissà che cosa. Una visione fugace, durò un secondo: riconobbi Nefario, scapigliato e terrorizzato; gridò qualcosa e tentò di colpire gli agnelli con una sedia. Ma sprofondò subito nelle lane bianche e ricciolute, come chi è irrimediabilmente risucchiato dalle sabbie mobili. Ci fu un altro tumulto, s’udiva il crescendo delle mandibole che sbranavano e trituravano e, di tanto in tanto, lo scoppiettio di un osso che si rompeva. I primi segnali di dispersione mi fecero capire che gli agnelli avevano esaurito il loro compito e un istante dopo gli animaletti iniziarono la rapida discesa per la scala. Riuscii a vedere alcune macchie di sangue sulla bianchezza incontaminata delle loro lane. Curiosamente, questo sangue, che per me è un simbolo di affermazione dell’etica, fece perdere del tutto la testa alla signora Nefario. Senza smettere di rivolgermi insulti tra i singhiozzi e dandomi del codardo, si lanciò in salotto con un coltello da macellaio in mano. Poiché sapevo bene cosa accade a chi pretende di ostacolare gli Agnelli Giustizieri, mi mantenni rispettosamente da parte ad osservare il rapido e interessante spettacolo della scarnificazione e ingestione della signora Nefario. Poi i cinquanta agnelli uscirono in calle Once de Septiembre e, come tante altre volte, si dispersero in tutte le direzioni.

Rosa, non so bene perché, sembrava un po’ impressionata. Le dissi delle parole di conforto e, liberatomi ormai dell’odio, la salutai con un sorriso.

E’ vero: non ero riuscito, né mai più sarei riuscito, a farmi pagare da Nefario quella traduzione maledettamente faticosa. Tuttavia, grazie al verde degli alberi, alla fragranza delle piante, allo splendore del cielo e alla bellezza del quartiere il mio cuore rintoccava come una campana in un giorno di festa. Cantavo.

Sapevo che il pozzo buio in cui ero sprofondato iniziava ora a illuminarsi di una luce di speranza.

Molte grazie, Agnelli Giustizieri.

Fernando Sorrentino

(Da: En defensa propia, Buenos Aires, Editorial de Belgrano, 1982. Traduzione di Alessandro Abate)